Per mia indole, non sono propenso a regolare i rapporti fra politica e stampa con le querele, e pur avendo subito in questi anni tante offese e ingiurie non vi ho mai fatto ricorso. È pur vero, però, che io non sono stato bersaglio di campagne mediatiche tese alla mia demolizione come individuo. Da Berlusconi, che invece lo è da tre interi lustri, ho imparato in tutti questi anni la moderazione e la pazienza. Mi ha perciò colpito la notizia delle querele presentate contro La Repubblica e L'Unità per la virulenza usata non per criticare, come è nel loro diritto, le scelte politiche ma per tentare la demolizione personale di un uomo.
Ricordo il 1994 quando, nel pieno di un importante incontro internazionale, gli fu recapitato un avviso di garanzia. E ricordo come anche quest'anno, alla vigilia di un altro importante G8, gli stessi ambienti mediatici di allora hanno tentato di deligittimare Berlusconi e rovinare l'immagine dell'Italia. Per il lavoro che faccio, di parlamentare della Repubblica, sono testimone diretto degli schizzi di fango che vengono gettati sul presidente del Consiglio non solo dai due giornali. Nelle stanze del Senato, nelle Commissioni, nei discorsi che sento, i pettegolezzi, i gossip, le ingiurie gratuite sono costanti e quotitidiani. Sono stato testimone di un linciaggio che molti non vorrebbero solo verbale, su istigazione di quel super-partito che ha fatto del “regicidio” la propria missione. L'ossessione antiberlusconiana di La Repubblica è ormai giunta a livelli parossistici.
Così come sono stato testimone delle reazioni, spesso scomposte, dei D'Alema, Fassino, Di Pietro contro le critiche che a loro sono state mosse dai giornali, costantemente da loro querelati, dimenticando quella libertà di stampa di cui si fanno campioni quando a querelare è il presidente del Consiglio. La libertà di stampa, nello strabismo di questi personaggi pubblici, va difesa solo quando non sono loro ad essere toccati, perché allora non vale, secondo l'aberrante principio che si è giornalisti liberi quando si attacca il nemico e venduti quando non lo si fa.
Ripeto, ho imparato da Berlusconi che va usata moderazione e pazienza davanti agli attacchi. È evidente che la quantità e la qualità delle ultime ingiurie nei suoi confronti gli ha fatto valutare che ormai la misura era colma e il fondo era stato abbondantemente toccato: l'esasperazione ha fatto il resto. Vorrei, comunque, aggiungere che proprio la congrega dei giustizialisti, da sempre disposti a giurare sulla imparzialità e l'indipendenza della magistratura, ha ben poco da temere: se i due giornali non hanno commesso alcun reato, giustizia sarà fatta e non subiranno danni. Bisogna avere fiducia, come ripetono ogni qualvolta un pm pronuncia la parola “Berlusconi”.
Questa vicenda delle due querele, si sa, s'intreccia con un'altra che ha per protagonisti un quotidiano e un direttore, Il Giornale e Vittorio Feltri, conosciuti per non avere peli sulla lingua. Come si sa, sul quotidiano sono state rese note torbide vicende di molestie sessuali di cui una sentenza riconosce responsabile il direttore del quotidano della Cei, L'Avvenire, oggi dimessosi dall'incarico. La cosa singolare è che, mentre intorno a La Repubblica e a L'Unità si è manifestato un coro di voci solidali in difesa della “libertà di stampa”, gli stessi sacri principi non sono stati agitati a difesa del Giornale e del suo direttore che, come è noto, è stato bersaglio di attacchi molto pesanti anche da parte di quanti, per l'occasione, hanno dimenticato che la libertà di stampa è per tutti. Quando leggo di responsabili del sindacato dei giornalisti, che pure stimo e apprezzo, che usano un doppio peso nel giudicare gli avvenimenti, non posso che restare sconcertato e preoccupato.
Non ho intenzione di entrare nel merito della polemica e neppure prendervi parte. Ma non posso non denunciare con grande forza che in una società civile il doppiopesismo, lo spalancare gli occhi sulla moralità del nemico e chiuderli entrambi davanti a quella dell'amico o dell'alleato, è destinato ad aprire la tomba alla convivenza e alla democrazia. C'è di più: da tempo avverto su questo blog (il 27 giugno, il 24 dello stesso mese, e il primo giugno, per esempio) come sia sciocca l'idea che i pozzi avvelenati intossichino solo il nemico. Ed è questo che sta succedendo: a furia di ammorbare l'aria, il veleno si sta diffondendo, arrivando a soglie che si pensavano fuori portata. Mi sento, perciò, di sottoscrivere l'appello del presidente della Camera dei deputati: “Basta con il killeraggio politico”, aggiungendo una considerazione che a me sembra inevitabile. Fermiamo il killeraggio politico prima che esso si trasformi in killeraggio puro e semplice.
Intanto si metta un stop deciso e condiviso. Poi si potrà vedere come a questa tregua far seguire un clima nel quale restituire alla politica la funzione che ha: risolvere i problemi dei cittadini. In questa lunga estate di intossicazione della vita civile e politica, la sinistra tributaria della Repubblica e della sua sodale L'Unità si è molto accapigliata sulla futura reggenza del Pd, senza risparmiarsi alcunché del vecchio armamentario stalinista della guerra intestina. Ma, mentre il Governo faceva le sue scelte politiche e attuava il suo programma, da quella parte non è venuta alcuna controproposta, un'idea alternativa a un'idea, un progetto per il futuro della Repubblica: ha solo continuato ad avvelenare i pozzi, salvo poi lamentarsi che schizzi di fango abbiano colpito anche gli amici. E ad usare quella pratica dei due pesi e due misure che ha contribuito a togliere credibilità al moralismo d'accatto dei Di Pietro e dei suoi sodali mediatici.
