martedì 30 giugno 2009

Come superare il "modello chimico" di sviluppo

Il segretario della Cgil di Sassari, Antonio Rudas, parlando al direttivo provinciale della sua organizzazione, ha sollecitato a “guardare in faccia la realtà e volgere lo sguardo oltre la sterile discussione sulla chimica sì-chimica no”. Bisogna “lavorare per correggere l’attuale modello di sviluppo che ormai ha fatto il suo tempo, superando comodità e rendite di posizione”. Questa notizia è stata pubblicata qualche giorno fa e mi sollecita una qualche riflessione per tre ragioni: la prima è che la fonte da cui provengono queste parole è autorevole; la seconda è che si tratta di un discorso deideologgizzato sulla chimica come ultima spiaggia per l'economia della Sardegna; la terza è che su questi temi sto anch'io da tempo ragionando.
Naturalmente, nessuno con un briciolo buon senso può pensare che tutto possa essere abbandonato e men che meno che sia lontanamente concepibile abbandonare migliaia di persone al loro destino di senza lavoro. Anzi è su questo aspetto che la politica, le forze sociali, la cultura devono urgentemente ragionare per trovare soluzioni immediate. Per conto mio e per quanto riguarda il mio ruolo di parlamentare sardo, sono non solo disponibile – cosa scontata – a partecipare attivamente alla ricerca di soluzioni, ma deciso a trasformare in proposta ciò che si ritenga fattibile.
Ma Rudas pone anche un'altra questione: come correggere l'attuale modello di sviluppo obsoleto? Se ritorno indietro agli anni in cui proprio il modello di sviluppo oggi in crisi si andava affermando, non posso non ricordare la funzione che l'intellettualità sarda (o meglio la parte predominante di essa) ebbe nello sposarlo. A volte con una carica ideologica operaista impressionante, altre volte per trasformare l'industria da settore produttivo in fucina in cui la classe operaia sperimentava la conquista del potere (anche ad una cuoca insegneremo a dirigere lo Stato, Majakovskj), a volte anche come strumento per abbattere il supposto “arcaismo” della cultura sarda.
Tutte cose dimenticate, anche da parte di chi così pensava. spero. Ecco: il problema posto da Rudas ha bisogno anche, e direi soprattutto, degli intellettuali sardi. Su questo blog, ho lanciato l'idea di lavorare ad un nuovo modello di civiltà per la Sardegna. Un modello in cui lo sviluppo e la crescita economica abbiano certo posto di rilievo, ma non tutto il rilievo. Un nuovo modello di civiltà presuppone un concetto diverso, quello della prosperità della Sardegna che contiene sia il Pil sia la qualità della vita che il Pil non riesce ad esaurire.

sabato 27 giugno 2009

Ecco perché tifo per un Pd fuori dal marasma

Può apparire paradossale che io faccia il tifo per una buona soluzione della crisi che attanaglia il Partito democratico. In realtà lo faccio, diciamo così, per una sorta di interesse privato: come tutta la maggioranza, sento impellente il bisogno di un’opposizione vera. Una opposizione che non si incanaglisca, cercando di battere il governo, e possibilmente farlo cadere, con strumenti di imbarbarimento della politica.
Non mi appassiona, ovviamente, il fatto che a guidare il Pd sia nel futuro questo o quel candidato alla segreteria: sono fatti interni di fronte ai quali l’unico atteggiamento saggio è di rispettosa attenzione al dibattito interno. Franceschini, Soru, Bersani o chiunque altro aspiri a guidarlo poco importa: quel che è necessario alla democrazia è che trovi, o ritrovi, un senso alto della politica, rinunciando per sempre alle tentazioni delle spallate o delle scosse che dir si voglia.
Siamo tutti ancora nel bel mezzo di un clima di tentata delegittimazione del governo non per via della sua inefficienza, della pochezza di idee, del piccolo spessore politico e culturale della compagine o di altri seri motivi. Si tenta questa strada con la cooptazione nella battaglia politica di elementi non politici come i pettegolezzi, l’utilizzo plebeo di gossip, l’interpretazione della fotografia del “governante in bagno” come segnale di decadimento della vita privata.
Con una dose di ingenuità sconcertante, i dirigenti del Pd si sono illusi che i miasmi dei pozzi da loro avvelenati infettassero solo l’altra parte, il nemico. Come si può pensare che, sia pure solo per motivi di concorrenza editoriale, non tentassero la strada del gossip giornali diversi da quello che ha impastato melma e fango? Che, voglio dire, non imbastissero un’inchiesta per vedere che cosa succede nel campo dei moralizzatori e dei giustizialisti?
Succede, infatti, che il campo dei moralizzatori, quelli che gridano allo scandalo perché hanno visto o saputo di fotografie scattate dal buco della serratura, sia scosso da altri scatti, più o meno metaforici, da altri buchi della serratura. Poco importa che si tratti, in entrambi i casi, di puri e semplici pettegolezzi di rilievo politico nullo. Il danno è fatto e riguarda non tanto questo o quell’uomo politico, quanto la politica in sé, la sua legittimazione a governare una società. La crisi della politica ancora non comporta la crisi della democrazia, ma ci siamo vicini, se l’imbarbarimento della prima continua.
Incautamente si grida all’attentato alla libertà di stampa, quando ci si richiama alla responsabilità dei media sia nel campo del costume sia in quello dell’economia, quasi sia diritto di cronaca il fotografare di nascosto il “governante in bagno” o il creare allarmismo per una immaginaria bancarotta dello Stato. La cronaca, per quel che ne so, è la descizione e l’interpetazione della realtà, non l’invenzione della realtà. Il procurato allarme, sempre per quel che ne so, è un reato per chiunque lo provochi.
Da questo imbarbarimento si esce solo se tutti ci rendiamo conto che è necessario ristabilire la normalità. La normalità della reciproca legittimazione fra chi governa e chi si oppone, la normalità della democrazia che prevede sì l’alternanza al governo ma non il tentativo di rovesciarlo senza un voto democratico, la normalità di un governo che fa e di una opposizione che dice al governo: “Questo provvedimento è sbagliato, non è sufficiente, noi lo trasformeremmo in questo senso”.
In altre parole, una maggioranza ha bisogno non solo del consenso popolare ma anche, e forse ancora di più, del dissenso dell’opposizione. Ha bisogno di essere tallonata da una forte opposizione, pena il suo accomodarsi nella banalità del quieto vivacchiare, un’opposizione che contrapponga idee a idee, programmi a programmi. Ciò che da troppo tempo non succede. Ecco perché faccio il tifo per una buona soluzione della crisi del Pd.

venerdì 26 giugno 2009

Quando le buone notizie non fanno notizia

È noto, e spesso se ne rammaricano gli stessi giornalisti, che una buona notizia non è considerata una notizia. Una brutta, invece, lo è. Se poi a questa sorta di gerarchia si sovrappongono necessità politiche (il governo degli avversari non può fare qualcosa di buono), la scelta è più decisa e, diciamo così, più motivata.
Ricordate sulla Nuova Sardegna i titoli in prima pagina sulla chiusura certa dello stabilimento di Portotorres? E ricordate, sempre in prima pagina, i titoli sulla mobilitazione del Sulcis-Iglesiente per scongiurare questa chiusura. La prima pagina, come è ovvio, va dappertutto, sia nel Sulcis sia nelle altre sette province sarde e tutti i lettori in tutti i paesi e le città sarde sono invitati ad indignarsi contro la insensibilità del governo regionale di centro destra.
Capita, invece, che la buona notizia secondo cui è “scongiurata per il momento la chiusura definitiva dello stabilimento Portovesme srl” è relegata nella 21. pagina leggibile solo nel Sulcis, nel Cagliaritano e nell’Oristanese. E del fatto positivo si parla con diffidenza nei riguardi dell’impegno della Regione e riportando, invece, tutto lo scetticismo dei sindacati.
È chiaro che non posso né voglio sovrappormi alle scelte editoriali della Nuova: sono naturalmente di competenza non mia. A me non resta che criticare questo modo di fare giornalismo in cui pregiudizi politici e mestiere si mescolano, lasciando però i primi a galla.

giovedì 25 giugno 2009

Un water non metaforico e il "diritto di cronaca"

di Mariano Solinas

Caro Senatore,
Berlusconi ha basato gran parte della propria fortuna politica sull'ostentazione del privato (carriera da imprenditore, sposo felice, presidente del Milan). Non si lamenti allora quando il privato si rivela per quello che è: col privato si può vincere (se gira bene) e si può perdere (se gira male). Prenda ad esempio le decine di migliaia di schede annullate nel milanese con la scritta "Questo è per Kakà": col Milan ha guadagnato voti, adesso ne ha persi. Nulla di particolarmente eclatante.
Riguardo l'attribuzione della 'scossa' a d'Alema (che mi sta cordialmente antipatico quasi quanto Berlusconi), mi pare una scusa patetica. Le ho già chiesto, ironicamente, di guardare la luna, ma non mi permetto di replicare la battuta. Però le chiedo di darci una sua opinione/spiegazione in merito all'evidente contrasto dentro il PDL per quanto riguarda il dopo-Berlusconi (chiaramente visibile, ad esempio, dal progressivo distacco delle posizioni di Fini). A meno che non voglia ignorare anche queste e dirmi che la stampa non ne parla.
Grazie

