sabato 31 luglio 2010

Buone vacanze a tutti

Buone vacanze a tutti gli amici che seguono questo blog. Ci rivedremo e ci rileggeremo, salvo non capiti qualcosa di imprevisto, alla fine di agosto, quando riprenderemo a ragionare, e perché no?, a bisticciare su quanto accade nella nostra Isola e fuori. C'è un appuntamento importante per tutti i sardi ai primi di settembre. Partendo dalla mozione del Partito sardo sull'indipendenza, il Consiglio regionale comincerà ad affontare la riforma dello Statuto di autonomia speciale.
Questo avverrà in uno scenario politico, culturale e istituzionale dominato dal parere che la Corte internazionale dell'Aja ha dato alla Assemblea generale dell'Onu sulla dichiarazione uniliaterale di indipendenza del Kosovo. Dichiarazione che, secondo i giudici, non è in contrasto con il diritto internazionale ed è, quindi, legittima. Quel che importa, in questa sentenza, non è solo e non è tanto la sanzione di diritto di qualcosa, la costituzione del Kosovo in stato, che già era avvenuto anche attraverso il riconoscimento di molti stati. Importa il riconoscimento, alto e non scontato, che tutti i popoli “hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale”.
Le nostre classi dirigenti, politica, imprenditoriale, sindacale, culturale, non hanno scuse né scuse abbiamo noi cittadini sardi. La qualità e la quantità di sovranità dipendono dal nostro coraggio di volerle, di esercitarle e di contrattarle con lo Stato, sapendo che non sarà facile ma che abbiamo dalla nostra parte la sentenza della Corte internazionale di giustizia. È una stagione decisiva per il nostro futuro, quella che si aprirà in settembre. Ad essa ho dato il mio contributo trasformando in disegno di legge la proposta elaborata dal Comitato per lo Statuto e adottata, nella scorsa legislatura, dal centrodestra sardo. Il disegno di legge è già stato trasmesso dal Senato al Consiglio regionale.
Di nuovo buone vacanze a tutti.

giovedì 29 luglio 2010

Guido Melis, la new entry del giustizialismo

Qualcuno avrebbe la bontà di informare l'amico Guido Melis, deputato del Pd, che l'ex presidente Renato Soru non fu “estromesso dalla guida della Regione”? E che, molto più semplicemente, fu sconfitto in regolari elezioni? Il parlamentare sardo ha fatto la singolare affermazione dopo aver firmato una proposta di istituzione di una commissione di indagine sulla cosiddetta “P3”. La magistratura sta indagando per vedere se ai suoi sospetti corrispondono dei fatti, ma in una veste giustizialista che non gli conoscevo, il parlamentare Pd ha fretta di emettere una sentenza: “Interessi sardi sono in gioco, e istituzioni sarde sono coinvolte, al massimo livello”.
Come per dire che le indagini dei pm sono inutili e dal risultato ormai scontato: le istituzioni sarde sono coinvolte. Parola di Guido Melis. Nella pochezza di idee e di proposte del Pd sardo, non smette, insomma, la speranza che sia qualche pm a sostituirsi al voto popolare e a risolvere la crisi del suo partito. Di qui, come voce dal sen fuggita, ecco l'immagine di Soru “estromesso” dal potere. Il voto di mezzo milione di elettori scambiato per un complotto? Posto che il professor Melis conosce bene il senso delle parole, non c'è altra interpretazione possibile: gli elettori sono intelligenti se stanno sulla spiaggia aspettando che sorga il sol dell'avvenire o sono degli imbecilli se gli danno le spalle. Concetti già sentiti, naturalmente. Ma credevo appartenessero ad un passato non proprio glorioso di una incultura politica che speravo i democratici si fossero lasciati alle spalle.

