sabato 27 febbraio 2010

Cerchi casa? Attento alle intercettazioni

I quotidiani continuano a pubblicare testi di intercettazioni telefoniche, alcuni pertinenti gli aspetti giudiziari della annosa vicenda di Tuvixeddu, altri che, con questi, hanno assolutamente nulla a che fare. Si dirà: i giornalisti fanno il loro dovere, hanno notizie e le pubblicano. Certo. Mi chiedo però perché siano state lasciate, nelle trascrizioni, parti che non solo non hanno alcuna rilevanza penale, ma riportano conversazioni del tutto normali che si svolgono nella quotidianità di una normale vita di relazioni private. Questo, naturalmente, in uno stato di diritto, non in uno in cui tutto si intercetta, persino una banale telefonata di chi, cercando casa, si rivolge non a un ristoratore ma a un impresario edile.
Me lo chiedo perché, inopinatamente, un giornalista ha oggi messo in moto un ventilatore spargitore di melma dirigendolo verso di me. Il fango neppure mi ha sfiorato, ma la vicenda è esemplare dell'uso che si può fare delle intercettazioni erga omnes.
La storia in sé è banalissima: avevo pensato di acquistare una casa più grande di quella che ho è, senza pensare che un pm potesse essere interessato alla mia ricerca, ho telefonato a diversi imprenditori edili, alcuni miei amici, per chiedere disponibilità e prezzi. Gli altri no, ma uno di questi era oggetto di intercettazioni e non sto certo qui a discutere il provvedimento della Procura. E' così che una innocente richiesta di informazioni è entrata nel tritatutto, da cui, chi di dovere, avrebbe dovuto toglierla, data la sua irrilevanza penale. (Nessun giudice, infatti, mi ha chiesto conto di quella telefonata). Poi non se ne è fatto di niente. Punto e basta. Cosa normalissima.
Ciò che normale non è, ed è anzi maliziosamente insinuante, è che io abbia scritto due articoli La necropoli e gli agit-prop e Lo stupore degli indignati su Tuvixeddu per ingraziarmi il mio amico Gualtiero Cualbu da cui, però, avevo deciso di non comprare alcun appartamento. Ma quando mai? Chi mi conosce e chi conosce le mie posizioni circa l'affaire Tuvixeddu (incagliatosi in sentenze e contro sentenze per colpa delle approssimazioni e degli ideologismi dell'ex presidente della Regione) sa che non ho atteso l'aprile dello scorso anno per esternarle. Insinuazioni maliziose e irrispettose della mia dirittura morale, dunque.
L'amico giornalista della Nuova, che conosco da quando era giovanissimo, sa benissimo che i tentativi di screditarmi, anche quando coordinavo Forza Italia, mi sono scivolati addosso senza lasciare traccia nella mia onorabilità. E sa che in una piccola città come Cagliari le insinuazioni malevole e maliziose possono colpire tutti, anche nel suo ambiente.
Che cosa avrebbe potuto insinuare, se – è pur sempre possibile, con questo sistema di ascolto diffuso delle telefonate – fossi stato intercettato mentre prenotavo un tavolo in un ristorante cinese, che stavo trassando con la Triade? O se fossi stato “colto sul fatto” mentre prenotavo una cena in un ristorante magrebino, che mi accingevo ad organizzare una tratta di clandestini?
Può continuare un sistema di intercettazioni erga omnes come questo in uno Stato appena appena democratico? Che cosa hanno aggiunto la divulgazione prima e la pubblicazione poi di una telefonata di un tipo che cerca casa, se non il fatto che quel tipo è un senatore, per di più del partito di Berlusconi?

PS - Nel forum dell'Irs, sul quale mi è proibito scrivere alcunché, qualcuno ha pubblicato l'articolo della Nuova e, naturalmente, ha preso come oro colato le insinuazioni del giornalista fondate sul niente, dando la stura ad altre sciocche malevolenze. Poco interessa, essendo io considerato un nemico, che esista una versione dei fatti assolutamente diversa da quella insinuata. E soprattutto poco interessa conoscerla. Io non sono un nemico degli indipendentisti, non ne condivido alcune delle idee, ma da avversario, non nemico. Alcuni di loro hanno patito sulle loro spalle il peso delle insinuazioni, della caccia alle streghe. Che altri di loro si trasformino in giustizialisti perché hanno letto su un giornale una personale interpretazione del giornalista di innocue intercettazioni è cosa inedita e preoccupante.