Caro Solinas, C’è una differenza sostanziale tra lei e me: lei usa le categorie “simpatia” e “antipatia” in un ragionamento che vorrebbe essere politico, io mi rifiuto di pensare alla politica con il setaccio di queste due categorie. Ci mancherebbe altro. Ma vengo alle sue argomentazioni, una per una, non per convincerla, naturalmente, ma per segnalarle che si può discutere con rispetto reciproco, cosa che le evidentemente estranea, come si evince dal fatto che definisce “scusa patetica” un mio giudizio. E come, anche, viene fuori dalla metafora orientale (“Il saggio indica la luna, l’imbecille guarda il dito”) in cui lei sarebbe il saggio e io l’imbecille. Berlusconi ha basato gran parte della propria fortuna politica sull'ostentazione del privato (carriera da imprenditore, sposo felice, presidente del Milan). Non si lamenti allora quando il privato si rivela per quello che è: col privato si può vincere (se gira bene) e si può perdere (se gira male)”. Naturalmente me ne guardo bene dal disprezzare questa sua opinione che resta, comunque, una sua opinione. Se lei, oltre alle approssimazioni mediatiche, leggesse qualcuno dei saggi scritti intorno al “fenomeno Berlusconi” da suoi avversari, non in balia di urgenze propagandiste, si renderebbe conto che la questione è assai più complessa. Per dire, tutti gli riconoscono che ha dato una svolta al sistema politico italiano e ne ha reso possibile la semplificazione. Tutte cose che con il privato non c’entrano. Ma la seguo sul terreno che ha scelto: chi di privato ferisce, di privato… Lei pensa sinceramente che la supposta “ostentazione del privato” autorizzi qualcuno a frugare furtivamente nell’intimità di una casa? Fotografare, registrare, carpire informazioni in occasioni pubbliche, per poi criticarne i comportamenti è legittimo, spiarlo dentro le mura domestiche è illegittimo. Fra le foto che avrebbero colto il presidente del Consiglio in “atteggiamenti compromettenti” ce n’è una, ripresa con un potentissimo teleobiettivo attraverso la luce di una finestra socchiusa, che ritrae Berlusconi seduto sul water. Le pare esercizio del diritto di cronaca? Se non a me e. mi auguro, al fondo della sua coscienza, può dare almeno ragione a sentenze della magistratura e a provvedimenti del Garante della privacy? Prenda ad esempio le decine di migliaia di schede annullate nel milanese con la scritta "Questo è per Kakà": col Milan ha guadagnato voti, adesso ne ha persi.”. Decine di migliaia? Le ha contate lei o ha bevuto senza alcun filtro critico una informazione quasi impossibile da controllare? Lei sa che, quando un presidente di seggio si trova di fronte ad una scheda nulla, non dice che cosa c’è scritto? Lo dirà chi ha annullato la scheda, è un suo diritto. E lei pensa che “decine di migliaia” di elettori abbiano riferito a qualche giornalista di aver punito il presidente del Milan? Ma se anche fosse, come fa un cittadino appena appena responsabile, a gioire di questo poujadismo calcistico che non attiene minimamente ad una legittima critica all’operato del governo? Riguardo l'attribuzione della 'scossa' a d'Alema (che mi sta cordialmente antipatico quasi quanto Berlusconi), mi pare una scusa patetica”. Vogliamo ripercorrere che cosa è successo? Massimo D’Alema ha annunciato in una intervista televisiva che sta per arrivare una scossa per Berlusconi. Non dice altro, ma l’intervistatrice (e molti giornali in seguito dicono lo stesso) pensa che D’Alema abbia in mente la possibilità che di lì a poco scoppi uno scandalo. E to’, di lì a poco ecco “lo scandalo”. L’ex premier è un indovino o sa? E se sa, è questo un comportamento consono a un grande dirigente politico? Permetterà che un qualche dubbio sia legittimo. Non lo dico io, lo dicono molti giornali “non collusi” con Berlusconi, probabilmente non quello che legge lei. Le chiedo di darci una sua opinione/spiegazione in merito all'evidente contrasto dentro il PDL per quanto riguarda il dopo-Berlusconi (chiaramente visibile, ad esempio, dal progressivo distacco delle posizioni di Fini)”. Non so nel suo, se ne ha, ma nel mio partito, il centralismo democratico non ha mai avuto cittadinanza. E le discussioni, franche e a volte anche aspre, quelle sì hanno diritto di uscire fuori dalle stanze dei dirigenti. C’è una curiosità, però, che vorrei mi aiutasse a esaudire: perché quelle che in altri partiti sono discussioni, nel Pdl sono “evidenti contrasti”? Quanto al “dopo Berlusconi”, vorrei considerasse un fatto: il dopo Berlusconi si aprirà solo dopo Berlusconi, visto che la carica di responsabile del partito non è un fatto dinastico. Stimo molto il presidente Fini, vedo che sa fare il suo “mestiere” di presidente della Camera con equilibrio e terziarità, apprezzo – anche se non sempre condivido – le sue esternazioni e lo considero patrimonio del centro destra. Inutilmente e per ragioni strumentali, il centro sinistra tenta (qui sì pateticamente) di accreditare l’idea che Gianfranco Fini possa essere terreno di caccia per la sua battaglia di delegittimazione di Berlusconi. Certo, Fini è giovane, brillante, uomo di grandi capacità intellettuali e pienamente legittimato ad aspirare, un giorno, alla guida del Pdl. Per ora, e da molto tempo, continua a ribadire che il leader naturale del partito è Belusconi. Le parrà curioso, ma mi fido più delle sue parole (dette personalmente anche a me che godo della sua amicizia) e dei suoi atti che delle ciance mediatiche. E infine, l’ultima questione: “Le ho già chiesto, ironicamente, di guardare la luna”. Come avrà letto in questa lunga rispettosa risposta, le ho mostrato che, sia pure da una prospettiva diversa dalla sua, guardo la luna. Mi resta una domanda non evasa: chi è il saggio della metafora cinese e, soprattutto, chi ha continuato a guardare il dito, con ciò che consegue?

mercoledì 24 giugno 2009

Fuori dai gossip per ridare fiducia ai cittadini

Da tempo vado dicendo come sia urgente provvedere alla bonifica dei pozzi avvelenati sia da chi fa cronaca scandalistica sia da chi ne fa un utilizzo che, con una buona dose di approssimazione, si direbbe “politico”. È con grande piacere e soddisfazione che leggo di un appello lanciato da parlamentari di tutti i partiti, salvo che dai dipietristi. È ora di pensare al bene comune, sostengono i parlamentari e io sottoscrivo.
In queste ultime settimane, il quotidiano-partito della sinistra ha schizzato fango sul presidente del Consiglio ed alcuni dirigenti della sinistra ne hanno approfittato. Prima con grevi insinuazioni pruriginose su una festa di compleanno, quindi con la descrizione di fotografie rubate nell’intimità di una abitazione (lussuosa ma privata), poi con la condanna in primo grado (e quindi ancora innocente) di un legale accusato di essersi lasciato corrompere da Berlusconi, infine con la risibile storia di un presunto abuso nell’uso di aerei di Stato.
Il tutto per limitare i danni di una inevitabile sconfitta della sinistra nelle elezioni europee e amministrative. La sconfitta c’è stata ed è stata pesante. Si è quindi tentata la rivincita, attraverso una torbida vicenda di slip femminili abbassati del tutto o solo a mezz’asta. Siamo, di nuovo, di fronte a pettegolezzi, gossip, barzellette grasse e al tentativo di delegittimare, attraverso un moralismo d’accatto, un primo ministro sgradito al quotidiano-partito e alla tentazione, non sempre resistita, di sfruttare questi cicalecci da cortile a fini elettorali.
Personalmente ho profondo rispetto per la morale e per l’etica politica e le pratico, ma disprezzo altrettanto profondamente il moralismo a corrente alternata di chi avrebbe molto da temere se i divani del Senato acquistassero per incanto la parola. Resta il fatto che anche questo disperato tentativo di delegittimazione pruriginosa è fallito. Ma ci sono stati effetti collaterali terribili, primo di tutti l’astensione di cittadini disgustati dalla “politica”, quale essi sono stati educati a definire la pessima politica e i pettegolezzi da Bar degli amici, dove ci si ritrova a maledire il tempo, le donne e il governo.
La politica è cosa diversa, come testimonia il gran lavoro che in Parlamento fanno deputati e senatori di opposizione e di maggioranza. Un lavoro che raramente, e quasi solo se può dare origine a gossip e pettegolezzi, approda sui giornali e, quindi, alla conoscenza dei cittadini. Qualche anno fa, al presidente della Costituente per la Costituzione europea, Giscard d’Estaing fu chiesto come mai il loro lavoro, così importante per il destino dei cittadini europei, non avesse se non pochissimo rilievo sui giornali. La risposta fu lapidaria: “Perché qui non si vede scorrere sangue”. Parafrasandolo, si potrebbe dire che nel lavoro quotidiano di deputati e sanatori non “si vedono scorrere gossip e maledicenze”.
Sarà molto difficile perdonare i responsabili di questo imbarbarimento, ma siamo in tempo – come dicono i firmatari dell’appello – per riflettere e “dire con chiarezza dove vogliamo andare e quale proposta di speranza possiamo offrire agli italiani”. Sappiamo tutto di che cosa pensa una certa dirigenza della sinistra sulla utilità del gossip nella lotta politica, non sappiamo che cosa propone ai cittadini. Sappiamo tutto sul costo della disponibilità di certe signore, alcune semplici “ragazze immagine” come si definiscono loro, altre qualcosa in più; poco sappiamo, da giornali troppo presi dai pettegolezzi, quanto costa vivere nel malessere sociale ed economico e che cosa il governo fa per alleviare questo malessere.
La bonifica dei pozzi avvelenati è ancora possibile, con la volontà di chi, in maggioranza o all’opposizione, i cittadini hanno eletto, al Parlamento, nelle Regioni, nei Comuni, nelle Province. Preliminare a tutto è una cosa molto semplice e pacifica: riconoscere che questo governo ha avuto dal Parlamento e dai cittadini che lo hanno eletto il mandato di governare lo Stato per cinque anni. E che i tentativi di “scossa” sono sì patetici ma sono soprattutto pericolosi per la pacifica coesistenza di chi la pensa così e di chi la pensa cosà.