mercoledì 28 luglio 2010

Sovranità: un passo alla volta è meglio

Quando ho scritto del parere sulla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo da parte della Corte dell'Aja, mi aspettavo un dibattito sull'argomento. E invece, sia qui sia nella mia pagina su Facebook, quel riconoscimento di legittimità è trascorso senza particolari commenti, se si eccettua uno che condannava l'indipendenza conquistata da uno stato criminale. Una sciocchezza giacobina, pari solo alle copertine di settimanali scandalistici che descrivono uno stato italiano mafioso.
Trovo che sia un segno di maturità e di approccio laico alla questione il non essersi dilungati sulla sentenza dell'Aja. I problemi che solleva e solleverà sono, a stare a questo inizio di dibattito, patrimonio della cultura politica sarda. Vedremo poi se questo atteggiamento laico continuerà o se prevarranno opposti giacobinismi e paure dell'autogoverno quando, a partire da settembre, comincerà in Consiglio regionale (e spero in tutta la Sardegna) un serrato dibattito sul che cosa vorrà fare da grande il popolo sardo. Come è noto, il là alla discussione è dato da una mozione del Partito sardo sull'indipendenza, questione che, dopo il documento della Corte internazionale di giustizia, si è liberata dell'ostacolo più insidioso: quello della legittimità e della congruità con il diritto internazionale.
Si discuterà naturalmente del Nuovo statuto sardo che, al momento, ha a disposizione tre documenti: la proposta del Comitato per lo Statuto, il mio disegno di legge che la recepisce e fa propria, il disegno di legge del senatore Antonello Cabras. C'è anche un Manifesto promosso dai sindacati che spinge in direzione di uno Statuto dai forti connotati di autogoverno della Sardegna. È alle viste, insomma, una stagione costituente che sarebbe sbagliato lasciare che si esaurisca in un dibattito nel Parlamento sardo.
In questo blog ho chiesto a chi si fa portavoce di istanze indipendentiste che si coinvolga nella ricerca e nella elaborazione del Nuovo Statuto, ben sapendo che la loro prospettiva futura è diversa da uno Statuto di autogoverno, ma sapendo anche che uno Statuto di autogoverno sarebbe un enorme salto in avanti per la prosperità della nostra Isola. Ho avuto risposte possibiliste, altre di apertura alla mia richiesta e una negativa. “Io capisco che a Lei sembri un atteggiamento sbagliato quello di coloro che non le vengono dietro, ma se sullo statuto non è in grado di farsi ascoltare nemmeno dal suo partito, come può pretendere che siano gli indipendentisti a fare la parte degli autonomisti?”
A parte un'enfasi di troppo (un partito non può andare dietro a un suo militante, semmai ne può far propria un'istanza), la riflessione non è destituita di ogni fondamento. Ma questo significa una semplice cosa: se è complesso trovarsi d'accordo su una riforma interna alla Repubblica, che ne sarebbe della ricerca di accordo sull'indipendenza della Sardegna? Con qualche difficoltà, alla fine un accordo sul Nuovo Statuto si troverà. Non mi pare che lo stesso possa accadere intorno a qualcosa che, allo stato, è un progetto accarezzato da élite, consistenti ma élite.
Alla affermazione del mio diritto ad avere una doppia identità, sarda e italiana, l'amico Addis risponde: “Però, e qui il tasto dolente, delle sue due identità solo una è ufficialmente riconosciuta, insieme alla lingua e alla cultura che si porta; l'altra è di fatto una sub-identità, lasciata alla sfera personale e senza reale forza propria”. Certo, ed è per questo che nel Nuovo Statuto si propone la costituzionalizzazione della lingua sarda e l'insegnamento della storia sarda. Non c'è bisogno di creare un nuovo stato per raggiungere questo scopo. Non vorrei creare occasioni di risentimento, ma non mi pare che il movimento di riferimento dell'amico Addis sia particolarmente attento a queste questioni. Mi interesserebbe, invece, sapere se, per esempio sulla costituzionalizzazione del sardo e delle altre lingue della Sardegna, egli e i suoi amici sarebbero disposti a dare battaglia. Così come sul sistema fiscale proposto nello Statuto, sulla trasformazione delle province in enti non onerosi, sulla diminuzione dei deputati sardi, sul sistema delle garanzie nel rapporto cittadini-amministrazione e così via.
Non sono d'accordo con l'apertura di credito all'indipendenza data dall'amico Pintore, ma trovo che abbia ragione quando chiede: “En attendant Godot (o anche preparando la strada per Godot), non è possibile che si sia d'accordo per conquistare il massimo di sovranità possibile sic stantibus rebus?” Stare alla finestra a guardare come se la sbrigano gli altri è naturalmente legittimo, ma non mi pare sia granché per movimenti politici e culturali (penso anche a Sardigna natzione) che vorrebbero candidarsi a governare la Sardegna.