venerdì 26 febbraio 2010

Imprese mordi e fuggi: la responsabilità non è solo della politica

Credo sia dovere di tutti prendere atto di una cosa che suonerà sgradevole al nostro amor proprio di sardi: le soluzioni delle vertenze con l'Alcoa e con Rynair (la prima forse alla viste, la seconda più problematica) scontano il fatto che questo nostro orgoglio dovrà fare un passo indietro. Per convincere Alcoa a non attuare il suo piano di smantellamento, tutti, forze politiche, i sindacati, le istituzioni sarde e italiane hanno dovuto cedere a una minaccia. Per convincere Rynair a non lasciare l'aeroporto di Alghero, la Sardegna potrebbe essere costretta a soggiacere alla volontà della compagnia aerea.
Dico questo non per piegarci addosso, ma per trovare in queste vicende un impulso a non ripetere gli errori che, è meglio affermarlo subito, non sono della maggioranza che governa oggi la Sardegna e l'Italia. Maggioranza che si trova a dover riparare guasti molto grossi sui quali i responsabili, forse per memoria corta forse per protervia, preferiscono stendere un velo. Che non intendo sollevare ora che abbiamo l'obbligo di restare uniti, come sardi, ignorando le voci stonate di chi preferisce fare campagna elettorale.
Ieri, la Corte dei conti ha fatto un bilancio disastroso dei frutti dei soldi concessi in Sardegna ad imprese spesso mordi e fuggi. Nel 2009 sono stati erogati 15 milioni di multe per “ indebita percezione di contributi e di agevolazioni, nazionali e regionali, per promuovere lo sviluppo e l’occupazione in aree depresse”. Il miliardo e 400 milioni di euro, dati dalla Regione fra il 1996 e il 2007, furono stanziati per la crescita economica, ma questa “non si è registrata e le erogazioni sembrano essersi risolte in regalie a imprese e imprenditori”
Non è una relazione rassicurante quella del procuratore regionale, Tommaso Cottone, che ha parlato di “assalto alla finanza pubblica” e di “soldi in fumo”. La politica avrà certo la responsabilità, prima di tutto culturale, di non aver vigilato adeguatamente sulle richieste pressanti di finanziamenti per creare lavoro. Ma nessun altra componente della vita sociale ed economica si può tirare indietro. Né gli amministratori locali che hanno premuto perché si finanziasse chiunque promettesse lavoro, né i sindacati presi da un “purché si crei lavoro” non responsabile, né gli imprenditori che non hanno vigilato sull'operato dei loro colleghi che prendevano i finanziamenti, né le banche che non hanno fatto i necessari controlli.
In molti casi, ha detto il dr Cottone, “vi è stata o la totale appropriazione del contributo senza alcuna realizzazione o la parziale realizzazione del progetto senza impiego di capitali propri”. Qua e là vedo emergere la tentazione di mettere sotto accusa la politica. Ecco un modo pilatesco di sviare la sostanza delle cose. Anche dalla relazione della Corte dei conti per la Sardegna, dovremmo prender spunto perché nel futuro non si commettano più tanti errori. Tutti: la politica, le amministrazioni locali, i sindacati, gli imprenditori, quella, insomma, che si chiama classe dirigente.

lunedì 22 febbraio 2010

I Down a bersaglio: anche questa è libertà?

Spero non ci sia nessuno a invocare la libertà di stampa dopo la decisione di oscurare la pagina di Facebook che così era titolata: “Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down”. Pagina che riportava questo alto pensiero: “Perché dovremmo convivere con queste ignobili creaure... con questi stupidi esseri buoni a nulla? I bambini Down sono solo un peso per la nostra società... Dunque cosa fare per risolvere il problema? Cone liberarci di queste creature in maniera civile? Ebbene sì signori... io ho trovato la soluzione. Consiste nell'usare questi esseri come bersaglio, mobili o fissi, nei poligoni di tiro al bersaglio”.
I criminali e gli imbecilli avevano abbondantemente superato le 1500 unità, quando è stata presa la prima urgente decisione, quella di oscurare la pagina. Ma non può bastare: il “pensatore” e i suoi accoliti vanno puniti severamente. La polizia postale non dovrebbe penare a scoprire chi, per primo, ha incitato altri a commettere un crimine degno di menti naziste e, a seguire, tutti gli altri che lo hanno seguito. Io credo che la migliore punizione, oltre a quella prevista dal codice penale, sia quella di pubblicare la lista degli imbecilli.
Tempo fa, ho pubblicato su questo blog le lamentele di un gruppo di sconosciuti (i coraggiosi sono sempre anonimi) che protestavano contro la legge che prevedeva, fra l'altro, l'oscuramento di siti che incitassero a violare la legge. Sarei curioso di sapere se ritengono attentato alla libertà la cancellazione da Internet del crimine commesso ieri su Facebook.

Un inquietante scontro fra settori della magistratura

Le notizie di stampa e i rumors interessati stanno (devono stare) fuori dagli uffici in cui si amministra la giustizia. Ma si può pretendere che i pubblici ministeri non vivano il clima che li circonda? Se, come è capitato e capita, la martellante dietrologia politica e mediatica insiste sul fatto che dietro la formazione di un governo ci sia un complotto, si può escludere del tutto che un simile clima mefitico si insinui nella mente anche di chi deve lavorare sui dati concreti.
Riflettevo su questo, davanti alla esplosione pubblica di un contrasto fra i giudici del Tar sardo e i pm della Procura di Cagliari, alla quale ho assistito qualche giorno fa ad Oristano e di cui la stampa si sta occupando. In rapida sintesi, la questione sta nel rammarico espresso dal presidente del Tar i cui giudici sono stati sospettati dalla Procura di comportamenti “opachi”. Il fatto che sia il rammarico del Tar sia l'autodifesa della Procura siano stati espressi in toni soft, come si conviene ai ruoli, non sminuisce la gravità di quanto è accaduto.
Gli amici che mi leggono in questo blog ricorderanno quale quadro da satrapia orientale sia stato dipinto alla vigilia del voto regionale e subito dopo la formazione del governo Cappellacci. Dietro i due eventi, hanno raccontato i dietrologi di professione e quelli per convenienza, c'era una combine i cui attori erano le lobby massoniche, clericali, dei “poteri forti” e, insieme a loro, gli immancabili “mattonari” che, nell'immaginario collettivo dei dietrologi, sono capaci di governare decine di migliaia di consensi, quanti bastano a far vincere le elezioni. Con tanti saluti al rispetto dei cittadini elettori.
Recentemente, ne ho dato conto in questo blog, c'è stato chi ha sospettato che un importante imprenditore sardo abbia subornato il governo della Repubblica fino a tal punto da indurlo a sottrarre competenze ad organismi dello Stato, le soprintendenze, per affidarle alle Regioni e ai comuni. E perché? Semplice, per darle al Comune di Cagliari in modo che questo possa favorire un costruttore edile. Costruttore edile che, secondo la Procura di Cagliari, ha avuto contatti con giudici del Tar, tali da gettare “una luce piuttosto opaca sull'intera vicenda Tuvixeddu”.
Un settore della magistratura che ne delegittima tanto pesantemente un altro non è cosa normale in una democrazia. Non so, né sono incline a crederlo, che sia stato il clima provocato dai dietrologi a innescare questo scontro, ma di una cosa sono certo: quel clima, provocato artatamente e senza altro se non un furore ideologico, non ha favorito sereni giudizi.