martedì 23 giugno 2009

E ora bonifichiamo i pozzi avvelenati

Il ragionamento è grosso modo questo: “Sono felice come una Pasqua, anche se ho preso una legnata, perché il mio avversario ha vinto meno di quanto io temessi”. O anche: “E’ vero che ho fatto una caduta rovinosa, ma sono contento perché temevo di rompermi le testa e invece mi sono rotto solo le gambe, il che significa che per il mio avversario è cominciato il declino”. O ancora, variazione sul tema: “La valanga di spazzatura che media amici miei hanno gettato sul mio avversario ne hanno frenato la corsa al successo elettorale”.
Mettiamo che ciò sia vero. Io non nego affatto che nel mio schieramento ci sia chi ama le iperboli e di queste si serva nel dibattito politico. Ma si tratta di persone che non ricoprono posti di responsabilità. Resto così allibito, pensando che gruppi dirigenti di una sinistra conosciuta una volta per il suo senso di responsabilità, possa gioire del fatto che la campagna mediatica di un quotidiano-partito come La Repubblica abbia disgustato così tanto l’opinione pubblica da indurre all’astensione milioni di persone. Con l’effetto di far sì vincere il centro-destra, ma un po’ meno di quanto temesse la sinistra, la quale “come una parodia di Narciso, si specchia nel culto della propria (supposta) superiorità”.
Pierluigi Battista, non certo sospettabile di simpatie berlusconiane, insieme a questa similitudine, ha scritto altre parole di fuoco, ieri sul Corriere della Sera, contro il capintesta della campagna scandalistica di Repubblica, tale D’Avanzo. “Berlusconi” ironizza con sarcasmo impietoso Battista “ha (sinora) vinto perché l’Italia è stata “affatturata”, incantata, ipnotizzata. Non per demeriti di chi gli si opponeva, no, per carità. Ma perché la realtà, la dura e solida realtà, nulla può contro le pozioni magiche somministrate in quantità industriale alla maggioranza degli italiani, oramai permanentemente storditi e incapaci di reagire”.
Ecco dunque l’Italia razionale, quella perbene, che si scaglia contro l’Italia irrazionale, quella permale, dove è facile ai D’Avanzo e colleghi trovare “le prove” della corruzione morale di chi vince per magia e sortilegio. Si badi bene, l’Italia perbene è tutta e solo da una parte, così come l’Italia permale è tutta e solo dall’altra parte: donne, bambini, vecchi, uomini dell’Italia permale “devono” comportarsi male in un modo o nell’altro, tanto è vero che basta munirsi di un potentissimo teleobiettivo, più simile a un telescopio che a un obiettivo fotografico, e sicuramente salterà fuori che fra le pareti domestiche si fa quel che l’Italia perbene non fa.
Ora le elezioni sono finite, sarebbe il caso di bonificare i pozzi che erano stati avvelenati nell’illusione che la loro acqua melmosa intossicasse solo l’avversario mortale. Non vado lontano dal vero, pensando che gli effluvi putridi non hanno danneggiato più di tanto il nemico che, infatti, continua a vincere: hanno ammorbato l’aria di tutti. Alcuni hanno deciso di cedere al disgusto per quella che era stata descritta loro come “politica”, la maggioranza, per fortuna, no e ha reagito.
Da qui, mi auguro, anche i leader della Italia perbene, dell’Italia “dei migliori” vorranno partire per allontanare da loro un doppio sospetto: essere alla mercede dei cacciatori di pettegolezzi pruriginosi e servirsi del peggio di questa spazzatura mediatica per combattere la loro battaglia politica. È vero che i pozzi sono ancora avvelenati e putridi, ma con la buona volontà tutti ci potremo lasciare alle spalle questo clima tossico e riprendere una normale vita politica, dove chi perde oggi può vincere domani.
Nel grafico (da Il Corriere della Sera): I comuni capoluogo

lunedì 22 giugno 2009

Referendum: un altro flop per i dirigenti Pd

Saper perdere è una delle arti più difficili e non solo in politica. Ancor prima di conoscere il dato dei votanti per il referendum, il promotore professor Guzzetta ha addebitato il mancato raggiungimento del quorum al ministro Maroni. Suppone, Giovanni Guzzetta che Maroni abbia intimidito gli elettori e probabilmente neppure si rende conto di quanto greve e offensivo sia questo giudizio nei confronti dei cittadini, scambiati per un gregge che un pastore dirige da una parte all’altra.
Ci sarà tempo per ragionare sull’ennesimo flop di un referendum, grande strumento di democrazia ridotto a poca cosa da smanie di protagonismo e, soprattutto, dalla convinzione che il popolo non può non appoggiare le idee di un club di illuministi che, per loro stessa natura, sono nel giusto. Mi interessa, ora, cominciare una riflessione su un altro clamoroso flop: quello della classe dirigente del Pd, l’unico partito che ha appoggiato con forza il sì ai tre quesiti referendari.
Avevo già notato su questo blog come l’invito al “sì” del maggiore partito di opposizione non fosse una legittima scelta tesa ad abrogare alcuni articoli delle legge elettorale. Uno schierarsi a favore di un sistema bipartitico e ad un pur abnorme premio di maggioranza che, anche solo con il consenso del 30 per cento degli elettori, avrebbe assicurato governi stabili e maggioranze inaffondabili. L’avrei ritenuta una scelta capace di innescare processi antidemocratici e però legittima, se coerente.
Ma non è stata questa l’idea del Pd. I dirigenti di questo partito hanno invitato gli elettori a votare sì per rendere possibile una crisi di governo, come l’avrebbe minacciata la Lega in caso di vittoria referendaria. Della scelta in sé, al Pd non importava alcunché, anzi paventava la vittoria del sì come una minaccia alla democrazia, tanto pericolosa da aver già preparato proposte di legge tese a vanificare il voto referendario. Un machiavellismo, un “fiorentinismo” lo definirebbero i politici francesi, davvero poco degno di una classe dirigente appena appena seria e responsabile, comunque diversa da questa che, da avversario sempre rispettoso, non riesco a riconoscere come erede della grande tradizione della sinistra italiana.
Neppure nelle cosiddette roccaforti rosse, forse più sensibili alla seduzione di una spallata al governo Berlusconi, pare che le cose siano andate tanto bene. Un’altra terribile sconfitta si sta delineando per il Pd in questo uso improprio di un referendum. C’è solo da sperare che la battosta serva ai dirigenti più responsabili per dare al Partito democratico una seria svolta nella direzione di una matura consapevolezza del ruolo dell’opposizione in una società civile.

domenica 21 giugno 2009

Ma davvero serve uno "stato sardo"?

di Luca S.

