Nelle scomposte reazioni del Pd al piano per la casa del Governo c’è una finta e strumentale ignoranza della realtà delle cose. Ma anche qualcosa più della impudicizia nell’opposizione di provvedimenti tesi ad affrontare la crisi dell’edilizia, a sconfiggere l’asfissiante burocrazia, a consentire alle giovani coppie di accedere alla casa, ad affidare alle regioni il compito di recepire o non recepire una legge dello Stato. È manifesta l’ammissione del terrore che il Governo ampli la base del suo consenso popolare con misure concrete e credibili, lontane dai fantasmagorici piani di pura demagogia dell’on Franceschini che preferirebbe creare assistenzialismo anziché occasioni di lavoro.
Non è casuale l’imbarazzo nelle reazioni di alcuni presidenti regionali di centrosinistra che se la prendono non con la sostanza della proposta ma la buttano piuttosto in “questioni di metodo”. Non c’è chi non veda come il piano per la casa del Governo affronti alla radice il problema gravissimo della crisi in cui si dibattono gli operai edili (quasi 12 mila disoccupati nella sola Isola): altro che “partito del mattone”. Chi in Sardegna non fosse colto dalla sindrome della sconfitta ed ancora sia incapace di elaborare il lutto per la drastica caduta del consenso, avrebbe letto con più attenzione le linee del piano e capito che non sono in discussione le coste né i luoghi comunque soggetti a tutela. E, comunque, avrebbero atteso a leggere il piano e non solo anticipazioni giornalistiche, spesso interessate politicamente.
Solo davanti ad un documento, è possibile criticare nel merito e persino battersi perché l’adozione del provvedimento sia accompagnata in Sardegna da modifiche tarate sulle condizioni reali della nostra Isola. Ma al solito Pd e fiancheggiatori preferiscono imboccare la strada della indignazione a prescindere.
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