sabato 20 febbraio 2010

Quando dietro la dietrologia si nasconde altro

Leggo con meraviglia di otto deputati sardi del Pd che accusano il governo italiano di tramare per spogliare lo Stato di sue competenze allo scopo di favorire un costruttore edile sardo. Di questo esercizio dietrologico sono autori parlamentari che, pur essendo avversari, mi sono amici e che soprattutto stimo: Melis, Schirru, Soro, Pes, Calvisi, Fadda, Marrocu e Parisi. Ecco perché rimango stupito della loro uscita.
Gli otto pensano che sia allo studio “un provvedimento del governo destinato a togliere la competenza sui nullaosta paesaggistici alle sovrintendenze per restituirla alle regioni e ai comuni”. E questo perché? Lo scopo sarebbe quello “di restituire al comune di Cagliari il potere di rilasciare autorizzazioni paesaggistiche e, con esso, la possibilità di reiterare le autorizzazioni annullate dal Soprintendente della Sardegna”.
Il provvedimento è interpretato come “salva Cualbu”, dal cognome, appunto, del costruttore Gualtiero Cualbu di cui sono note le traversie burocratiche in merito alla questione Tuvixeddu. L'opposizione, si sa, fa e deve fare il suo dovere e in questo ha il mio più profondo rispetto, ma c'è pur sempre un limite che non va superato per il suo stesso buon nome. Gli otto l'hanno abbondantemente superato col sospetto che, per fare un piacere a quel che essi considerano un mattonaro sardo, deciso a radere al suolo la più importante necropoli punica del Mediterraneo, il ministro Bondi si accinga a togliere competenze a tutte le soprintendenze per affidarle non solo al Comune di Cagliari ma a tutte le regioni e a tutti i comuni della Repubblica.
Che nella divisione della nostra Repubblica fra il regno del bene e quello del male, si possa esagerare è comprensibile, ma non sono convinto che questi amici-avversari possano davvero ritenere seria la ripartizione fatta per l'occasione. Hanno cervelli fini e dietro questo incredibile sospetto temo ci sia dell'altro. Una fiera opposizione alle autonomie regionali in materie culturali, col preteso che esse porterebbero allo sfascio dell'unità della Repubblica. E forse un poco meditato disprezzo della capacità delle regioni, figurarsi i comuni, di tutelare il patrimonio culturali che essi posseggono.
Sanno, naturalmente, che ci sono leggi dello Stato e normative europee a garantire la tutela del paesaggio e degli altri beni culturali. Ma questo evidentemente non basta a fugare il sospetto che le autonomie sono la sentina del malaffare e della corruttibilità. È in questo clima e con tale cultura della diffidenza che questa politica vorrebbe partecipare alla elaborazione di un nuovo Statuto di autogoverno? Di fronte a una amministrazione dello Stato che vorrebbe rendere responsabili le regioni, e tanto più quelle speciali, perché avere questa incontenibile paura dell'autonomia? È la stessa paura che spinse, nel 1847, un ristretto gruppo delle classi dirigenti sarde a spogliare la Sardegna della sua autonomia stamentaria per chiedere la Fusione perfetta con gli stati della Terraferma.
Siamo seri, nel processo federalista in atto, è naturale che lo Stato si spogli di funzioni che possono e debbono essere delegate secondo quel principio di sussidiarietà recepito nella Costituzione con la modifica del Titolo V approvata dal solo centrosinistra nel 2001. A meno che i miei otto amici non stiano sospettando Massimo D'Alema di esser stato in combutta con l'impresario sardo.

mercoledì 17 febbraio 2010

Palomba e la legalità a intermittenza

Vi racconto una storia, piccola per la sua entità, che riguarda lo schieramento di centrosinistra ogliastrino e che ha per protagonista quella singolare concezione della legalità secondo cui essa si applica agli altri ma non ai propri amici. Dico subito che mi spiace che di questo curioso concetto si sia fatto interprete una persona che stimo e che mi è amica, il senatore Federico Palomba, responsabile dei dipietristi in Sardegna.
Risulta dai giornali che due consiglieri comunali di Tortolì, entrambi del Pd, abbiano preso le distanze dal tentativo di troppo frettolosa approvazione del Piano urbanistico comunale della cittadina. Dicono i due: come mai c'è stata “quella che è parsa un’“accelerazione” che non ha consentito di fare alcun approfondimento su quelli che sembrerebbero, a nostra parere, circa 300mila metri cubi spuntati nottetempo in chissà quale riunione?”. Par di capire, insomma, che qualcosa non si sia svolto secondo irreprensibili criteri di trasparenza. E, dunque, di quella legalità che il dipietrismo vuole sia motore degli altrui comportamenti.
Uno è portato a pensare che il mio amico Federico Palomba si sia indignato, sentendo della denuncia dei due consiglieri del Pd che, fra l'altro, sono suoi alleati. Invece si è indignato sì, ma contro i due. I consiglieri – dice il senatore dell'Idv - “hanno tradito il campo di centro-sinistra”: “ Tuteliamo la legalità e contrastiamo chi, abbandonando il campo, impedisce che si approvi uno strumento urbanistico essenziale”. Ma in quel “campo” non solo c'è chi, a sinistra, sostiene i due “traditori”, dicendo che la loro è stata una iniziativa “coraggiosa”, ma ci sono anche i dirigenti provinciali del Pd che, contestando Palomba, plaudono ai due loro consiglieri.
Certo, tutto è segno della confusione che regna sovrana nel centrosinistra a Tortolì come altrove. Ma è anche segno dello strabismo crescente all'interno del dipietrismo che chiede le dimissioni dell'indagato Bertolaso e appoggia con forza il plurindagato De Luca; che in Ogliastra invoca legalità e chiude un occhio quando ad esser sospettati di poca trasparenza sono un suo assessore e un sindaco che, battuto all'interno della sua stessa coalizione proprio su questioni di trasparenza, vorrebbe sia confermato alla carica.
Tutto sommato, sono dell'idea che il mio amico Palomba abbia scritto quelle cose per puro spirito di partito. Ma che tristezza.

