In un suo editoriale di questa mattina su L’Unione, Raimondo Cubeddu si augura che la ritrovata “concordia sulla Resistenza si trasformi in una forza morale e politica per guardare la riforma costituzionale con animo propositivo”. È l’augurio che, credo, tutti dovremmo fare. Dopo il discorso sulla Resistenza fatto da Berlusconi a Onna, ci sono i primi timidi segnali che l’opposizione, almeno la più responsabile, vuole imboccare la strada che porta verso la fine di una perdente pratica del muro contro muro.
Il primo segnale di svolta sta nel riconoscimento da parte di Dario Franceschini che il centro sinistra ha “fatto l’errore piccolo di cambiare a maggioranza il Titolo V della Costituzione”. Perdoniamo pure l’aggettivo “piccolo” usato per definire un brutto pasticciaccio, come testimonia la miriade di conflitti tra Regioni e Stato: piccolo o grande, l’importante è che sia riconosciuto come errore.
Il secondo segnale è l’appello di Franceschini a procedere alla riforma della Costituzione in concordia fra maggioranza e opposizione. Il problema sta nella raccomandazione al capo del governo: “Dica che si potrà modificare soltanto con l’accordo degli avversari”. In uno Stato normale, in cui l’opposizione legittima preliminarmente, senza se e senza ma, chi vince le elezioni e governa, una tale raccomandazione non avrebbe motivo di essere rivolta. Sarebbe al più un ribadire una cosa scontata.
Purtroppo, i segnali di cambiamento sono troppo deboli e soprattutto contrastati. La lotta per il potere all’interno del Pd comporta, infatti, il rischio che Franceschini rappresenti solo una parte del suo schieramento, forse la più accorta ma, altrettanto forse, non la maggioritaria. Già si intravede questo rischio: l’aspirante al trono, Bersani, ha contestato, per esempio, l’apprezzamento che il segretario ha fatto del discorso del primo ministro: quella di Berlusconi è, dice l’ex ministro ombra del Pd, “una giravolta”. Altri contestano più radicalmente: Franceschini non doveva invitare Berlusconi a celebrare il 25 aprile.
Il mondo che desidererei è quello in cui, nella distinzione dei ruoli decretata dagli elettori, opposizione e maggioranza si riconoscano e, sulle grandi scelte, agiscano in concordia, come succede nelle democrazie mature. Il mondo reale, temo, è diverso. In questa realtà reale, l’opposizione sembra si voglia ricavare uno spazio di interdizione: basterà che dica no alla riforma costituzionale e la riforma non si fa.
Vista da qui, dalla Sardegna, una tale potestà riconosciuta ai Bersani sarebbe letale per la scrittura di un nuovo Statuto di autonomia speciale. Tutti sanno che il nostro Statuto ha rango costituzionale e che la sua approvazione incide sulla Costituzione, la riforma. Assumere per fatto acquisito i primi mormorii di cambio di atteggiamento lanciati da Francescini, sarebbe sbagliato. Un impegno a riformare la Costituzione “soltanto” d’accordo con gli avversari necessità di ben altri segnali da parte dell’opposizione. Per esempio il semplice riconoscimento che la Costituzione repubblicana non è, come le Tavole di Mosé, divina, ma un prodotto umano di una determinata epoca storica, oggi decisamente cambiata.
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