A mio parere non si può non tener nella giusta considerazione il fatto che l'attuale Costituzione è stata redatta da un modello di classe politica che gli eventi (prima la caduta del muro di Berlino e poi mani pulite) hanno radiato dalla scena. Le attuali forze politiche hanno una concezione dello Stato differente rispetto al periodo 1946-1978 (nascita e morte della prima Repubblica, che se ne dica la Prima Repubblica è morta con Aldo Moro), quello successivo sino al 1992 (mani pulite) è un periodo transitorio alla ricerca dell'identità violata.
Dopo dal 1994 è iniziata una nuova era, cambia l'anima della politica sia nel centro-destra che nel centro-sinistra, la Lega insegna che più si alza la voce più si ottiene, il campanilismo prende corpo e anima, e prende forma la filosofia "aiutati che Dio ti aiuta", non c'è più spazio per i timorosi e per chi aspetta che l'aiuto arrivi dall'altro.
La Sardegna prima prenderà coscienza della realtà mutata, e meglio sarà.
Oggi parlare di Autonomia è un non senso, l'Italia di Aldo Moro e De Gasperi non esiste più. L'attuale Italia è già nei fatti e nell'anima Federale, pensare che un Ministro leghista possa stracciarsi le vesti per il popolo Sardo non è cosa seria, ma c'è di più: ormai la quasi totalità dei Parlamentari ha acquisito, tanti forse inconsciamente, un anima territoriale, fenomeno poco visibile negli onorevoli Sardi, troppo brave persone di un tempo che fu.
L’atmosfera sociale è cambiata, il buonismo senza la giusta cattiveria nel far valere le proprie ragioni è perdente, in tutti i campi.
A mio modo di vedere la migliore via di uscita per la Sardegna è quella di acquisire lo "status" di "Stato Federale", sul modello degli Stati Uniti d'America. Uno Stato Sardegna con un Codice Civile Sardo, un Codice Penale Sardo, etc.
Come ha scritto l'onorevole Maninchedda "del Territorio della Sardegna devono decidere i Sardi", ed invece spesso la piccola politica sarda ha messo i tappeti rossi sotto i piedi dell'avventuriero continentale, mentre nei confronti di un giovane Sardo qualunque cavillo è sempre stato utile per stroncarne la voglia d'intraprendere.
Invidia e cattiveria nei confronti dei propri fratelli, amici, compaesani, corregionali e deferenza quasi genuflessione nei confronti del ricco (presunto)potente forestiero.
La maledizione “Pocos locos y malunidos” è difficile da estirpare, questo maleficio lo possiamo spezzare solo con le nostre mani, se aspettiamo che siano mani estranee a farlo stiamo freschi. E' tempo che questo insano costume venga sradicato dagli usi e consuetudini e che i giovani sardi siano portati a confrontarsi con quelli d'oltremare e di tutto il mondo, senza timore reverenziale alcuno, e che sopratutto nell'Isola siano capaci di fare squadra per far prevalere, il benessere a tutti i livelli.
Per raggiungere tali obbiettivi la Politica risulta fondamentale, un politico è come un allenatore di una squadra di calcio, deve cercare di far operare tutti i cittadini verso lo stesso fine.
Buon lavoro Onorevole
PS: non sia troppo buono un po’ di cattiveria nel far valere le proprie ragioni, si arrabbi non per lei ma per la Sardegna, porti l'Unione Mediterranea, a Cagliari. Ho letto che in Luglio a Milano la sottosegretaria Stefania Craxi ha convocato un convegno sul tema, a cui parteciperà anche il Presidente dell'Egitto, credo che la Sardegna sarebbe stato un luogo più naturale. Ma l'onorevole Craxi se non sbaglio è milanese.


Caro sig. Luca,
come vede ho trasformato in articolo il suo commento di avantieri al mio “Indipendenza no, autodeterminazione sì” del 25 maggio scorso, intervento del quale la ringrazio per l’acutezza delle osservazioni che contiene.
Concordo con lei che l’autonomia, quella storicamente avutasi in Sardegna, ha fatto il suo tempo e, infatti, mi trovo in perfetta sintonia con il progetto di Nuovo statuto speciale elaborato da un apposito comitato. Tanto in sintonia che l’ho presentato al Senato. Se ancora non lo conoscesse, lo può trovare nel mio sito e leggendolo vi troverà molto di quel che lei ritiene debba essere un’Italia federale.
Divergiamo, ma forse si tratta più che altro di questioni nominalistiche, sulla questione dello Stato sardo. A differenza di quanto succede negli Usa, dove gli states non sono gli uni separati dagli altri ma fra loro legati nell’Unione, in Europa la costituzione dello Stato sardo presupporrebbe la rottura dell’unità della Repubblica italiana e il sollevarsi di conflitti di difficilissima (e al momento impossibile) soluzione. Ciò che, fra l’altro, rinvierebbe a chi sa quando la risoluzione di un problema vero: l’acquisizione da parte della Sardegna di tutta la sovranità necessaria al suo autogoverno e alla sua prosperità.
Anche io, come l’amico Maninchedda, sono dell’idea che "del territorio della Sardegna devono decidere i Sardi". Ma non con uno “Stato sardo”, con un processo di indipendenza statuale nei confronti dei quali non ho paure né semantiche né timori di eresia: lo ritengo semplicemente inutile e dannoso alla Sardegna. Lei parla di un codice penale e di un codice civile sardi. Davvero ritiene indispensabile cancellare i codici italiani, frutto di un’altissima cultura giuridica (sia pure permeabile ad incursioni fasciste di cui però ci si è liberati) o non pensa che valga la pena, come pure succede in alcune altre nazioni senza stato, di adattarli alle nostre sensibilità?
Ecco un terreno su cui sarei interessato a conoscere la sua opinione e ad aprire una discussione.

sabato 20 giugno 2009

Appalti e subappalti: facciamo una legge insieme?

Il criterio del massimo ribasso nell’assegnazione degli appalti e quello del favorire i meccanismi del subappalto è spesso fra le cause della poca sicurezza nei posti di lavoro e, quindi, degli incidenti spesso mortali. Questa considerazione che ho fatto anche in Senato, ricordando i morti alla Saras di Sarroch, mi ha spinto a scrivere una lettera ai membri dell’Osservatorio della Chimica e all’assessore dell’Industria, Andreina Farris, che ho pregato di farsene interprete.
La mia idea, come si può leggere, è di esortare i sindacati e gli imprenditori, a volte molto critici non solo della legge, ma anche dei legislatori, a mettere la loro competenza al servizio di una buona legge. Sarebbe un eccellente modo per passare dalla lamentazione per le cose che si subiscono alla proposizione positiva delle cose da fare per diventare protagonisti delle scelte che li riguardano.

Cara Andreina,
ti chiedo di farti portavoce di una mia proposta presso l'Osservatorio della Chimica.
Alla luce dell'ultimo incidente verificatosi alla SARAS si è riaperta con forza la dolorosa e annosa problematica della sicurezza sul lavoro, ma in modo particolare è emersa l'improrogabilità di una modifica delle normative sugli appalti.
Mi riferisco in particolare a quelle che, nel privilegiare nell'assegnazione il parametro del massimo ribasso e nel favorire il meccanismo del sub-appalto, inducono ad una minore qualità del lavoro ed ad una riduzione della garanzia di sicurezza dei lavoratori.
Per quanto sopra chiedo a te e a tutti i Componenti l'Osservatorio la costituzione in tempi brevi di un tavolo di lavoro tecnico che elabori al più presto una o più proposte di legge, che il sottoscritto si impegna a presentare al Senato, coinvolgendo il maggior numero di parlamentari al fine di modificare la legislazione vigente.
Certo di un tuo cortese e sollecito riscontro e pregandoti di porgere i miei saluti a tutti i componenti dell'Osservatorio, ti invio i miei più affettuosi saluti.

venerdì 19 giugno 2009

I sindacati sardi e lo Statuto speciale

È passato quasi inosservato, e comunque senza particolari commenti, il cambio di marcia dei sindacati sardi nell’annunciare lo sciopero generale del 10 luglio. Non entro in merito, ci mancherebbe altro, delle motivazioni della manifestazione sindacale che si annuncia vigorosa. Mi interessa di più una dichiarazione che, ripeto, avrebbe meritato ben altro rilievo che non la citazione in fondo agli articoli di giornale. Lo sciopero di luglio, dicono Cgil, Cisl e Uil, è il primo passo verso un’assemblea del popolo sardo che dia forza a una nuova stagione costituente per riscrivere lo Statuto speciale e avviare le necessarie riforme istituzionali.
Per chi, come me, è fermamente convinto che non tutto possa e debba essere ridotto alle questioni economiche e finanziarie, che una società civile debba badare a riformare il quadro istituzionale entro cui si agitano “anche” le questioni economiche, quelle dei sindacati sono parole sacrosante. E non sto neppure a discutere se siano tardive o tempestive. Io ho appoggiato e appoggio sia il progetto di Nuovo Statuto speciale (tant’è che l’ho presentato in Senato) sia la decisione con cui il presidente della Regione ha fatto della riscrittura della nostra Carta una priorità.
C’è più di una ovvia banalità nel vetusto dire che prima bisogna mangiare e poi filosofare, cioè occuparsi di cose apparentemente immateriali. È ovvio, e persino scontato, che una persona indebilitata dalla propria condizione materiale non sia portata a ragionare sulle riforme, anche se da queste riforme venga la possibilità di un futuro benessere e una speranza di prosperità. Ma è inutile sperare che ci possa essere pane se non si pensa a costruire e a far funzionare i forni.
Ecco, il rapporto fra la condizione materiale attuale e un nuovo quadro di poteri e di competenze istituzionali è proprio quello della metafora pane e forni. Le vecchie concezioni economiciste hanno nel passato combinato guai enormi: lo sviluppo economico è stato messo in conflitto con i problemi della nostra identità nel senso che bisognava scegliere fra la presunta arcaicità della cultura sarda e la modernità più o meno cosmopolita e, comunque, progressista. Il nostro obsoleto Statuto è stato fatto passare, fuori ma soprattuto dentro la Sardegna, come una concessione statale tesa al riequilibrio fra sviluppo continentale e sottosviluppo isolano. Le questioni della identità (lingua, cultura, maniera di rapportarsi dentro le comunità e fra comunità, senso del giusto, rapporto con l’ambiente) non hanno avuto, e nello Statuto attuale non hanno ancora) alcun rilievo, secondo il vecchio pregiudizio economicista che si tratta sempre e solo di questioni “sovrastrutturali”, epifenomeni delle uniche cose che contano: l’economia e i rapporti di produzioni.
Ecco perché a me sembra di enorme rilievo il richiamo dei sindacati alla opportunità di un nuovo congresso del popolo sardo e alla necessità di “riscrivere” (e non solo riformare, dunque) lo Statuto speciale.