martedì 16 febbraio 2010

Pm politicizzati: l'essere e l'apparenza

“Non credi” mi scrive un caro amico in una sua mail personale “che la difesa del Governo Berlusconi sempre e comunque rischi di coinvolgere in questa difesa anche gli atti di chi col governo ha nulla a che fare? E non credi che accusare la magistratura politicizzata di emettere provvedimenti ad orologeria possa esser preso come un salvacondotto per i malfattori?”.
Comincio dall'ultima questione. Non ricordo bene chi disse tempo fa che la magistratura non deve essere solo imparziale, deve anche apparire imparziale. Lo è, certamente, nella grande maggioranza dei suoi operatori, ma lo sono anche coloro che conducono per due anni un'indagine e, con l'indagine in corso, emettono provvedimenti due mesi prima di elezioni che riguardano tutto lo Stato? Non so se lo siano, certo non lo appaiono. Arrestano quattro persone, per me innocenti fino a prova contraria, e indagano un sottosegretario – a quanto risulta dagli articoli, perché io mi rifiuto di leggere le intercettazioni – sospettato di essersi lasciato corrompere con prestazioni sessuali. Forse sono imparziali, ma non lo appaioni.
Hanno lasciato che i media giustizialisti linciassero il sottosegretario per i suoi presunti comportamenti sessuali, alimentando la richiesta di sue dimissioni non si sa bene perché. Forse loro non c'entrano, ma appaiono che c'entrino, eccome. Un pubblico ministero, famoso per aver denunciato e messo sotto processo il presidente della Regione Puglia, appena sospesosi dalla magistratura è stato candidato alle regionali da Di Pietro. La cosa è apparsa “inopportuna” anche al sindacato dei magistrati. Bisogna mettere sotto accusa un politico della maggioranza per far carriera politica nell'opposizione? Non sarà così, ma così appare.
Io ho davanti a me quotidianamente decine di senatori che erano fino a pochi anni fa pubblici ministeri impegnati in politica per via giudiziaria. Sono fra i più carichi di odio nei loro interventi, fra i più decisi ad assecondare una pulsione che non nasce con la loro elezione a parlamentari, la pulsione a rovesciare il governo senza la fastidiosa attesa di nuove elezioni che, per di più, potrebbero confermare Berlusconi. Gente così ha avuto in mano il destino di esseri umani e tremo all'idea che lo spirito di servizio di allora sia stato condizionato dalla propria ideologia.
Nessun salvacondotto, come si vede, agli accusati di corruzione, solo una civile presunzione di innocenza e il dubbio che l'inchiesta, durante la quale saltano alla ribalta nomi di ministri e quello del coordinatore del Pdl, risponda ad esigenze politiche – le elezioni sono alle porte – e a una non nascosta voglia di alcuni settori della magistratura militante di “sbarazzarsi” di Berlusconi e del suo governo.
Io non vedo, in questa critica puntuale, non prevenuta e fondata su fatti, alcun rischio di difendere, insieme al governo legittimamente in carica, eventuali malfattori che hanno agito all'ombra di provvedimenti governativi. Da quel che si legge su certa stampa, la colpevolezza degli arrestati è scontata. Io sarò fatto alla vecchia maniera, ma io li ritengo innocenti fino a quando dei giudici terzi, tenuti a considerare quella dell'accusa solo una delle voci possibili, non influenzati da una campagna mediatica, non decideranno altrimenti. So che in questo clima di imbarbarimento è più facile stare con chi ha voglia di forca piuttosto che con i garantisti. Ma io preferisco stare da questa parte.

lunedì 15 febbraio 2010

Lo strabismo di Bersani

Ho profondo rispetto dei due o trecento aquilani che hanno manifestato per chiedere la ricostruzione del centro storico della loro città distrutto dal terremoto. Non riesco ad averne neppure un po' per quei politici di sinistra cui non è parso vero buttare nello stesso calderone la richiesta di una élite (che spero non disinteressata alla costruzione prioritaria delle case), l'insultante risata di un imprenditore che inutilmente ha sperato di lucrare sul terremoto, l'inchiesta della magistratura sugli appalti alla Maddalena, i gossip sulla vita privata di Guido Bertolaso.
Una opposizione (che fra l'altro guida il Comune dell'Aquila) ridotta a inseguire cose del genere non fornisce una manifestazione di forza e di responsabilità, denuncia solo la pochezza della sua proposta politica. Il fatto che questo faccia per lucrare qualche voto alle prossime elezioni dà solo il senso della sua disperazione. In Abruzzo come in Sardegna come nel resto dello Stato. Che cosa è, se non disperazione, la giravolta di Bersani, ridotto a star dietro a Di Pietro per compensarlo del suo appoggio al candidato del Pd alle regionali campane? De Luca non lo appoggeremo mai – aveva giurato il giustizialista a corrente alternata – perché è un pluriinquisito. Oggi non solo lo appoggia, ma lo esalta in Tv. In cambio Bersani lo accoglie nel salotto buono della sinistra, quello che di Di Pietro non voleva più sentir parlare. Misteri della coerenza.
L'una posizione e il suo contrario fa nutaralmente nido nel complesso mediatico cui tutto va bene, purché provenga dall'intreccio politico-giudiziario che ha una sola missione: rovesciare, costi quel che costi, il governo Berlusconi, anche a costo di schizzare fango su un uomo, come Bertolaso, cui non si imputano reati, ma comportamenti. Di lui anche Bersani chiede le dimissioni perché indagato, dei De Luca e dei Bassolino no: saranno pure indagati, ma stanno dalla parte giusta. Che squallore, amici miei, sia questo strabismo sia la copertura mediatica che esso ha.
Poteva mancare, in questo quadro desolante l'ex presidente della Regione sarda, Renato Soru? Certo che no. Infatti, lui che ha guidato l'affaire La Maddalena insieme a Prodi, se la prende con gli attuali presidenti del Consiglio e della Regione sarda, rimescolando le carte e attaccando il presidente Cappellacci a testa bassa. Segue una replica e una controreplica. Normale? Non poi tanto, perché la risposta di Cappellacci ha un piccolo titolo all'interno del giornale che la pubblica. L'articolo di Soru – ieri – ha inizio con un titolo in alto sulla prima pagina e, all'interno, un'intera paginata. Le elezioni sono vicine – ce ne sono anche in Sardegna – e c'è la sensazione che a sollevare le sorti dell'accoppiata Pd-Italia dei valori non bastino le inchieste giudiziarie ad orologeria.

