lunedì 22 novembre 2010

Il camorrista Iovine non lo vogliamo in Sardegna

So benissimo che il trasferimento di pericolosi delinquenti in carceri di massima sicurezza, qual è quello di Badecarros, risponde più a logiche burocratiche che a scelte politiche. Ed è noto che i ceti politici nuoresi sono nella loro maggioranza ostili al Governo Berlusconi e portati, come per un riflesso condizionato, ad esprimersi contro qualsiasi provvedimento governativo. Ma quella contro il trasferimento del pericoloso camorrista Antonio Iovine a Nuoro non è una contrarietà di parte: è tutta la società sarda a sentirsi offesa e a riflettere sui rischi che questo comporta.
La Sardegna ha sviluppato, per riconoscimento di criminologi e studiosi di vaglio, anticorpi contro la diffusione e il radicamento delle mafie. Ma non è con il trasferimento di criminali come Iovine, sia pure detenuto in regime di carcere duro, che si aiuta la conservazione di un tale rigetto. Anzi. Sentire il vescovo della città, monsignor Meloni, dire che “E poi finisce che i ladroni li mandano sempre qui da noi”, stringe il cuore. Dà il senso di quale sia il comune sentimento circa il rapporto che continua ad esistere fra la Sardegna, soprattutto le sue Terre interne, e lo Stato.
I dati economici della provincia di Nuoro sono terribili. È vero che essa paga, con la desertificazione industriale, le scelte fatte nel passato anche dai suoi ceti dirigenti, politici, sindacali, imprenditoriali e degli intellettuali operaisti, ma questi errori non possono esser fatti pagare alle popolazioni. “Sono altri i nostri problemi e altre le soluzioni” aveva detto il vescovo di Nuoro, non appena fu prospettata l'incarcerazione di Iovine a Badecarros. Oggi, a quel che si dice, Iovine è già rinchiuso qui. Con grande dolore, ma non posso non essere d'accordo con monsignor Meloni. Quanto a me, farò la mia parte, scrivendo al ministro Alfano affinché il governo che appoggio revochi al più presto questo trasferimento o anche facendone oggetto di una interrogazione.

venerdì 19 novembre 2010

Quel doppio voto nel Parlamento sardo

Sono felice del voto unanime con cui il Parlamento sardo si è dato lo strumento per la riscrittura dello Statuto. È una contentezza che va al di là del contenuto dell'accordo, una assemblea elettiva incaricata di consegnare un articolato al Consiglio che poi lo approvi. C'è nel provvedimento adottato il riconoscimento che la politica può riassumere il suo altissimo compito di sintesi di convinzioni e interessi culturali fra di loro diversi.
Il fatto che ciò sia avvenuto non intorno alle linee portanti della nuova Carta della Sardegna, ma allo strumento incaricato di riscriverla, dà conto che non siamo ancora vicini ad un comune sentire su quali siano i diritti del popolo sardo ma che, certo, ci stiamo avvicinando. Insomma, dopo decenni di discussioni, mai inutili naturalmente, ma inconcludenti, il nuovo Statuto è più vicino. Ho letto con favore che l'Assemblea elettiva avrà il mandato di elaborare un testo che – del resto come avrebbe potuto essere altrimenti? – parli di sovranità della Sardegna all’interno della Costituzione italiana.
Sono infatti convinto che in seno alla Carta fondamentale della Repubblica, e cioè della sua Legge, sia possibile esercitare il diritto, internazionalmente garantito, all'autodeterminazione del popolo sardo. I sardi, cioè, “hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale”, come stabilisce l'Atto finale di Helsinki.
Il popolo sardo ha sì il diritto all'indipendenza, ma anche quello di ricavare per sé il massimo di sovranità senza rompere il patto costituzionale e persino quello di rinunciare alla autonomia vigente a favore di una fusione più stretta con lo Stato italiano.
Ieri, i rappresentanti eletti dal popolo sardo hanno espresso il loro no all'indipendenza che, comunque, rimane con forza sullo sfondo della politica sarda. Il no è stato detto da 28 consiglieri regionali su 80, 10 (il doppio dei consiglieri indipendentisti) hanno detto di sì e 13 si sono astenuti. Il no è chiaro, ma non altrettanto definitivo. È interessante vedere come il voto, salvo che per il centrosinistra compatto per il no, non è stato dato per schieramento. Hanno votato per l'indipendenza, oltre ai cinque sardisti, due consiglieri del Pdl, due dell'Udc e uno dei Riformatori; l'astensione, che è comunque una sospensione di giudizio, è stata data da cinque consiglieri del Pdl, sei Riformatori, uno dell'Udc e uno del Pd.
Si tratta, se si vuol leggere con buona disposizione d'animo questo risultato, di un'interessante indicazione e sia dell'immaginario collettivo della società sarda e sia del clima politico e culturale in cui l'Assemblea sarà chiamata ad operare. 