domenica 25 luglio 2010

Kosovo, Corte dell'Aja e indipendenza sarda

La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo non ha violato il diritto internazionale: così ha deciso la Corte internazionale di giustizia, rispondendo a un quesito postole dal segretario dell'Onu. È cioè in regola con le leggi che regolano due diritti che apparentemente sono in contrasto: quello dei popoli all'autodeterminazione e quello degli stati alla propria integrità territoriale. Ricordo, perché sia più chiaro, l'oggetto in discussione. L'atto finale di Helsinki (1975) sancisce questi due principi:
- In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale;
- Gli Stati partecipanti rispettano l'integrità territoriale di ciascuno degli Stati partecipanti. Di conseguenza, si astengono da qualsiasi azione incompatibile con i fini e i principi dello Statuto delle Nazioni Unite contro l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o l'unità di qualsiasi Stato partecipante, e in particolare da qualsiasi azione del genere che costituisca minaccia o uso della forza.
Perché, dunque, quell'atto del parlamento kosovaro non viola questo secondo principio? Dopo due anni di discussione, questa la sentenza dei giudici della Corte dell'Aja: “La portata del principio dell'integrità territoriale è … limitata alla sfera delle relazioni interstatuali”. Impedisce insomma ad uno stato di aggredirne un altro o di minarne l'integrità territoriale. Un popolo, il kosovaro in questo caso, ha il diritto di uscire da uno stato per costituire il suo.
Benché sia una sentenza dirompente (ma – hanno detto i giudici – non è compito nostro preoccuparci delle conseguenze), il lungo documento reso pubblico qualche giorno fa non ha sollevato, in Italia almeno, il dibattito che meritava. Quasi bastasse ignorarlo per nasconderne l'esistenza. Su questo blog ho spesso affrontato, da spirito libero, la questione dell'indipendenza posta da movimenti e da partiti sardi. Ero convinto prima, e lo sono a maggior ragione ora dopo il pronunciamento dell'Aja, che l'indipendenza della Sardegna non è una questione di legittimità, ma di fattibilità e di opportunità.
Si porrebbe fuori del diritto internazionale, insomma, chi si illudesse di impedire con la forza il diritto dei sardi all'autodeterminazione e alla conseguente possibilità che i cittadini sardi scelgano l'indipendenza. Detto questo – io non sono mai stato uno struzzo e non aspiro ad esserlo – credo che sia diritto mio e di quanti la pensano come me battermi perché ciò non accada. La Sardegna, come succederebbe se avessimo la capacità e la volontà di darci uno Statuto del tipo di quello da me proposto, potrebbe avere tutta la sovranità di cui ha bisogno senza rompere l'unità della Repubblica italiana. Ci sono certo ragioni sentimentali, culturali, storiche per salvare questa unità e niente hanno a che fare con la retorica giacobina. Ma ce ne sono soprattutto economiche. Sarei lieto di discuterne, con pacatezza, con chiunque sia interessato ad un dibattito sulle prospettive sarde della sentenza della Corte internazionale di giustizia.

venerdì 23 luglio 2010

Il cattivo radar militare di destra, si fa buon radar civile di sinistra

“Colata di cemento”, “radar militare” che “come è facile immaginare sarà di quelli con una gigantesca palla”, lì proprio in uno dei posti più incantevoli dell'Asinara, Punta Scomunica. Una brutta facenda, insomma, cominciata “nel più totale riserbo all’inizio dell’anno, tra la fine di gennaio e la prima metà di febbraio”, periodo, come è noto, in cui a Cagliari e a Roma governa il centrodestra.
Poi, all'improvviso, contrordine amici.
Il radar da militare diventa civile, dovrebbe servire a controllare il traffico delle petroliere, e la colata di cemento non è poi tanto colata, pur restando che il radar potrebbe essere costruito altrove. Cos'è successo a moderare l'indignazione del giornalista che per primo ha dato la notizia del paventato scempio dell'Asinara? Semplicemente, la faccenda è cominciata in era soriana e, quindi, non può essere tanto brutta. Ed ecco i contorcimenti verbali dei responsabili.
L'ex assessore dell'ambiente nella Giunta Soru assicura: “Una cosa è l’assegnazione dell’area, altra cosa è la parte relativa alle opere che sono soggette a concessione edilizia, e nel caso specifico del Comune di Porto Torres”. Traduco: io ho assegnato l'area per costruire il radar, ma poi sta al Comune competente dare la licenza per costruirlo. L'ex assessore dell'urbanistica ricorda di aver ridimensionato l'area da 800 metri quadri a meno di cento. A lui niente sfugge, però; sia ben chiaro che c'è il “divieto di destinare l’area assegnata a un uso diverso da quello specificato”. Cioè il radar.
Amici del Pd, ma perché insistete a farvi tanto male da soli?
Foto: L'Asinara dal satellite