sabato 13 febbraio 2010

La Protezione civile e l'inciviltà sotto elezioni

Devo confessare la mia crescente idiosincrasia per la lettura sui giornali dei testi di intercettazioni telefoniche. A parte la sgradevole sensazione di stare lì ad origliare, a parte il fatto che non ho gli strumenti sufficienti a capire in quale contesto una certa cosa è stata detta, a parte infine il dubbio che sunti e scelte mediatici non siano esaustivi, c'è sempre una non piccola questione: un testo scritto non riporta i toni della voce che in una conversazione reale, a volte, dà significati del tutto diversi a quel che si dice.
Detto questo, quale che fosse il tono, frasi come “Occupati di sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un terremoto al giorno”, che sarebbe stata pronunciata da un intercettato, è incrediile. Anche questa frase, come riportano i giornali, è nel fascicolo delle intercettazioni fatte fare dalla procura di Firenze per appurare se negli appalti per il G8 della Maddalena furono commessi reati. Fra gli indagati, come si sa, c'è anche Guido Bertolaso, sottosegretario della Protezione civile.
Conosco Bertolaso, la sua rettitudine morale di galantuomo, e non dubito che da questa accusa (tanto per non cambiare condita di sesso e di droga) uscirà a testa alta. C'è, al solito, la reazione scomposta dell'opposizione guidata da Di Pietro, cui non par vero di poter mettere a profitto elettorale l'accusa ad orologeria dei pm. Tanto calibrata che vien da chiedersi se ci sarebbe stata anche nel caso che il presidente del Consiglio non avesse annunciato la sua decisione di fare ministro l'attuale sottosegretario. E tanto da supporre che i pm avrebbero evitato di coinvolgerlo se già non fosse membro del governo Berlusconi il cui rovesciamento con strumenti non democratici continua ad essere l'obiettivo primario di una ben determinata ala della magistratura politicizzata, supportata da un gruppo editoriale con corteggio di giustizialisti. E, purtroppo, di politici, come Bersani, che aveva promesso un cambio di linea.
Mi dicono: “Lascia che finiscano le elezioni, poi la musica cambierà”. Nel frattempo, però, l'imbarbarimento ha fatto altri passi in avanti.

mercoledì 10 febbraio 2010

La fantapolitica di Ciancimino e gli interessati creduloni

E dunque, io sarei da cinque legislature il prodotto di un accordo fra politica e mafia per far nascere Forza Italia. Così come una sterminata folla di elettori sarebbe andata a riempire un contenitore forgiato dalla mafia e dalla politica. Ah, i bei tempi del complotto demo-pluto-massonico con complicità clericali che piace tanto ad alcuni giornalisti per i quali non esiste avvenimento che non sia spiegabile con la dietrologia. La loro fantapolitica diventa roba da Bar dello Sport, a paragone della trama imbastita, davanti a giudici, avvocati e cronisti, dal figlio dell'ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino.
Non so che peso daranno a questo triller i giudici, immagino vicino allo zero, se cioè penseranno di aver assistito a uno dei tanti ridicoli tentativi di riscrivere la storia degli ultimi sedici anni in funzione antiberlusconiana o se vi troveranno l'occasione per prendere le distanze da loro colleghi magistrati convinti che possano essi rovesciare l'esito di un voto democratico. Ma ho immaginato che cosa succederebbe se le vicende, non ancora chiarite, delle frequentazioni spionistiche di Di Pietro inducesssero qualche pentito a imbastire un intreccio fantapolitico. Che so? Del tipo: il partito di Di Pietro è frutto di un accordo fra la Cia, i servizi italiani e l'allora magistrato.
Naturalmente non ci crederei, continuerei a credere che l'Italia dei valori è nata per riempire lo spazio, purtroppo esistente, del qualunquismo, del populismo forcaiolo, del giustizialismo peronista. La sua nascita ha introdotto nella vita politica italiana germi di odio nei confronti del nemico, voglia di forca, criteri di “giustizia economica” come nell'Ottocento si chiamava quella sommaria e, soprattutto, l'idea giacobina secondo cui le èlite sono titolate a rovesciare il governo, indipendentemente dal consenso popolare di cui gode. Può anche, Di Pietro, impegnarsi a rispettare le regole della democrazia, chi vince governa e la piazza non può essere chiamata a rovesciare il governo. Ma è un impegno di corto respiro, perché basta un racconto di fantascienza a fargli sognare che questo sia utilizzabile politicamente. Ha promesso solennemente a Bersani di rientrare nei ranghi della correttezza istituzionale. Ma a tutto saprà resistere, salvo che a una muleta su cui un raccontatore di trame ha disegnato l'immagine del nemico.
So, da colleghi del Pd, che c'è imbarazzo per il patto stretto dal loro segretario con il principe giacobino. “È sempre meglio averlo sotto controllo che lasciato solo a fare danni” dicono. Chi sa che cosa diranno ora che ha accusato il governo di essere niente meno che mafioso. Molti parlamentari non solo del Pd ma anche dell'Italia dei valori, avversari che però mi onorano della loro amicizia, mi invitano a sorridere delle intemperanze dipietriste e se non ci fosse da piangere li asseconderei. Sono miei avversari, ma in fondo nutro un affettuoso compatimento.