giovedì 18 giugno 2009

Quel curioso "sì" del Pd al referendum

La vittoria del sì al referendum di domenica potrebbe comportare un rischio per la democrazia, sostiene in un’intervista Achille Passoni, l’incaricato d’affari di Franceschini in Sardegna. “E’ antidemocratico che con il 30 per cento si possa ottenere la maggioranza assoluta del Parlamento” dice oggi su La Nuova Sardegna. Quindi, pensi, Passoni farà di tutto per impedire che il referendum passi o che il sì prevalga. Sbagliato. Voterà e farà votare “sì”.
Gli va bene, allora, un regime antidemocratico in cui il 30 per cento coincida con la maggioranza dei seggi in Parlamento? Certamente, se fosse alle viste una vittoria del Pd. Ma neppure lui ha sogni così arditi. Il fatto è che, nel caso prevalgano i referendari, il Pd è pronto a tradire il voto popolare e già ha nel cassetto proposte di legge che di fatto si accingono a vanificare un ventuale maggioranza di sì. Proposte che, insomma, pretendono dalla maggioranza la rinuncia all’opportunità di servirsi in futuro delle nuove norme di legge risultanti dal referendum.
Il caldo vero non è ancora cominciato, ma, forse, ha fatto già la prima vittima? No, non è così, pare. A Passoni, ma non solo a lui, evidentemente, interessa solo una cosa e con candore lo confessa al cronista che l’intervista: “Dobbiamo far emergere le contraddizioni” fra Bossi che ha minacciato la crisi (se dovesse vincere il sì) e Berlusconi. Come direbbero a Oxford, a me dell’esito referendario non me ne può fregare di meno: quel che mi interessa è che cada questo governo, anche a costo di aprire in futuro le porte a un regime antidemocratico. Tanto peggio, tanto meglio.
Con curiosa concezione della par condicio, lo stesso quotidiano intervista un fautore del no, Federico Palomba, che è stato fra i fautori del sì la scorsa legislatura, quando si pensava che potesse essere la sinistra a beneficiare dell’esito referendario. Si sarebbe, è vero, instaurato un regime antidemocratico in cui con il 30 per cento si otteneva la maggioranza assoluta del Parlamento. Antidemocratico sì, ma poiché a governare sarebbero stati i migliori, come bontà loro amano definirsi, che importanza ha?
Anche Palomba lo confessa con assoluto candore al cronista che gli chiede perché il referendum voluto da Di Pietro ora non possa essere usato. “Ora c’è Barlusconi” risponde l’ineffabile Palomba il quale paventa ora una “dittatura di minoranza”. Cioè la stessa “dittatura di minoranza” che ci sarebbe stata se avesse potuto vincere la sinistra? Ma no, scherziamo, in quel caso si sarebbe trattato di “dittatura del proletariato”, vuoi mettere?
Cari amici, vi parrà curioso e anche un po’ bizzarro, ma questa è la sinistra che attende la scossa per cacciare Berlusconi – i mezzi poco contano – per tornare al governo.

martedì 16 giugno 2009

La luna e il dito come paravento

Due lettori di questo blog, che ringrazio di cuore per la loro attenzione, pongono nei loro commenti a due miei articoli una serie di questioni di rilievo. Mariano Solinas commenta "Scossa o spallata, attenti alla violenza", Piero Fancello ritorna sull'articolo "Insisto: non basta avere una Circoscrizione sarda" che aveva già commentato.

Caro Solinas, vorrei davvero poter parlare della luna e trascurare il dito che la indica, ma purtroppo è più urgente, per la convivenza pacifica, occuparsi del dito. Il dibattito aereo sugli astri del cielo non tiene conto che, spesso, abbiamo a che fare con le miserie di una certa concezione della politica. Lei, che ha evidentemente un filo diretto con Berlusconi e con D’Alema, è convinto che il presidente del Consiglio pensi a un complotto interno alla maggioranza e che D’Alema prepari la sinistra a cavalcare la “scossa” provocata dal complotto intestino al centrodestra.
Invidio le sue certezze e la sua capacità di guardare gli astri, mentre qui, su quella porzione di terra che è l’Italia, noi poveri sciocchi siamo costretti ad occuparci di cianfrusaglie come il tentativo di delegittimare un primo ministro eletto dai cittadini. Sui giornali si annuncia lo scoppio di uno scandalo per i giorni del G8. Gli organizzatori dello scandalo non devono essere ancora pronti, attendono il momento più opportuno per fare i maggiori danni possibili alla vittima e all’immagine dell’Italia, ma sono certamente estimatori di Vico e dei suoi corsi e ricorsi della storia. Nel 1994, anche allora in pieno G8, riuscirono ad infangare Berlusconi che dovette attendere anni per vederee vanificate le accuse. Il danno era comunque fatto e il suo governo dimesso.
Lei chiede: come mai i rumors sul dopo Berlusconi? Sa com’è, noi piccoli uomini poco adusi a colloquiare con gli astri abbiamo orecchie e sentiamo montare giorno dopo giorno le voci dei nostri avversari che assistono, solo spettatori?, forse, al montaggio dei pezzi di Meccano per una costruzione che dovrebbe essere pronta alla vigilia del G8 dell’Aquila. Contano molto sul botto, che non c’è stato con le prove di delegittimazione attraverso pettegolezzi, teoremi giudiziari, gossip, scaldaletti da tre soldi montati intorno a legittimi e legali viaggi degli aerei di stato.
C’è qualcosa di più eversivo della costruzione lenta e progressiva, dosata attraverso annunci di “scosse” e di scandali in progress, di una bomba mediatica ad orologeria?


Signor Fancello, la cosiddetta proposta Calderoli sembrò a me, ciascuno risponde delle proprie azioni, una buona cosa, che andava incontro alla richiesta di un vasto movimento che in maniera trasversale chiedeva una circoscrizione per la sola Sardegna. Le confido che anche io, nel momento della battaglia, ero convinto che ciò bastasse. E siccome sembrava una cosa buona, ovviamente l’idea della circoscrizione sarda fu oggetto di campagna elettorale, sia da parte del Pdl sia da parte del Pd. In maniera ovviamente diversa, ma la questione fu allora dibattuta.
Come lei sa, il governo non fece a tempo a presentare l’inserimento dello scorporo nel ddl che fu poi approvato il 29 febbraio. Francamente non penso che Calderoli, nell’elaborare la sua proposta di scorporo senza una contestuale modifica delle norme per l’attribuzione dei seggi, abbia pensato di fare uno sgarbo alla Sardegna: non è nell’interesse della Lega aprire un conflitto con la Sardegna. Può essere capitato, molto più semplicemente, che non si pensasse allora al rischio di un astensionismo che passasse, come è successo, dal fisiologico al patologico.
Per mio conto, leggendo con maggiore attenzione il testo che poi è diventato legge il 29 febbraio, mi sono accorto che, in caso di forte astensione, il sistema di attribuzione dei seggi attraverso la determinazione di un quorum nazionale, avrebbe reso vano lo scorporo e, peggio, avrebbe potuto avere l’effetto di impedire l’elezione di un europarlamentare sardo. Per questo non ho personalmente insistito sulla necessità di una circoscrizione sarda.
Ero cosciente del fatto che da un lato c’era la mancata attuazione di una promessa fatta ai sardi e dall’altro la possibilità concreta di eleggere almeno un eurodeputato sardo. Ma vorrei porle una domanda paradossale. Mettiamo che un governo, questo o un altro, prometta agli elettori un provvedimento che sicuramente li danneggerà. Il giorno che quel governo non dovesse mantenere la promessa, lei che fa: gioisce per lo scampato pericolo o protesta perché il governo non ha mantenuto la promessa di danneggiare lei e i suoi conterranei?

lunedì 15 giugno 2009

Scossa o spallata, attenti alla violenza

Una volta, gli impazienti rivoluzionari la chiamavano “spallata”, ora il riformista D’Alema la derubrica in “scossa”. Ma si tratta della solita vocazione a cambiare con mezzi non democratici un risultato elettorale sgradito. D’Alema ha chiesto all’opposizione di tenersi pronta nella imminenza di una “scossa” che sente nell’aria. Interpreti del pensiero d’alemiano pensano che in un prossimo futuro sarà uno scandalo a travolgere il presidente del Consiglio.
Qualcuno di loro, immagino, lo starà già montando, disilluso dal fallimento della campagna di pettegolezzi, gossip, insinuazioni pruriginose e di altro ciarpame scatenata nell’imminenza delle elezioni europee. Questa paccottiglia maleodorante non ha cambiato, anzi ha rafforzato, il consenso al governo. Ma ha avuto l’effetto di imbarbarire il confronto elettorale. Un simile risultato, lungi da consigliare ai fabbricatori di pettegolezzi di smetterla, li sta inducendo a rilanciare sempre più in alto, fino a tentare la costruzione di uno scenario da colpo di stato bianco.
La “scossa” appunto che, nelle parole di D’Alema, dovrebbe indurre l’opposizione a tenersi pronta ad “assumersi le sue responsabilità con molta forza ed autorevolezza”.
Negli ambienti giornalistici già circolano – fanno sapere alcuni quotidiani – i nomi dei “salvatori della patria” pronti ad assumere il comando una volta arrivato a buon fine quel “complotto eversivo” di cui ha parlato il presidente del Consiglio.
Un quotidiano non sospettabile di simpatie berlusconiane, il Corriere della Sera, titola così l’editoriale di Massimo Franco, notista sempre assai misurato, dedicato all’uscita di D’Alema: “Dietro l’allarmismo una minoranza smarrita e pronta a tutto”. È quel “pronta a tutto” che inquieta, anche per la fonte da cui proviene la denuncia. Del resto, posso testimoniare personalmente come in Senato, da qualche tempo si avvertono rumors di un imminente esisto di una montatura costruita intorno a Berlusconi.
Chi mi conosce, sa che non amo le parole forti della retorica e dell’indignazione militante. Ma quel “pronta a tutto” evoca in me, e dovrebbe evocarlo in tutti coloro che amano la convivenza pacifica, scenari inquietanti in cui il confine fra la violenza verbale e la violenza tout court si assottigliano paurosamente