domenica 14 novembre 2010

Quel piagnisteo su Stato patrigno e Regione matrigna

Trovo non pochi punti di accordo nella lettera di Gianfranco Pintore. A partire dal fatto che, davvero, non si possa più ragionare in termini di amicizia o di inimicizia dei rapporti fra gli elementi che costituiscono la Repubblica italiana, i comuni, le province, le regioni, lo Stato, non a caso equiordinati dalla Costituzione. Lo Stato patrigno e la Regione matrigna sono enfasi alquanto piagnucolone e certamente datate. Fra questi elementi deve esserci una leale collaborazione nel rispetto delle competenze e dei poteri di ciascun elemento. Competenze e poteri che devono essere ben individuati, senza la confusione indotta dal Titolo V della Costituzione, come voluto solitariamente dal centro sinistra che se lo ha scritto e approvato.
Per questo, ho presentato un disegno di legge per un Nuovo Statuto in cui le competenze sono estremamente chiare e definite; disegno di legge che è, poi, la proposta del Comitato per lo Statuto in cui Pintore ha avuto un ruolo insieme a Mario Carboni, Francesco Cesare Casula, Antonello Carboni e a tanti altri studiosi e intellettuali. Detto questo, rispetto l'idea, posta in subordine, che l'unità della Repubblica “possa essere una cosa compatibile con la sovranità della Sardegna”, ma non la condivido. Essa, a mio parere, non solo “è” compatibile, ma è allo stesso tempo condizione e fine della sovranità della Sardegna. Ho detto tante volte, anche in questo blog, che per me l'indipendenza – sbocco ovvio della fine dell'unità della Repubblica – non è uno spauracchio né un tabù. È una soluzione inattuale ed è un salto nel buio.
Se la Sardegna, come mi auguro, avrà tutte le competenze di cui ha necessità, tutte tranne le quattro che resterebbero in capo allo Stato federale, che necessità avrebbe di costituire un altro stato all'interno dell'Europa? Mi si dirà che, nell'ambito del diritto internazionale, ne ha diritto, che si tratta di una questione di principio. Che, infine, in uno Stato federale continuerebbero ad esistere entità sviluppate e entità o sottosviluppate o in via di sviluppo e, quindi, straordinari divari fra il Nord e la Sardegna. Ma io sostengo che questi divari sono il frutto della qualità delle classi dirigenti e del loro grado di coesione intorno ad un progetto di sviluppo economico, sociale e culturale. Classi dirigenti che non riescono, soprattutto per mancanza di questa necessaria coesione, a rendere prospera una terra di 1.700.000 abitanti su un territorio che, vedi la Sicilia, ospita tre volte tanto, riuscirebbero ad assicurare prosperità di una repubblica indipendente? Forse fra moti decenni ce la farebbero, ma contando quante macerie materiali ed immateriali?
Credo che anche i più convinti indipendentisti di questo dovrebbero tener conto. E sperimentare la via della costruzione di una Sardegna, sovrana in tutti gli ambiti di propria competenza, e unita all'interno della Repubblica italiana alle altre entità territoriali, le regioni o quel che risulterà dal processo federalista in atto. Tanto più che i diritto internazionale all'autodeterminazione non è prescrittibile.

Una breve risposta anche agli amici che hanno risposto nel post precedente. Il problema non è solo del ceto politico, ma dell'insieme della classe dirigente in cui insieme a quella politica “abitano” quella imprenditoriale, quella sindacale, quella intellettuale. Nessuno deve scaricare su altri responsabilità che sono anche sue. È vero manca in noi una visione complessiva, una visione nazionale. Ci fosse, gran parte della strada sarebbe fatta.

venerdì 12 novembre 2010

Caro Massidda, visto che i Governi non sono né amici né nemici?