martedì 9 febbraio 2010

Per lo Statuto qualcosa si muove. Non molto bene per ora

La sinistra culturale sarda manifesta il suo interesse alla riscrittura dello Statuto speciale e lo fa proponendo al Consiglio regionale una mozione nella quale si prevede che il Parlamento dei sardi dia avvio “alla elaborazione del nuovo Statuto - Costituzione della Sardegna tramite un'assemblea costituente il cui lavoro verrà confermato da questo Consiglio regionale con il voto e dai cittadini sardi tramite referendum”. Il testo è della Fondazione Sardigna ed è frutto di un incontro tenutosi giorni fa a Santa Cristina con la partecipazione di esponenti di sinistra, di molto scettici movimenti indipendentisti e aperto a qualche persona di centrodestra.
All'incontro non erano stati invitati né il Comitato per lo Statuto, che ha elaborato una proposta di Carta de Logu noa, né io che quella proposta ho presentato come disegno di legge in Senato (poi trasmesso al Consiglio regionale, dove è depositato). Non sono, insomma, stati invitati a discutere gli unici che dalle vaghezze sono passati alla concretezza di un testo ormai largamente conosciuto, da tempo giacente anche in Consiglio e che si può trovare anche nella mia pagina del sito del Senato . Dico questo, evidentemente, non per rivendicare inutili primazie, ma per segnalare che il documento della Fondazione non piomba su una tabula rasa, anche se fa finta che così sia.
La mozione presentata al Consiglio è un documento di buona rivisitazione storica delle ragioni della nostra autonomia, non ostante cada, a mio parere, nel non senso di recriminare sul fatto che in Sardegna non ci fu, alla vigilia dell'unificazione, un plebiscito come negli altri stati della Penisola. La domanda posta nei plebisciti fu, con piccole differenze, ovunque, se i vari stati volessero essere annessi al Regno di Sardegna. Si poteva mai chiedere al Regno di Sardegna se volesse essere annesso al Regno di Sardegna?
Il problema è che non esiste un'idea di Statuto, al di là di un richiamo ad “una più alta ed efficace forma di autogovemo della Sardegna”. Nessun accenno, insomma, ai contenuti dell'autogoverno, se questo debba parafrasare quello che lo Statuto attuale in qualche modo riconosce o se debba essere frutto di una scrittura ex novo; né alcun accenno esiste alle fonti di diritto internazionale alle quali legare concetti come nazione e sovranità. Dal meglio della cultura di sinistra era legittimo attendersi più coraggio propositivo e, soprattutto, un invito ad accelerare i tempi. In realtà l'impegno richiesto al Consiglio che, per elaborare lo Statuto, convochi una “assemblea costituente” (che i tecnici, ahimè, ritengono solo delatoria) denuncia il timore che si ha di affrontare subito la discussione e di compiere scelte per le quali non ci si sente pronti.
Apprezzo l'invito rivolto al Consiglio regionale affinché metta in agenda la questione: è comunque segno che in quell'area politica qualcosa si muove. Lontano dal mio pensiero l'idea che la proposta del Comitato e il mio ddl siano adottati a scatola chiusa, ma far finta che tutto debba cominciare da zero non è un buon modo di muoersi.

lunedì 8 febbraio 2010

Che c'entrano le intercettazioni col "caso Tuvixeddu"?

Che cosa aggiunge alle sentenze su Tuvixeddu la pubblicazione di intercettazioni di conversazioni fra un imprenditore e altre persone, fra cui un consigliere regionale? Nulla, evidentemente, visto che il contenuto di quelle telefonate non è stato ritenuto penalmente rilevante. Il mio amico Paolo Maninchedda è intercettato mentre parlava con l'imprenditore Gualtiero Cualbu? Gravissimo. Con gli imprenditori, vil razza dannata, un politico non parla, neppure per dire che non è d'accordo con loro. L'imprenditore Renato Soru avrà avuto un bel da fare per non avere contatti con il presidente della Regione Renato Soru.
Si scherza, naturalmente, ma c'è poco da scherzare. Un giornalista che ha a disposizione trascrizioni di telefonate fa naturalmente il suo dovere nel pubblicare quel che sa: è il suo mestiere. Tanto più che, con il loro deposito, le intercettazioni diventano un atto pubblico. C'è, insomma, una bella differenza tra il pubblicare ciò che è pubblico e il prestarsi, come altre volte è successo, a render pubblico ciò che dovrebbe essere ancora riservato agli occhi dei magistrati.
Il problema, credo, stia proprio qui ed è una questione che esige, quanto prima, una regolamentazione: tutto ciò che non ha rilevanza penale in un processo e che serve solo ad alimentare un moralismo d'accatto di alcuni politici (come in questa occasione accade) può essere dato in pasto alle strumentalizzazioni politiche? Io sono convinto di no. Non c'è alcuna “questione morale” in un dialogo fra un politico e un imprenditore. Ci sarebbe solo, ed avrebbe rilevanza penale, se fra i due si stringono patti scellerati. Non è il caso della telefonata fra Maninchedda e Cualbu, non tanto perché i due, ovviamente, lo escludono, quanto perché di un simile patto non c'è traccia nella conversazione intercettata. Ed essendo così, la sua pubblicazione serve solo ad incarognire un clima politico che di tutto ha bisogno, salvo di altri rumors inutili.
È per questo che, al di là dell'amicizia, Paolo Maninchedda ha tutta la mia piena solidarietà.

sabato 6 febbraio 2010

Ieri, la grande prova di unità. Peccato che...