domenica 14 giugno 2009

Insisto: non basta avere una Circoscrizione sarda

Un interessante editoriale del direttore dell’Unione sarda fa una attenta analisi del voto sardo per le Europee. In larga parte la condivido, ma c’è un passaggio che, a mio parere, da una risposta errata alla domanda che Paolo Figus pone a sé e ai suoi lettori: “La Sardegna sedotta e abbandonata?”.
Dice Figus: “Durante la campagna elettorale era stato promesso ai sardi un collegio separato dalla Sicilia, questo per poter finalmente eleggere direttamente candidati sardi a Strasburgo. Il Governo non ha fatto in tempo e così si è arrivato all'assurdo che Francesca Barracciu (Pd, 116 mila preferenze) e Maddalena Calìa (Pdl, 115 mila) siano rimaste a casa mentre il candidato dell'Idv con soli 17 mila voti è volato a Strasburgo per il gioco di rinunce a livello nazionale”.
Il fatto è, e lo vado ripetendo da tempo, che l’elezione dell’unico europarlamentare sardo è dovuta proprio al fatto che il Parlamento non ha fatto in tempo a scorporare la Sardegna dalla Sicilia. Se avesse fatto in tempo a licenziare il provvedimento di scorporo, la Sardegna non avrebbe eletto neppure Giommaria Uggias. Nella ipotetica circoscrizione Sardegna, nessun partito avrebbe raggiunto il proprio quoziente elettorale e nessuno avrebbe potuto partecipare alla attribuzione di un seggio per via del resto più alto.
So che un blog non è il luogo più adatto a farla lunga con le complesse norme stabilite dalla legge n. 10 del 29 febbraio 2009. Ma ecco che cosa dicono:
[si] procede al riparto dei seggi tra le liste di cui al numero 1-bis) [quelle che hanno superato lo sbarramento del 4%, ndr] in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista. A tal fine divide il totale delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi per il numero dei seggi da attribuire, ottenendo così il quoziente elettorale nazionale. Nell’effettuare la divisione trascura l’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide, poi, la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per tale quoziente. Attribuisce quindi ad ogni lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale nazionale risulti contenuto nella cifra elettorale nazionale di ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle liste che abbiano avuto la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di cifra elettorale nazionale si procede per sorteggio. Si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale.

Chi avesse la pazienza di fare questi conti, troverebbe che nella ipotetica circoscrizione sarda né i 202.145 voti del Pdl, né i 198.396 voti del Pd (per non parlare dei 48.756 di Di Pietro) avrebbero sfiorato la cifra elettorale dei rispettivi partiti necessaria alla attribuzione di un seggio. Nessun europarlamentare sardo, dunque, europarlamentare la cui elezione è stata consentita proprio dall’accorpamento con la Sicilia.
La questione non sta solo e tanto nella costituzione della circoscrizione Sardegna quanto nell’assicurare, per così dire, la blindatura del numero degli eletti. Questo non è possibile con il sistema attuale di attribuzione dei seggi, mutuato dalla Camera, che prevede un quorum nazionale. Sarebbe possibile con l’adozione del sistema previsto per il Senato, dove il quorum è regionale. Non mi nego che sarà difficile modificare questo stato di cose, ma personalmente mi batterò perché in questa legislatura ciò avvenga. Ed è chiaro che più forte sarà l’unità dei parlamentari sardi di tutti gli schieramenti, più vicina potrà essere la soluzione.

venerdì 12 giugno 2009

Sinistra a difesa del colonialismo in Libia? Pare di sì

Continuo a vedere bandiere iridate “della pace” pendere da molti balconi sia a Cagliari dove sto sia a Roma nei giorni di impegno al Senato. I colori dell’arcobaleno danno allegria, ma questi particolari danno a che pensare. Fanno riflettere sullo strabismo di una certa sinistra, pacifista a senso unico. I drappi della pace, esposti per protestare contro la guerra portata in Irak dall’amministrazione Bush, si sono irrimediabilmente scoloriti, segno che nessuno ha colto negli avvenimenti successivi all’attacco all’Irak motivi per esprimere desiderio di pace.
Non sono state rinnovate, queste bandiere, neppure di fronte alla recente ripresa di esperimenti nucleari e al lancio di missili da parte della Corea del Nord. Eppure questa attività bellica rappresenta un grave pericolo per la pace in quello scacchiere del mondo e non solo. Eppure la riprovazione e la condanna non vengono solo dagli Stati Uniti o dai soli stati occidentali: forti preoccupazioni sono state espresse anche da Cina e Russia, oltre che dagli stati dell’oriente asiatico.
C’è, in questa sinistra “pacifista” uno strabismo e una singolare concezione della pace: è minacciata solo dagli Usa, e magari da Israele, non da governi, come quello di Pyonghyan, che prova bombe atomiche e minaccia i vicini con micidiali missili capaci di trasportare bombe nucleari. Del resto, è tutta la politica internazionale della sinistra cosiddetta pacifista a funzionare a corrente alternata o, se volete, a sistema binario nel quale esiste solo lo 0 e l’1.
In questi giorni, quando è in visita in Italia il colonnello Gheddafi, pur di esercitare antiberlusconismo senza se e senza ma, si è oggettivamente schierata a difesa del colonialismo italiano in Libia, una delle pagine più nere della storia italiana. Certo, la protesta antilibica è ammantata di sacro furore contro la violazione dei diritti umani in atto in quel paese. Ma questa motivazione avrebbe credibilità se fosse stata preceduta da altrettanto forte indignazione contro, che so?, Fidel Castro andato a Roma per la riunione della Fao o qualsiasi altro dittatore asiatico o africano in visita di stato in Italia. Non essendoci stata alcuna mobilitazione allora, questa contro Gheddafi ha il sapore di una banale contestazione del governo, quello di Berlusconi, che ha riconosciuto e riprovato i crimini coloniali dell’Italia fascista.
La stessa contestazione è venuta da una parte dell’opposizione che, nel delirio antiberlusconiano, si è persino dimenticata che fu un uomo della sinistra, D’Alema, a cominciare il processo di riavvicinamento alla Libia. Un ex presidente del Consiglio, D’Alema appunto, che ha vissuto con fastidio l’intemerata del suo partito. I giovani e gli studenti contestatori della coraggiosa iniziativa dell’attuale presidente del Consiglio non hanno e non possono avere memoria storica (anche se nessuno impedisce loro di leggere, per dire, Frantz Fanon o Jean Paul Sartre, uomini di sinistra).
Non possono sapere (ma potrebbero saperlo) che, per esempio, fu De Gaulle a chiudere la partita della guerra in Algeria, mentre il Partito comunista francese, autore di feroci repressioni in Algeria quando fu al governo, continuava a gridare: “Algeria francese”. E mentre il socialista Mitterrand, ministro degli interni, sosteneva che "la ribellione algerina può trovare un'unica forma terminale: la guerra". Loro non lo sanno (potrebbero però informarsi), ma i dirigenti del Pd sì, se non altro perché molti di loro hanno fatto in tempo ad essere alleati con il Pcf.
La sanzione che il colonialismo italiano in Libia è definitivamente sepolto con il riconoscimento dei torti dell’Italia e con l’ospitalità offerta al massimo rappresentante del popolo libico ha avuto avversari solo nella sinistra e nei movimenti da essa influenzati. Non resta che prenderne atto.
Nella foto: l'intellettuale algerino Aimé Cèsaire Franz Fanon, autore, fra l'altro, di "Dannati della terra"

mercoledì 10 giugno 2009

Un sardo in Europa. Sono contento, e però...