Fermiamo il killeraggio politico finché siamo in tempo e riscopriamo insieme il gusto di fare politica. Lo dobbiamo ai cittadini, sempre più disorientati e dubbiosi che la politica riesca a riformarsi.
9 commenti:
Che minestrone! Che c'entra "il 1994 quando, nel pieno di un importante incontro internazionale, gli fu recapitato un avviso di garanzia”? Gli avvisi di garanzia non sono creazioni dei giornali, che peraltro, se ne hanno notizia, non possono che comunicarli ai propri lettori.
Insomma, lasciamo perdere i vittimismi e i presunti complotti, distinguendo il lavoro della magistratura da quello della stampa e, prima ancora, dalle semplici chiacchiere malevole private, che si sentono come si sono sempre sentite contro qualsiasi uomo politico.
E che dire di: “il Giornale e Vittorio Feltri, conosciuti per non avere peli sulla lingua. Come si sa, sul quotidiano sono state rese note torbide vicende di molestie sessuali di cui una sentenza riconosce responsabile il direttore del quotidiano della Cei”? Doppiopesismo con la stampa, Massidda?
Chiunque abbia seguito la vicenda sa da tempo che non si tratta di molestie sessuali, ma, falsi a parte, di telefonate moleste patteggiabili e patteggiate per 500 euro (i torbidi della vicenda semmai sono altri, interni agli ambienti clericali, e probabilmente non li conosceremo mai).
Le rivelazioni e opinioni su Berlusconi rese pubbliche dall’ex-sodale Guzzanti o dall’ex-moglie Veronica o dal "favoreggiatore" Tarantini sono forse pettegolezzi ma, riguardando il Premier, sono anche notizie che troverebbero largo spazio su qualsiasi giornale del mondo libero (e anzi lo trovano di fatto), anche se non toccassero direttamente, come invece fanno (a cominciare dall'assegnazione di certe candidature o di certi dicasteri), la vita politica.
Che la libertà di stampa nel nostro Paese è scarsa e pericolante ce lo ricordano da anni le agenzie internazionali. Altrettanto evidente è una delle cause fondamentali: il monopolio e il conflitto di interessi di Berlusconi. Suona quindi piuttosto risibile la protesta di moderazione nei rapporti con la stampa che apre le denunce del premier come tutti i discorsi fotocopia dei suoi gregari. Il problema non è l’eventuale incoerenza di D’Alema, ma la libertà di stampa. Come il problema non è se Boffo sia omosessuale, ma se abbia il diritto di porre in luce la falsità strumentale del moralismo familistico di Berlusconi.
Allora prima di cercare censori stop condivisi e decisi agli scampoli di libertà rimastici, bisognerebbe forse restituire alla stampa la funzione che le è propria: quella di sorvegliante del mondo politico, di cane da guardia al servizio dei cittadini.
Che dire, signor Aatzn, se non rilevare con umano rammarico che leggendo lei, mi par di leggere La Repubblica? Guardi che replicare all'infinito una falsità non avvicina la verità. Lo slogan sulla libertà di stampa minacciata è come altri stereotipi fondato sul nulla: sa dirmi quale organo di stampa sia stato chiuso o anche lontanamente minacciato di chiusura? A me pare che l'unica minaccia venga dalla crescente disaffezione dei lettori a giornali che sanno raccontare loro storie fra le lenzuola.
Grazie della risposta. Tutto sommato sono stato ripagato con la mia stessa moneta, visto che anche a me la "sua" nota era “sembrata” un po' la solita propaganda ripetuta all’infinito affinché qualcuno finisca per scambiarla per veritiera.
Ma mi è andata bene: avrebbe anche potuto darmi del comunista!
Quanto al problema della libertà di stampa, l’unico punto sul quale leggo una sua risposta vera e propria, la rimando al primo articolo che pesco dalla rete sull’argomento: http://www.corriere.it/esteri/09_aprile_30/stampa_liberta_italia_ca7191e6-35c7-11de-92cb-00144f02aabc.shtml
Per il resto, Lei si mostra giustamente consapevole della disaffezione dei lettori dei giornali. Saprà anche che la maggioranza dei nostri concittadini si informa e forma le proprie opinioni e scelte politiche giovandosi unicamente della televisione (dati Censis e Istat: http://www.agoravox.it/L-impatto-della-televisione-sulla.html). E sicuramente capisce perché quando si parla di “libertà di stampa” e affini si intenda far riferimento a tutti i mezzi di comunicazione (anche a quelli che non vanno propriamente in stampa ma viaggiano nel cosiddetto etere). Evidentemente il problema non è soltanto l’eclatante chiusura di qualche testata.
Comunque, se vogliamo limitarci a questo circoscritto fenomeno, lasciamo pur perdere il fatto che, se dovessero sborsare certe cifre, alcuni giornali forse finirebbero davvero per chiudere. Capisco infatti che mi si può replicare che se la sono cercata, spacciando per fatti dimostrati semplici chiacchiere.
Ma ci basta spostare lo sguardo sulla televisione, pubblica e privata, e i casi di giornalisti e attori variamente rimossi negli ultimi anni si sprecano, dall’editto bulgaro fino alle notizie di questi giorni circa il destino di Report e di altre testate di informazione.
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