Ero uno dei cinquantamila sardi che ieri hanno manifestato a Cagliari e sono orgoglioso di essere parte del popolo sardo. Sono stato nel corteo fra manifestanti della mia parte politica e della parte avversaria: sono stato felice dei loro apprezzamenti e delle loro critiche, sempre pacate, che mi aiuteranno a capire come la ragione, indipendentemente dalla mia buona fede, non sempre è in quello che penso e faccio. Forse è vero che dopo la dimostrazione di composta forza unitaria nulla sarà come prima. E lo sarà nonostante i pochi tentativi di trasformare uno sciopero “per” in una manifestazione “contro”, contro il governo Berlusconi e contro il governo Cappellacci, e l'isolata provocazione subito sedata dai sindacalisti.
Mettono tristezza, non certo rabbia, i comizi politici di pochi, afflitti da un antiberlusconismo che stonavano in quel clima di unità di intenti che i più colpiti dalla crisi, i lavoratori, sentono necessaria come l'aria che si respira. Così come triste è leggere, oggi, l'attacco del segretario sardo del Pd contro il governo accusato di “ comportamento irresponsabile sulla crisi” e la visionaria interpretazione del suo capogruppo in Consiglio regionale secondo cui “ lo sciopero ha bocciato drasticamente l’operato del governo Berlusconi e della giunta Cappellacci”.
Dubito che l'on Mario Bruno abbia consapevolezza che le sue parole sconfessano i sindacati, i quali hanno sempre affermato che il loro non sarebbe stato uno sciopero contro i governi sardo e italiano, ma una manifestazione di proposta. Che c'è stata, più nei sindacalisti sardi che in quelli venuti da fuori, ma c'è stata. Si tratta, naturalmente, di discuterne francamente tutti insieme, sapendo che nella critica del passato nessuna parte può esibire patenti di innocenza. La politica, la grande accusata, ha certo le sue responsabilità, ma ne hanno i sindacati con la loro poca disponibilità a ragionare sul modello industriale paracadutato in Sardegna, ne ha l'ideologia operaista di tanta parte della cultura, ne ha l'imprenditoria non sempre capace di intendere la specificità della Sardegna pur in una economia globalizzata.
È insomma tutta la classe dirigente sarda, non solo quella politica, che è chiamata a prendere atto che il modello di sviluppo esistente fa acqua da tutte le parti. Ogni lavoratore deve essere assicurato che non perderà i mezzi di sussistenza per essi e per le loro famiglie. Questo è, certo, l'impegno più importante. Ma sarebbe da irresponsabili far finta che superate le emergenze, posto che sia possibile, i problemi siano risolti. Quello industriale è un settore vitale per l'economia della Sardegna, così come lo sono gli altri settori dal primario al terziario, ma non c'è alcuna ragione per pensare che l'industria sarda sia quella energivora della chimica e quella inquinante dell'alluminio.
Così come non c'è alcuna ragione – è anzi irragionevole – per pensare che un nuovo Piano di Rinascita, predisposto dallo Stato “con il concorso” della Regione, risolva il problema principe della Sardegna: darsi uno Statuto di autogoverno che, nell'ambito della Repubblica, attribuisca alla Regione tutte le competenze che non siano in conflitto con l'unità della stessa Repubblica. Le competenze e, naturalmente, le risorse necessarie ad esercitarle. Siamo in ritardo nell'affrontare questa questione, ma è importante e forse decisivo che anche il sindacato della riscrittura dello Statuto abbia fatto un suo punto di impegno.

giovedì 4 febbraio 2010

A che serve inquinare il clima di unità?

C'è in giro, dalle parti dell'opposizione, una inquietante tentazione a inquinare il clima unitario che si è creato intorno alla drammatica questione dell'Alcoa. Spero vivamente che si tratti di una semplice volontà di apparire e che, alla fine, quando si tratterà di prendere decisioni, l'unitarietà si ricrei. Ma la sceneggiata di ieri dei consiglieri di opposizione non fa ben sperare. Sapete tutti, credo, che prima l'estrema sinistra e subito dopo a ruota il capogruppo del Pd hanno accusato il presidente della Regione, a Roma per seguire personalmente gli sviluppi della vicenda Alcoa, di non essere presente in Consiglio regionale.
Neppure la considerazione banale che nessun umano ha il dono dell'ubiquità ha fatto desistere l'opposizione dalla sua strumentale protesta, pretendendo che Ugo Cappellacci fosse contemporaneamente a Cagliari e a Roma. Una bella dimostrazione, non c'è che dire, di come la politichetta riesca a far male ai cittadini nel momento in cui c'è bisogno di badare al bene comune e non alla voglia di comparire sulle pagine dei giornali. Credo che alla sede americana dell'Alcoa arrivino gli echi della fermezza dei governi sardo e italiano e della giusta rabbia dei lavoratori più di quanto approdi la sconsiderata manifestazione dei consiglieri sardi di opposizione, ma è certo che questo spettacolo non è di quelli che danno conto di una compattezza indispensabile.
Del resto, quella dell'opposizione sarda non è l'unica voce stonata, alla vigilia di decisioni che possono essere drammatiche. A questo coro scordato si è unito ieri il responsabile economico Pd Stefano Fassina: “Su Alcoa il governo si è mosso tardi ed in modo poco determinato per creare le condizioni per la continuità dell’attività produttiva”. Per carità, ognuno è libero di dare il giudizio che ritiene sull'operato del governo. E anche segnalare, così, alla multinazionale americana: “Non vi preoccupate, fate pure quel che volete dell'Alcoa in Sardegna e in Veneto, tanto abbiamo già individuato il responsabile: il governo Berlusconi”.
Se amassi la dietrologia, sarei portato a pensare che qualcuno stia preparando un poco nobile scaricabarile con un occhio più alle prossime amministrative che alla sorte di migliaia di lavoratori.

mercoledì 3 febbraio 2010

Turismo tutto l'anno: cominciamo dai buoni vacanza

Circa 700 persone hanno partecipato sabato al convegno sul turismo organizzato dalla Associazione Pro Sardegna che mi onoro di aver ispirato. Nella foto un momento del convegno.