Qualcuno su questo blog parla di “regalo” fatto da Di Pietro a Giommaria Uggias, qualcun altro di “elemosina” fatta ai sardi, concedendo ad Uggias di entrare nel Parlamento europeo. Trovo che queste espressioni facciano parte più di uno stantio bagaglio qualunquista che di un serio ragionare sui meccanismi della democrazia, mai perfetti ma insostituibili. Lo dico senza alcun astio, perché immagino siano parole enfatiche e non pensieri maturati da una riflessione, ma così a me pare che siano: concessioni al qualunquismo, secondo cui la politica è un imbroglio e i politici tutti imbroglioni.
Pur nella contentezza del sapere che la Sardegna è di nuovo rappresentata a Strasburgo, questa volta da Giommaria Uggias, difficile non riflettere sul fatto che il Moralizzatore principe, Di Pietro, ha indotto ben tre eletti dai siciliani a dimettersi per far posto al candidato sardo. Con lui, i dimessi in Sicilia sono quattro.
Non solo non mi scandalizza che il leader di un partito si presenti come primo nella lista di ogni circoscrizione, ma lo trovo giusto: è un segnale dell’unità del partito ovunque questo concorra alle elezioni; così è per Berlusconi, così è per Di Pietro. Di regola, è però il solo capolista eletto in tutte le circoscrizioni a fare un’opzione. Non sono tutti quelli necessari per arrivare al quarto o al quinto dei non eletti, come in questo caso.
Detto ciò, lo ripeto, è importante che in Europa si senta parlare anche in sardo. Un risultato, questo, reso possibile dalla legge elettorale vigente che non sarebbe stato reso possibile dalla riforma Calderoli che avevo sostenuto fino al momento in cui mi sono reso conto che lo scorporo della Sardegna dalla Sicilia nascondeva una trappola. Nella circoscrizione Sardegna, dato il sistema di attribuzione dei seggi mutuato da quello per la Camera, i due eurodeputati assegnati sarebbero stati niente più che virtuali. Ne ho scritto tante altre volte e non insisto.
Mi interessa piuttosto ragionare sulla campagna per l’astensione rivolta ai sardi, già di per sé restii a votare per via di quello che si riteneva, sbagliando, il risultato scontato: nessun sardo sarà eletto. Alcuni degli autori di questa campagna hanno cantato vittoria nelle ore successive al voto: la non elezione di alcun sardo è lo scotto momentaneo da pagare alla ribellione dei sardi contro i “partiti italiani”.
Le cose sono andate in maniera diversa, sia pure per via delle dimissioni a catena nella lista dell’IdV in Sicilia. Un eurodeputato sardo è stato eletto e gli astensionisti programmatici sono stati sconfitti. Insieme con loro è stata battuta la possibilità che a rappresentare la Sardegna fosse almeno un altro sardo. Un po’ meno di ideologismi e un po’ più di amore per la nostra Isola e per il suo popolo non avrebbe guastato.

martedì 9 giugno 2009

Europee: un'occasione sprecata

di Gianfranco Pintore

Caro Senatore
Ho seguito con attenzione la sua battaglia per convincerci che l’elezione di almeno un sardo al Parlamento europeo era possibile. Con ruolo e ragionamenti diversi era quello che ho pensato anch’io. Lei sostenendo, come è naturale, l’ex sindaco di Lula, Maddalena Calia; io dicendo che i due grandi schieramenti avevano pressoché analoghe opportunità. Ero convinto anch’io che era venuto il momento smettere di piangerci addosso e che era importante comunque mandare in Europa almeno un rappresentante della Sardegna. E, va da sé, che condizione indispensabile era la sconfitta della tentazione di affidare all’astensionismo il ruolo di campione della nostra irritazione per l’iniquo accorpamento della Sardegna e della Sicilia in un’unica circoscrizione.
Ha vinto l’idea che l’assolutamente nulla fosse meglio del poco, una edizione più moderata dell’idea che tanto peggio è meglio è. Pro chi progat in sa de compare mègius chi non progat, purché la pioggia non cada nel tancato di compare, è meglio che non piova, si direbbe in sardo. E infatti non ha piovuto né nel tancato di compare (la Sicilia ha perso due degli otto eurodeputati) e non è piovuto nel nostro. Naturalmente, la “colpa” non è dell’elettorato che ha scelto l’astensione, ma di chi non ha saputo convincerlo che quel detto sardo, buono per far sorridere, è deleterio nella vita reale.
Certo, non cambia moltissimo fra l’astensione del 60% dei sardi e il 57% di quello dei siciliani, pur garantiti di poter eleggere loro eurodeputati. Se nei sardi ha giocato la disillusione per il mancato scorporo della Sardegna, in Sicilia il problema non esisteva. Ma solo valutazioni politiche sono in grado di spiegare perché un elettorato garantito abbia disertato le urne. Ho una mia idea, ma non c’entra con questo mio ragionamento e sarà compito dei due grandi schieramenti in Sicilia venirne a capo.
Resta il fatto che, anche con queste percentuali molto basse, sia Calia sia Barracciu avrebbero potuto essere elette: alla prima sono mancate meno di trentamila preferenze per poter superare il primo dei non eletti siciliani, quello che subentrerà a Silvio Berlusconi; alla seconda è mancato più o meno lo stesso numero di preferenze. Il che significa che quasi novantamila elettori del Pdl non hanno scritto il nome di Maddalena Calia sulla scheda e che quasi ottantamila elettori del Pd o non hanno dato la loro preferenza alla Barracciu o hanno votato solo l’altro candidato, Dettori, pur potendo indicarli entrambi.
Non sapremo mai, come gli elettori sardi si sarebbero comportati se la Sardegna avesse fatto circoscrizione a sé, ma dubito fortemente che qualche sardo avesse potuto superare o anche solo avvicinarsi al quorum necessario all’elezione. Ciò non toglie che questo sia un problema serio, sia in termini elettorali sia, soprattutto, in termini di riconoscimento della peculiarità della Sardegna e, in genere, delle Regioni a Statuto speciale. Neppure la piccola Valle d’Aosta è riuscita ad eleggere un suo eurodeputato, malgrado l’alleanza degli autonomisti l’uno con il Pdl l’altro con Di Pietro. C’è l’ha fatta il candidato della sudtirolese SVP, ma, ancora una volta, si tratta di numeri, non di diritto alla rappresentanza.
Vallée d’Aoste (la lista collegata con il Pdl) ha ottenuto il 37,09%, Autonomie, liberté, democrazie (collegata con Di Pietro) il 18,5%; insieme, dunque, il 55,6%, la maggioranza assoluta dei voti valdostani, ben più del 52,1% ottenuto nel Sud Tirolo dalla SVP. È un problema di democrazia e di rispetto delle minoranze nazionali in Italia, non crede?
Questa è andata, ma non sarebbe male che i parlamentari sardi (tutti d’accordo, mi pare di capire, per lo scorporo della Sardegna dalla Sicilia) si mettano al più presto al lavoro non solo per ottenere lo scorporo della Sardegna e delle regioni speciali dalle rispettive circoscrizioni, ma anche per studiare meccanismi elettorali che garantiscano la loro rappresentanza in Europa. Se è vero che per l’Unione europea le diversità sono un valore, non un handicap, questo mi pare una buona occasione per rispettare questa importante dichiarazione.

Signor Pintore,
sono d’accordo con la necessità di un meccanismo elettorale che renda certa la elezione degli eurodeputati assegnati alla Sardegna. Il solo scorporo, allo stato attuale, non ne avrebbe affatto garantito la elezione. Del resto, proprio io che mi ero battuto per lo scorporo, mi sono accorto che con l’attuale legge, per la Sardegna sarebbe stata una iattura e ho preferito naturalmente non insistere. L’attuale meccanismo elettorale è mutuato da quello per la Camera dei deputati che prevede un quorum nazionale e non regionale come quello relativo al Senato. I due eurodeputati sardi sarebbero stati, così, solo virtuali.
Paradossalmente, è proprio il nostro accorpamento con la Sicilia che ci avrebbe consentito di utilizzare i resti per la elezione del deputato europeo. Avevamo l’occasione di eleggere almeno la candidata del Pdl, Maddalena Calia, cui sono mancati circa quarantamila preferenze a fronte delle circa novantamila non espresse dagli elettori del Pdl. Noi sardi abbiamo sprecato un’occasione.
Ha ragione, quando fa riferimento alla responsabilità della politica e alle sue mancanze nell’informare l’elettorato in maniera convincente. Ma vorrei sottolineare che parte della confusione è dovuta ai media che troppo hanno battuto sul mancato scorporo della Sardegna dalla Sicilia, facendo credere che a ciò si dovesse la impossibilità di eleggere un sardo. Come se, assicurato lo scorporo, ne fosse assicurata l’elezione. Il che non è, come avrebbe potuto risultare da una lettura attenta della legge elettorale vigente.

giovedì 4 giugno 2009

Dopo il Friuli la Sardegna, a meno che...

Già dimissionario, qualche minuto prima di consegnare le chiavi di Palazzo Chigi a Silvio Berlusconi, l’allora primo ministro Romano Prodi ha voluto fare un regalo al sistema delle autonomie italiane. Ha bocciato la legge di politica linguistica per il friulano, approvata l’anno prima dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. E bocciando l’ha inviato alla Corte costituzione che in questi giorni gli ha dato ragione, dichiarando la incostituzionalità di una parte della legge friulana.
Quello di mortificare le autonomie era il passatempo preferito dell’ex premier: solo per quanto la Sardegna è riuscito a bocciare ben sei leggi nei due anni e mezzo di governo, come dire due all’anno, record mica male. È una sentenza inusitatamente lunga, quella della Consulta contro la politica linguistica friulana e nientaffatto pacifica, se è vero che il giudice relatore, alla fine, non ha firmato il pronunciamento e che si è dovuto far ricorso ad un altro giudice pronto alla firma.
Ci si potrebbe chiedere che c’entriamo noi con questa decisione, perché, insomma, ne parlo. Per tre ragioni principali.
Una è che la Sardegna rischiava la stessa fine del Friuli. Qualche giorno prima dello scioglimento del Consiglio regione, il presidente Soru fece approvare dalla giunta un Disegno di legge sulla politica linguistica sarda che non solo non aveva alcuna possibilità, dati i tempi, di approdare al Consiglio regionale, ma era stato scritto su imitazione della legge friulana. Entrambe, perché non si dica che ho pregiudizi, leggi certo perfettibili, ma non male. L’una, quella friulana, fondata su competenze in materia di lingua che il Friuli ha; l’altra, quella sarda, fondata sulla speranza che nessuno si accorgesse che la Sardegna non ha nel suo Statuto alcun riferimento alla lingua sarda. Il Ddl del governo di centro sinistra naufragò insieme alla giunta che lo aveva approvato. Con un pizzico di malignità, si potrebbe pensare che Soru non l’abbia presentato in tempo utile, sapendo della bocciatura della legge friulana decisa dal suo amico Prodi.
L’altra ragione per cui siamo interessati alla vicenda della legge friulana è che il precedente di questi giorni depone a sfavore di una possibile e urgente legge di politica linguistica della Sardegna. La nostra Isola è di fronte a un bivio: fare una legge che, raccogliendo le impicite argomentazioni della Corte costituzionale, snaturi il senso della legge stessa o stabilire con il governo italiano un percorso che porti alla piena attuazione in Sardegna dell’articolo 6 della Costituzione (“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”).
L’altra ragione sta nella necessità e urgenza di riscrivere il nostro Statuto di autonomia, prevedendo la costituzionalizzazione della lingua sarda. Come fa il progetto “Carta de Logu noa de sa natzione sarda” elaborato dal Comitato per lo Statuto, da me presentato al Senato.