Ricevo da Gianfranco Pintore e con il suo consenso pubblico.
Caro senatore
trovo sia di grande interesse il passo che lei ha fatto nei confronti del presidente del Consiglio e dunque del Governo italiano. Naturalmente non ho titolo né interesse ad entrare nel merito del suo aut aut: o saranno risolte queste questioni riguardanti la Sardegna o sceglierò altro. Credo di aver interesse, come tutti i cittadini sardi, ad entrare nel merito del metodo impiegato per far valere gli interessi della Sardegna.
Fra le varie reazioni all'annuncio del suo passo, una particolarmente mi ha colpito: “Questo è un ricatto al Governo”. È quel che le dice oggi anche il giornalista del Corriere della Sera che lo ha intervistato. Dietro questo modo di pensare, forse più diffuso di quanto si pensi, c'è un fraintendimento circa l'esistenza di un “governo amico” o di un “governo nemico”, la cui responsabilità accomuna il centrodestra e il centrosinistra operanti in Sardegna.
Il presidente Cappellacci sembra prendere atto oggi che il governo Berlusconi non è un governo amico, così come il presidente Soru scoprì che quello di Prodi non era un governo amico. In realtà, il governo Berlusconi, così come quello Prodi, non sono (e furono) governi né amici né nemici della Sardegna. Ma solo governi di uno Stato centrale, non ancora federale, che nella mediazione fra gli interessi tengono conto della forza con cui tali interessi vengono prospettati e imposti.
Ho trovato sempre risibile il piagnisteo di chi afferma che la disattenzione del governo nei confronti della Sardegna è il risultato della mancanza di un ministro sardo. È vero, invece, che la mancanza di un sardo nel governo è frutto della incapacità delle classi dirigenti sarde (da quella politica a quella imprenditoriale a quella sindacale e a quella intellettuale) di avere una visione nazionale della questione sarda. Si presenta, nelle sue articolazioni di partiti, sindacati, associazioni imprenditoriali, università, come semplice articolazione periferica dei rispettivi centri.
Ciò non fa né il Nord (la cosiddetta Padania) né la Sicilia che, infatti, riescono ad imporre i propri interessi all'agenda del Governo dello Stato. Non “ricattano” il Governo, contrattano con il Governo. I partiti maggioritari o anche solo egemoni in quei territori agiscono come rappresentanti degli interessi locali e contrattano la fiducia al Governo sulla base dei risultati che portano a casa. Nel lungo discorso dell'onorevole Fini in Umbria, c'è un passaggio, per me l'unico, convincente: il federalismo solidale è un ossimoro, il federalismo è competizione, regolata – e su questo non si può che essere d'accordo – in una camera di compensazione. Al di là dell'orticaria che provocano certe sue uscite venate di xenofobia, la Lega è apprezzabile perché ha in mente un principio: fare gli interessi dei padani. Se riesce ad imporre questa sua visione del federalismo, è un suo merito ed è un demerito nostro, di sardi, non riuscire a fare altrettanto. Peggiorato, questo demerito, dal nostro aggrapparci al fantasma del federalismo solidale, a cui spesso si impiccano anche coloro che dichiarano di battersi per l'indipendenza della Sardegna.
Lei sa, perché a volte ci è capitato di parlarne, che personalmente non vivo con ansia, anzi, la presa d'atto che la cosiddetta “unità nazionale” è un ideologismo pieno di retorica infondata. Riconosco che l'unità della Repubblica possa essere una cosa compatibile con la sovranità della Sardegna e con il diritto, garantito dalle leggi internazionali, all'autodeterminazione del suo popolo. Ma questa unità può continuare ad esserci solo se le parti territoriali saranno in grado di contrattare con il Governo il soddisfacimento dei propri interessi. Dire ad un governo che la ventina di parlamentari sardi lo appoggerà se saranno soddisfatte le condizioni poste non è un ricatto: è l'invito a un patto, come si fa tra entità diverse, da sole impossibilitate a governare e insieme in grado di farlo.
Spero solo che il suo atto solitario e coraggioso riesca a contagiare i suoi colleghi sardi, siano di maggioranza e siano dell'opposizione. Litigare sulla politica del governo sardo si può ed è persino salutare, purché si abbia il coraggio dell'unità nell'appoggiare (o combattere) unitariamente il Governo dello Stato.
Gianfranco Pintore


