martedì 31 marzo 2009

Il turismo mette le ali

I quasi tre milioni di passeggeri che la Ryanair pensa di trasportare ogni anno sulle sue rotte sarde possono rappresentare una svolta molto importante per il sistema economico della Sardegna. Intanto per l’occupazione che la società irlandese assicurerà e per la quantità di persone che potranno visitare la nostra terra, volando a costi molto contenuti, ma anche e forse soprattutto perché è l’annuncio, sottinteso nell’iniziativa, che un modello economico diverso è possibile per la Sardegna.
Nessuno, certo non io, può illudersi che basti trasportare milioni di persone in Sardegna per risolvere problemi economici che hanno bisogno, per il loro appianamento, del concorso di molti fattori di crescita. Non ho dubbi, però, che quella dell’utilizzo delle nostre risorse, l’ambiente, la grande ricchezza di beni culturali, i saperi della nostra gente, sia la strada maestra per uscire dalla dipendenza.
Non è un caso che una piccola porzione d’Europa qual è la Sardegna sia stata scelta come meta e punto di partenza di 48 rotte italiane ed europee. Chi è abituato a farsi i conti economici di un’impresa sa quanto grande sia il richiamo che la nostra Isola ha internazionalmente. La sua immagine ambientale e culturale è anche una merce da mettere sul mercato del turismo e del viaggio. Sta a noi sardi cogliere in pieno il segnale che oggi viene dalla scelta di Alghero e di Cagliari come basi di una compagnia aerea, la Ryanair, che ha fondato il suo successo su un’idea molto moderna di viaggio: quel che conta non è tanto il trasporto in sé quanto il che cosa si trova, finita la trasferta. Tocca a noi far sì che ciò che si trova in Sardegna sia di grande qualità: a noi interessa certo il consumo che di questa qualità si fa ma anche l’insieme di meccanismi produttivi che creano beni desiderabili, occupazione e nuovi saperi.
Nel quadro del turismo come motore di sviluppo è da aggiungere, va da sé, la grande considerazione in cui dobbiamo tenere quel turismo di élite che ha contribuito a proiettare internazionalmente la buona immagine che della Sardegna si ha e che, usufruendo come fa di servizi di grande qualità, lascia nell’Isola un importante valore aggiunto.

sabato 28 marzo 2009

Dalla crisi industriale una nuova idea di sviluppo

Sullo stesso quotidiano, nelle cronache dal Sulcis, sono comparse qualche giorno fa due notizie che danno il senso della complessità e contraddittorietà della situazione economica e occupativa di quella regione della Sardegna. L’una riguarda il disastro industriale a cui non possiamo né vogliamo abituarci; l’altra riguarda il successo economico e occupazionale di una piccola industria alimentare a cui, invece, vorremmo poter fare l’abitudine.
Ho detto e scritto più volte che un ceto politico e classi dirigenti che si rispettino hanno il dovere di battersi con tutte le forze per salvare tutto ciò che è salvabile dell’industria nata nei decenni passati in maniera scriteriata. I lavoratori non devono pagare con la disoccupazione e le famiglie con la disperazione scelte fatte in un clima di ubriacatura industrialista, più ideologica che economica. La legge finanziaria proposta dal governo regionale di Ugo Cappellacci va in questo senso e non è senza motivo che le parti sociali sarde abbiano apprezzato l’impostazione data dall’amico Giorgio La Spisa.
Ma è l’altra notizia che impone una riflessione attenta sul futuro possibile modello di sviluppo dell’economia e dell’occupazione nel Sulcis e, in genere, in tutta la Sardegna. Riguarda due imprenditori sulcitani che con il loro pastificio hanno non solo “sfondato” nel mercato internazionale con i loro prodotti ma hanno assicurato a sedici persone un posto di lavoro. La Sardegna è piena di piccoli e medi imprenditori che, fondando la loro attività sull’utilizzo delle risorse locali, assicurano reddito e occupazione a migliaia di persone.
Sono imprese che pesano in maniera contenuta sulla bolletta energetica della Sardegna e dell’intera Repubblica, non inquinano, pagano nell’Isola le tasse e le imposte, non hanno bisogno di investimenti pubblici di enormi dimensioni, contribuiscono a creare un sistema economico non dipendente e comunque interedipendente. Il sillogismo dell’ex ministro dell’Ulivo Bersani: l’Italia è un Paese industriale, la Sardegna è in Italia, ergo la Sardegna deve reindustrializzarsi non solo sconta lo scarso amore della sinistra per l’Autonomia sarda, rappresenta la ripetizione (molto ideologica) dell’errore.
Certo non sarà facile coniugare la strenua difesa dell’esistente con la progettazione di un nuovo modello di sviluppo economico. Ma la posta in gioco merita gli sforzi che in questa direzione vanno fatti.