mercoledì 3 giugno 2009

Cultura contro l'agonia dei villaggi dell'interno

Fra i comuni sardi in cui domenica si vota, c’è un piccolo villaggio alle falde del Montalbo tra Bitti e Lula, che è il paradigma non solo dello spopolamento delle Terre interne della Sardegna, ma anche del divario esistente fra possibilità e realtà di sviluppo. Onanì ha oggi 467 abitanti, ne aveva quasi tre volte di più (1391) nel 1961, quando era paese anche di minatori. Recentemente è salito alla ribalta come il paese sardo a più alta densità di poveri: il 76,6 per cento dei suoi abitanti lo è. O meglio lo sarebbe, visto che la qualità di vita non rientra fra le misure dei freddi indicatori del Pil.
Onanì ha però un singolare e sconosciuto primato: è il paese a più alta densità di murales e di opere d’arte moderne. Fra queste lo splendido portale di bronzo della chiesa, opera di Pinuccio Sciola, i due affreschi di Diego Asproni nelle chiesette di San Francesco e dei santi Cosma e Damiano, in più, appunto, delle decine di muri dipinti con bellissime pitture. Una ricchezza culturale che altri paesi sono riusciti a mettere a profitto come richiamo turistico e, quindi, come occasione di lavoro.
Scrivevo qualche giorno fa su questo blog che per arrestare l’agonia dei piccoli centri delle Terre interne e per invertire la tendenza non basta l’economia, intesa come produzione di beni materiali naturalmente, visto che anche i beni non materiali sono capaci di creare economia. Naturalmente bisogna volerlo, bisogna accorgersi del valore non solo immateriale del patrimonio che si ha. Un discorso, questo, che coinvolge solo parzialmente i piccoli centri e le loro amministrazioni, posto che non è pensabile che le piccole risorse in loro possesso bastino a lanciare i propri patrimoni nel mercato del turismo.
Una classe dirigente seria, quella politica ma soprattutto quella culturale, sociale, imprenditoriale, ha il dovere di accorgersi e di valorizzare anche ad Onanì beni come i murales, gli affreschi, quel piccolo gioiello di arte romanica che è la chiesa in pietra di San Pietro e il patrimonio archeologico sparso nei 71 chilometri quadrati di quel comune. E soprattutto dovrebbe farlo oggi che la crisi internazionale sta costringendo la Sardegna a ripensare l’ideologia industrialista che qui ha dominato.
La nostra isola ha un’invidiabile concentrazione di beni culturali, ambientali, antopologici e linguistici. La loro valorizzazione non basta da sola a creare prosperità, naturalmente, e nessuno pensa di sostituire la monocultura industriale con una monocultura turistica. Ma sarebbe da irresponsabili non fare tutto il possibile affinché il turismo, da quello tradizionale a quello colto, sia tanto forte quanto forti sono le occasioni che la natura, la cultura, la lingua, l’ambiente umano e la qualità dei prodotti mette a nostra disposizione.

martedì 2 giugno 2009

Anche per la Fnsi, la giustizia è a corrente alternata

Che la magistratura faccia il proprio dovere quando si occupa di Berlusconi e sia inattendibile quando prende in considerazione una denuncia del capo del governo, è parte integrante del giustizialismo del Pd e del suo alleato Di Pietro. Ci siamo tanto abituati da restare stupiti se passa giorno che ciò non succede. L’inchiesta dì una procura sull’utilizzo degli aerei di Stato è buona cosa, l’inchiesta sulla violazione della privacy del cittadino Berlusconi è cosa pessima. Pazienza (per modo di dire, naturalmente): questo è il mondo della sinistra giustizialista in crisi di astinenza di idee e progetti.
Ma che questo vizio abbia contagiato la Federazione della stampa è cosa per me inedita. Si parla della decisione della Procura di Roma di aprire un’indagine sulla violazione della privacy e sulla tentata truffa che potrebbe esser dietro la vicenda delle fotografie scattate da un fotografo sardo. Secondo la Fnsi in questa decisione “c’e’ più di un eccesso di zelo”. Che il sindacato dei giornalisti difenda un collega è nell’ordine delle cose: sarebbe curioso il contrario e sul fatto non ho nulla da obiettare.
Ma quel “eccesso di zelo” imputato alla Procura ha un significato inequivocabile: la magistratura romana si è piegata agli interessi del capo del governo. Un’accusa pesante, tanto più grave quanto non accompagnata dalla denuncia di fatti concreti. C’è dietro solo un teorema: tutto ciò che la magistratura fa per appurare se i diritti di Berlusconi siano stati violati non può non essere malfatto e sospetto. Sbaglierò, ma non mi pare di aver sentito insorgere l’Associazione magistrati in difesa della Procura romana o Di Pietro o gli altri giustizialisti a corrente alternata.

lunedì 1 giugno 2009

Attenti Pd: i pozzi avvelenati intossicano anche voi

La pratica barbara di avvelenare i pozzi risponde alla sciocca e infondata idea che a bervi sarà solo il nemico. E invece il pozzo avvelenato non uccide solo l’ambiente, ma anche amici e alleati dell’avvelenatore. L’imbarbarimento della lotta politica di queste ultime settimane, costruito su pettegolezzi che con il governo della società ha niente a che fare, equivale ad un avvelenamento dell’acqua che, ovviamente, non è di destra e non è di sinistra.
Ad innescarlo sono stati giornali scandalistici, periodici in carta patinata e giornali in più sobria carta da quotidiano, ma poco a poco ha pervaso la politica di una opposizione che cerca una rivincita attraverso proclami pruriginosi. Il fatto che tutto ciò derivi da un senso di profonda disperazione non rende meno grave la sua partecipazione a un degrado insopportabile della vita civile. Immaginiamo solo per un istante cosa succederebbe se il mondo della politica liberale volesse rendere pan per focaccia e utilizzasse la stampa per inventare situazioni scabrose da imputare agli avversari. Facesse, insomma, quel che in questo periodo viene inventato per demonizzare un capo di governo, Berlusconi, scelto democraticamente da decine di milioni di cittadini.
Silvio Berlusconi temo si illuda quando dice che “si è toccato il fondo”. Purtroppo l’opposizione ha innescato una escalation in cui gli insulti si mescolano con gossip più o meno prezzolati e dubito che possa finire, come per incanto, l’8 giugno, finite le europee. Se qualcuno avesse lo stomaco di sopportare le mefitiche esalazioni che escono da siti e post in Facebook improntati ad un viscerale antiberlusconismo, potrebbe rendersi conto a quale livello di violenza abbiano portato le dichiarazioni di Franceschini e sodali. Da chi si augura la morte del nemico a chi, più “moderato” chiede “Obama scusa, Berlusconi è un coglione”, da chi scommette “di poter trovare 1.000.000 di utenti che odiano Silvio Berlusconi” a chi invoca “ un decreto legge per staccare la spina a Berlusconi”.
Se amassi le parole forti, direi che si stanno creando i presupposti di una guerra civile di cui non portano responsabilità solo le centinaia di migliaia di menti conquistate all’odio ma soprattutto gli istigatori alla violenza per ora solo verbale. Le persone più responsabili all’interno del Pd e dei suoi particolarmente violenti alleati dipietristi, e ce ne sono, hanno il dovere di metter un freno a questo pericoloso degrado della vita pubblica sia nella Penisola sia in Sardegna.
Apprezzo il tentativo fatto dall’on Andrea Raggio in un articolo di presa di distanza dall’esperienza soriana: “Berlusconi ha conquistato la Sardegna e Cappellacci è un suo lacchè? Attenzione ai giudizi approssimativi” scrive. Vero è che il suo giudizio sul presidente della Regione risponde a logore “spiegazioni” di classe, ma non c’è dubbio che si avvicina alla politica più di quanto non abbia fatto Franceschini definendo Cappellacci un lacchè e, di conseguenza, servi i sardi che lo hanno votato. Che ci sia un ripensamento di parte della sinistra almeno sulla forza delle parole? Me lo auguro.