Caro Pintore, la ringrazio per il suo apprezzamento. Condivido gran parte delle cose che scrive. Non tutte, e domani gliene farò un elenco ragionato. piergiorgio massidda

giovedì 11 novembre 2010

Insufficienza venosa: caro ministro, basta un po' di sensibilità

Dietro la sigla CCSVI si nasconde una grave malattia, l’insufficienza venosa cronica cerebro-spinale, che comporta, per chi ne è affetto, un alterato deflusso del sangue dal cranio al torace. Il fatto è che se ne può guarire, seguendo il protocollo predispoto dal Prof. Paolo Zamboni, responsabile del centro malattie vascolari dell’Università di Ferrara. Basta sottoporre il malato prima ad un ecocolordoppler MyLab Vinco e, accertata la presenza della condizione clinica, ad una semplice angioplastica che dilati le vene interessate, una misura poco invasiva, poco costosa e con buona sicurezza per la salute dei pazienti.
Tutto bene? Non proprio, visto che moltissimi pazienti sono costretti a viaggiare all'estero per sottoporsi all'esame e all'angioplastica. È per questo che ho rivolto al ministro della salute una interpellanza per sapere quando abbia intenzione di autorizzare il professor Zamboni a sperimentare quanto già all'estero si fa con successo. Qui da noi, in Sardegna, esistono centri d'alta specializzazione di radiologia interventista e di chirurgia vascolare, con strutture adeguate e dotate di un capitale umano d’eccellenza.
Di qui la mia domanda al ministro se ritenga di dover dotare la Sardegna di un contributo straordinario a sostegno dell'iniziativa, nel caso in cui si volessero qui avviare progetti per la diagnosi e il trattamento della CCSVI.

Questo che segue è il testo integrale dell'interpellanza:

Premesso che:
- l’insufficienza venosa cronica cerebro-spinale (CCSVI) è una condizione clinica che consiste in stenosi congenite o di altra natura che colpiscono le vene giugulari e le altre vene del tronco (in particolare le vene giugulari interne e la vena azygos), determinando un alterato deflusso del sangue dal cranio al torace.  Inserita fra le malformazioni venose di tipo trunculare, ovvero fra quelle che si sviluppano fra il 3° ed il 5° mese di vita intrauterina, la CCSVI è già stata riconosciuta come condizione clinica e la sua diagnosi, così come i potenziali protocolli terapeutici, sono stati descritti anche dal Prof. Paolo Zamboni, responsabile del centro malattie vascolari dell’Università di Ferrara, e sono stati inseriti nel convegno “International Union of Phlebology” (UIP 50), svoltosi nel settembre scorso a Montecarlo. Gli esperti di malformazioni vascolari di 47 paesi hanno votato all'unanimità. 
Considerato che:
- la diagnosi di CCSVI può essere effettuata in presenza di strumentazione specifica (ecocolordoppler MyLab Vinco della Esaote, unica azienda ad aver progettato un software dedicato per la diagnosi della CCSVI) e personale adeguatamente formato presso la stessa Università di Ferrara nel Centro Malattie Vascolari, di cui è direttore lo stesso prof. Paolo Zamboni. Tale diagnosi risulta essere poco costosa, per niente invasiva e priva di eventi aversi.
- la CCSVI viene curata con l’angioplastica dilatativa, una procedura consolidata da 25 anni, mininvasiva, con buona sicurezza per la salute dei pazienti.
- in Sardegna esistono centri, per quanto riguarda la radiologia interventista e la chirurgia vascolare, con strutture adeguate e dotate di un capitale umano d’eccellenza.
- l’art. 32 della Costituzione “ (…) infine, tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività (…)”
Si chiede di sapere:
- se ritenga opportuno concedere l'autorizzazione alla sperimentazione come indicata dal prof. Zamboni;
- se ritenga opportuno assicurare adeguato sostegno alla verifica delle conoscenze e delle ricerche del prof. Zamboni;
- se risulti che la Regione Sardegna, in particolare, abbia dato la disponibilità ad avviare progetti per la diagnosi e il trattamento della CCSVI e, in caso affermativo, se ritenga di dover dotare la Regione medesima di un contributo straordinario a sostegno dell'iniziativa.