La necessità di non concentrare i flussi turistici nei mesi d'estate è presente nei progetti di qualunque governo. Spesso si tratta di nobili intenti dalle conseguenze non sempre apprezzabili, visto che alla loro realizzazione concorrono (o meglio contrastano) elementi che non sono controllabili dai governi, siano essi regionali siano dello Stato: crisi economiche, disponibilità e prezzi dei trasporti, preferenze di chi viaggia.
Su questi due ultimi fattori, trasporti e preferenze, il governo della Regione sarda, che pure ha meno di un anno di vita, ha efficacemente influito, tanto per fare degli esempi, attraverso una intelligente campagna mediatica di promozione dell'immagine di una Sardegna non solo fatta di splendide spiagge e di limpidi mari. E lo ha fatto anche con un fermo contrasto della decisione di Raynair, che sembrava irrevocabile, di cancellare i voli da e per la Sardegna.
Ma c'è un elemento, quello economico delle famiglie, che non si può risolvere con una bacchetta magica e, tanto meno, con la retorica e la demagogia di chi, stando all'opposizione, può lanciarsi nelle più spericolate proposte che non tengono conto delle finanze dello Stato e della Regione, l'uno e l'altra tenuti a non accrescere a dismisura la spesa pubblica e, per scelta, decisi a non mettere le mani nelle tasche dei contribuenti per accrescere i propri bilanci.
Eppure, tutti siamo convinti che il turismo non è solo una risorsa economica decisiva per regioni, come la Sardegna, in cui le scelte industriali del passato rischiano di fare il deserto. È anche un diritto per centinaia di migliaia di cittadini che, nella temperie economica di oggi, non si possono permettere una vacanza. L'idea della ministro Brambilla, idea già in corso di realizzazione, è insieme semplice e straordinaria: sto parlando dei Buoni Vacanza di cui migliaia di cittadini hanno cominciato ad usufruire da qualche giorno.
Si tratta di un contributo che lo Stato dà alle famiglie a basso reddito che vogliano esercitare il loro diritto a un periodo di vacanza. Un contributo che può arrivare, per le famiglie con più di quattro componenti, ai 550 euro, il 45% della spesa sostenuta per fare turismo. Naturalmente, le famiglie possono spendere i loro buoni vacanza in qualsiasi momento dell'anno, ma è logico pensare che le famiglie a basso reddito vogliano utilizzarli nella bassa stagione, quando i prezzi sono più bassi e i tempi di soggiorno possono essere dilatati.
Ecco che così, con uno strumento che costerà allo Stato 5 milioni di euro, si metterà in moto l'economia delle vacanze anche nei tempi fino ad ora considerati morti.

lunedì 1 febbraio 2010

La crisi dell'Alcoa e le tentazioni della mala politica

Domani sarà un giorno cruciale per l'Alcoa e di tutto cuore mi auguro che le alte parole del Papa e l'intervento di Berlusconi sui responsabili della multinazionale americana abbiano l'effetto che tutti auspichiamo. Certo è che, dato il livello dell'interessamento, suonano piuttosto gracchianti gli interventi critici nei confronti del governo, infelici testimonianze di una rabbia inconfessabile per l'unità raggiunta fra lavoratori, sindacati e istituzioni. Ma pazienza, così alcuni pensano si debba svolgere il ruolo dell'opposizione. Preghiamo, religiosamente chi crede, laicamente gli altri, che i forti messaggi facciano recedere l'Alcoa dai suoi disegni contabili.
Una soluzione del problema con soddisfazione dei reciproci interessi non cambia, però, la sostanza della questione che, mi pare, sia stata assai poco affrontata in queste drammatiche settimane di tensione che riguarda Alcoa, Vinyls e altre aziende in profonda crisi. Il contrasto fra le ragioni della politica e quelle del mercato è problema che interessa tutti gli stati, dagli Usa alla Francia all'Italia e ovunque i governi si trovano di fronte a una questione di non poco conto: assicurare la libertà del mercato e dare a questo regole che non possono non essere dettate dalla politica.
Capisco la tentazione di chi è sull'orlo della disoccupazione di chiedere ai governi di farsi carico della soluzione del loro dramma, foss'anche con la creazione diretta di posti di lavoro e non solo con la predisposizione di condizioni che consentano alle aziende di crearli. Chi sta male è poco propenso a pensare ai disastri combinati dallo statalismo nei paesi a “socialismo reale”. Ma chi fa politica non ha il diritto di creare aspettative del genere, sperando in un ritorno di consensi elettorali. Per dirla tutta: il governo Barlusconi fa benissimo a cercar di convincere Alcoa in Sardegna e Fiat in Sicilia, ma non può imporre proprio nulla. Lo stesso vale per Sarkozy o per Obama, come dimostra il rifiuto che avrebbe opposto una grande azienda all'invito del presidente americano a non dare bonus scandalosi ai suoi managers. Illudere i cittadini che questa sia una strada praticabile è da irresponsabili.
C'è piuttosto un'altra considerazione da fare che coincide in larga parte con quella fatta sul suo blog dall'amico Paolo Maninchedda: “Il Governo nazionale finanzi per cinque anni il welfare di sostegno e gli investimenti necessari alla riconversione produttiva del territorio e lo faccia con gli stessi costi che è disponibile a sostenere per garantire vantaggi alle multinazionali e trattenerle in Sardegna”.
Certo, l'appello non va fatto solo al governo, ma anche a tutta la classe dirigente sarda, da quella politica a quella sociale a quella culturale, in modo che tutti si faccia non solo autocritica per l'incoscienza con cui nel passato si è accettata e sponsorizzata l'industrializzazione forzata della Sardegna ma con coraggio si metta mano a un modello di sviluppo consono agli interessi dell'Isola. Non penso solo al passato più remoto, ma anche a quello più prossimo a noi, segnato ad Ottana, ma non solo lì, da risolutore contratto d'area, finito recentemente sulle cronache del malaffare. Bisognerà riparlarne, se non altro per trarre dalla vicenda insegnamenti per non ripetere così grandi errori.