giovedì 26 marzo 2009

L'ammissione che il Pd in Sardegna ha fallito

Nella iniziativa dell’ex presidente Renato Soru di fondare un suo movimento, c’è una franca (e perché no? coraggiosa) ammissione di fallimento del suo partito, il Pd. Lo è già nella specificazione del suo Sardegna democratica: “un vero Partito Democratico sardo”. Un vero partito, veramente democratico e veramente sardo. Come dire: l’esatto contrario di quel che oggi è il Pd in Sardegna.
Con un po’ di malizia, si potrebbe sospettare che dietro l’iniziativa dell’ex presidente ci sia anche una sorta di rivalsa nei confronti di chi è considerato responsabile primo della sonora sconfitta del 16 febbraio, il Pd appunto. E soprattutto della sua nomenclatura, centralista, malata di dipendenza, incapace di risolvere i suoi bisticci senza l’intervento della segreteria romana, come ai vecchi tempi del “centralismo democratico”. Quella stessa nomenclatura che recentemente lo ha accusato di “riformismo illuminato” e di “toni eccessivamente identitari”.
Malizia a parte, resta, per ora senza risposta, la domanda: “Come pensava, l’on. Renato Soru di vincere le elezioni a capo di un partito che, un mese dopo la sconfitta, presenta le caratteristiche che oggettivamente egli critica così pesantemente?”. Su questo blog, il 20 gennaio (Il velluto è sardo ma non basta a fare un sardo) avvertivo che non bastava vestirsi di vellutino per certificare la propria sardità.
Forse chi lo esibiva si sentiva partecipe della identità sarda, ma dietro aveva un partito incapace di camminare sulle proprie gambe, avendo bisogno di stampelle romane. Non un vero partito democratico, non un vero partito sardo. Cosa di cui, dice ora Soru, c’è bisogno. Se riuscirà a trasformare l’attuale partito democratico in Sardegna in vero partito democratico sardo, credo che il centrodestra sardo avrà un avversario e un interlocutore degno di rispetto, con cui condividere la più importante delle riforme. È la riscrittura del nuovo Statuto di autonomia su cui il presidente Cappellacci ha più volte insistito nelle sue dichiarazioni programmatiche e che la presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo ha indicato fra le priorità del nuovo parlamento sardo.

mercoledì 25 marzo 2009

Piano casa: e Franceschini prende il posto di Napolitano

Sul piano casa in corso di elaborazione a Palazzo Chigi, il Pd è in piena confusione. Da un lato l’ex sindaco di Roma Rutelli consiglia al suo partito di attendere il provvedimento prima di pronunciarsi, dall’altro il neo segretario Franceschini, dopo un primo momento riflessivo, si è lasciato andare al vecchio vizio del No a priori. Ha indossato gli abiti di vestale della Costituzione e si è buttato a capo fitto in banali e scontate considerazioni sulle competenze di regioni e comuni che, a suo dire, sarebbero lese dal provvedimento allo studio del Governo.
Non contento di essere il segretario del più grande partito di opposizione, Franceschini vorrebbe insomma sostituirsi al presidente della Repubblica e alla Corte costituzionale e senza incertezze stabilisce che il decreto (ancora in bozza) del Governo è anticostituzionale. Inutile inseguire il segretario del Pd nei suoi fini ragionamenti di ordine costituzionale che allo stato attuale appaiano più che altro disquisizioni sul sesso degli angeli.
Più utile sarà, qui in Sardegna dove il decreto sarà recepito con tutti gli adeguamenti necessari a renderlo compatibile con la nostra realtà di autonomia speciale, seguire il dibattito che in Consiglio regionale si farà su quali siano gli aggiustamenti più opportuni. Se la crisi dell’edilizia è fenomeno che riguarda quasi tutte le regioni, qui nell’Isola ai motivi generali si aggiunge la dissennata politica vincolista della giunta di sinistra che, non da sola certo ma con pervicacia, ha portato a circa dodicimila disoccupati nel settore.
La difesa del paesaggio e un utilizzo compatibile dell’ambiente possono essere occasioni non solo di crescita dell’occupazione, ma anche di ridisegno dei nostri paesi e città, spesso rovinati da uso non appropriato di materiali e da una burocrazia cieca e solo apparentemente rispettosa di regole. Il piano casa dà una risposta alle autonomie e ad un rispetto del paesaggio e dell’ambiente che hanno saputo difendere e conservare senza alcun bisogno di Franceschini.
Nè va dimenticato che il migliore codice di tutela ambientale è quello che porta il nome del ministro di centro destra Urbani, oggi preso come pietra al paragone in tanti stati europei. Franceschini e il suo partito non hanno certo fatto di meglio.

martedì 10 marzo 2009

Piano per la casa: arrampicata del Pd sugli specchi

Nelle scomposte reazioni del Pd al piano per la casa del Governo c’è una finta e strumentale ignoranza della realtà delle cose. Ma anche qualcosa più della impudicizia nell’opposizione di provvedimenti tesi ad affrontare la crisi dell’edilizia, a sconfiggere l’asfissiante burocrazia, a consentire alle giovani coppie di accedere alla casa, ad affidare alle regioni il compito di recepire o non recepire una legge dello Stato. È manifesta l’ammissione del terrore che il Governo ampli la base del suo consenso popolare con misure concrete e credibili, lontane dai fantasmagorici piani di pura demagogia dell’on Franceschini che preferirebbe creare assistenzialismo anziché occasioni di lavoro.
Non è casuale l’imbarazzo nelle reazioni di alcuni presidenti regionali di centrosinistra che se la prendono non con la sostanza della proposta ma la buttano piuttosto in “questioni di metodo”. Non c’è chi non veda come il piano per la casa del Governo affronti alla radice il problema gravissimo della crisi in cui si dibattono gli operai edili (quasi 12 mila disoccupati nella sola Isola): altro che “partito del mattone”. Chi in Sardegna non fosse colto dalla sindrome della sconfitta ed ancora sia incapace di elaborare il lutto per la drastica caduta del consenso, avrebbe letto con più attenzione le linee del piano e capito che non sono in discussione le coste né i luoghi comunque soggetti a tutela. E, comunque, avrebbero atteso a leggere il piano e non solo anticipazioni giornalistiche, spesso interessate politicamente.
Solo davanti ad un documento, è possibile criticare nel merito e persino battersi perché l’adozione del provvedimento sia accompagnata in Sardegna da modifiche tarate sulle condizioni reali della nostra Isola. Ma al solito Pd e fiancheggiatori preferiscono imboccare la strada della indignazione a prescindere.