Sen. Piergiorgio Massidda

giovedì 4 novembre 2010

Ci sono momenti in cui bisogna saper scegliere

Stare insieme in un partito è una grande esperienza umana, che arricchisce per gli stimoli che dona alla comprensione della società in cui si vive e alla sua trasformazione. Tanto più importante è tale esperienza quanto più impegno si pone nella sua fondazione e formazione. Io ho avuto, come molti sanno in Sardegna, l'onore – e, senza false modestie – la capacità di partecipare alla fondazione prima di Forza Italia e poi del Popolo della Libertà, in grande amicizia con Silvio Berlusconi. Ma quando si sente, come sento oggi io insieme a non pochi militanti, un profondo malessere nello stare in un partito, diventato lentamente ma progressivamente diverso, è necessario interrogarsi sul che cosa fare.
Non mi interessa addebitare a questo o a quel dirigente, a questo o a quel gruppo, la responsabilità della crisi che pure è evidente e di cui l'insuccesso elettorale della passata primavera in Sardegna è sintomo preoccupante. Intorno a questa batosta è praticamente inesistente un'analisi e insufficienti sono i propositi di incidere sulle sue cause. Potrei, volendo, concludere che non vale più la pena di impegnarsi, con cuore e mente, risorse materiali e immateriali, assistendo a questa crisi che diventa sempre più grave e, soprattutto, madre di incapacità di metter fronte al degrado della società sarda.
Ma avverto che non avrei la coscienza a posto. Sento che così tradirei la stima, la fiducia e l'affetto che anche recentemente tantissimi elettori mi hanno riconfermato. E allora bisogna fare delle scelte che per me partono da una lunga, e anche macerante, riflessione sulla impossibilità di superare la crisi del Pdl, soprattutto in Sardegna, con l'attuale gruppo dirigente. Bisogna, ripeto, fare delle scelte e dovrò farle, anche se dolorose.

mercoledì 3 novembre 2010

Bentornati sul mio blog


Riprendo oggi, e dopo una lunga interruzione, a pubblicare il mio blog. Me lo hanno richiesto tanti amici che hanno continuato ad entrarvi e tantissimi altri che di persona, con mail e sms, che hanno apprezzato il mio desiderio di dialogo costante con i cittadini, siano essi miei elettori o avversari politici. C'è stato per me un forte bisogno di riflessione sulla crisi della politica, sulla distanza che separa in modo sempre più profondo la politica dalle persone ed esse da un mondo, quello di noi politici, sempre meno comprensibile.
Credo di non aver comunque ceduto allo sconforto, sovrapponendolo alla necessità e urgenza di rispettare sempre e in ogni caso il mandato che il popolo sardo mi ha confidato in quanto suo rappresentante nel Parlamento della Repubblica. La politica soffre sì di una crisi molto grave, ma chi crede che senza la politica c'è la giungla, non ha il diritto di rassegnarsi ed ha, anzi, il dovere di partecipare al suo rinnovamento. Non mi arrendo, quindi, e per questo rinnovamento intendo battermi con tutte le mie forze.
Cominciando, va da sé, dallo schieramento democratico e liberale del centrodestra in cui ho scelto di militare perché è lì che trovo i valori politici, culturali, sociali per cui vale la pena di impegnarsi. Non scorgo alternative e con grande amarezza vedo l'altro schieramento perso dietro un giustizialismo talebano, la tentazione di far politica guardando nel buco della serratura, la voglia di spallate, la strumentalizzazione ossessiva di tutto il possibile e, soprattuto, un vuoto di idee; non è così come si presenta un mondo compatibile con le mie idee di una moderna civiltà politica.
Resta il fatto che una seria crisi attraversa e pervade anche il centrodestra e che alla sua soluzione bisogna metter mano da subito sia in Sardegna sia nella Penisola, ma partendo da qui, dalla nostra terra, sconvolta da gravi difficoltà economiche, culturali e sociali e da veri e propri conflitti fra le forze politiche, incapaci di capire che senza un condiviso e unitario amore per il bene comune si prospetta il disastro. E non varrà ad evitarlo o anche solo a limitarlo alcun aumento di consenso al proprio partito. Il partito in cui milito, ma nel quale provo un profondo disagio, è reduce dalla battuta d’arresto delle ultime amministrative sarde. La batosta, come ho detto più volte sia in questo blog sia in interviste con quotidiani sardi e della Penisola, non è frutto del caso o della sfortuna. E' la conseguenza prevedibile e prevista di una gestione del partito che sempre più ha escluso la base, sulla quale non voglio oggi insistere. Questo del superamento della crisi del Pdl e del rinnovamento della politica in Sardegna è il tema che mi impegnerà nei nostri dialoghi che vorrei frequenti e partecipati.

Bentornati su questo blog