mercoledì 21 luglio 2010

Agcom: non solo un problema di telecomandi

La decisione dell'Agcom di escludere programmaticamente le tv locali nei primi nove pulsanti del telecomando del digitale ha ricevuto la reazione che meritava. Sono del tutto d'accordo con i colleghi parlamentari che, in queste settimane, condotto la battaglia per ridurre alla ragione l'Agenzia per le garanzie nelle comunicazioni, Agcom, appunto. Per ora hanno vinto l'arroganza e la burocrazia che, anche ai livelli alti di una Autorità, mostra di saper agire solo fuori del buon senso.
Pur avendo condiviso fin dall'inizio la battaglia, ho preferito non sovrapporre la mia alle voci di chi per primi hanno sollevato la questione. Che è molto semplice, nella sua ottusità: l'Agcom ha deciso di far programmare i telecomandi della tv digitale, assegnando i primi 9 posti – quelli immediatamente raggiungibili con un solo click – alle televisioni a diffusione statale. Naturalmente, ci mancherebbe anche questo, l'Agcom non impedisce ai cittadini di riprogrammare il loro telecomando, assegnando i pulsanti alle tv preferite, quelle sarde nel nostro caso. Ma la cosa è complicata e non di facile comprensione per chi ha scarsa dimestichezza con la tecnologia. E si tratta, comunque, di un atto di imperio, in quanto tale intollerabile.
Tecnologia e arroganza a parte, c'è un aspetto che a me riesce ancor più insopportabile, perché da conto della distanza esistente fra l'ottusità burocratica e la cultura federalista che si sta sviluppando nella Repubblica e che ha, o dovrebbe avere, il massimo rispetto delle minoranze. Ecco come l'Agcom descrive la formazione della sua decisione: “Al fine di verificare attitudini e preferenze del pubblico è stato inoltre effettuato un sondaggio condotto da una società specializzata, che ha evidenziato, nella sintonizzazione dei canali del sistema digitale, la prevalenza nelle prime posizioni del telecomando (numeri da 1 a 9) delle emittenti televisive nazionali ex analogiche. Ciò conferma la correttezza dell’ipotesi posta in consultazione, in merito alla quale si sono dichiarate favorevoli le principali associazioni delle emittenti”.
In poche parole, l'Agenzia ha fatto prevalere le abitudini della grande maggioranza degli utenti della Penisola, escludendo le preferenze di grandi minoranze come quella sarda che, fra l'altro, essendo circondata dal mare non avrebbe potuto ledere le scelte della maggioranza. È come se l'Autorità avesse chiesto ai 60 milioni di italiani se (tanto per non parlare sempre di Sardegna) preferissero l'uso dell'italiano o del tedesco parlato in Sud Tirolo. Spetterebbe ai sudtirolesi decidere quale lingua usare nella loro regione, non vi pare? L'ottusità burocratica non sarebbe d'accordo: troppo complicato. E così, mutatis mutandi, è successo in questa vicenda, dimostrando che più che un ufficio di garanzia, l'Agcom è agenzia per la complicazione delle cose semplici.
È in gioco, qui davvero, la libertà e il pluralismo dell'informazione, un pluralismo che in Sardegna si chiama anche e soprattutto difesa dell'identità del popolo sardo. Fa perciò impressione il silenzio, appena rotto da qualche frettolosa presa di posizione, adottato dal sindacato dei giornalisti, molto impegnato e ideologicamente indignato in una difesa di casta a difesa dell'abuso nelle intercettazioni e distratto quando si tratta di battersi per il diritto dei cittadini ad essere informati, possibilmente al di fuori del pensiero unico.

lunedì 19 luglio 2010

Il partito che non c'è nell'Isola che c'è

Si potrebbe anche pensare, e qualcuno me ne ha parlato, che un dirigente del Pdl come me sia felice della crisi di idee attraversata dal Pd, sempre più “partito che non c'è”. E invece no: lo stato confusionale del partito di minoranza – non ci sono le condizioni per parlare di partito d'opposizione – fa danni alla democrazia sia nella Penisola sia in Sardegna. La sua attesa che la magistratura politicizzata, supplendo alla mancanza di opposizione, dia la tanto agognata spallata è qualcosa di più che un giocare col fuoco, è una dichiarazione di impotenza.
Capisco che questo possa essere nei sogni di chi come Di Pietro ha in progetto l'aumento dello 0,1 per cento alle prossime elezioni, ma che lo sia anche in quanti si definiscono “partito responsabile”, alternativa di governo al centrodestra, è molto grave. Non per il Pdl, ma per la democrazia. Non un berlusconiano, ma un vecchio liberale come Piero Ostellino, si interroga se una parte della magistratura non stia “innovando” la legislazione con la sua ricerca di reati non contemplati nel codice penale. Se così fosse, per esempio con questa vicenda della cosiddetta “P3” aggiungo io, non si tratterebbe, almeno oggettivamente, di una supplenza alla incapacità del Pd di battere Berlusconi con una seria alternativa di governo?
Non ho tutti gli elementi di giudizio che Berlusconi ha per parlare di un tentativo di combatterlo con le armi improprie del rovesciamenti del voto popolare, ma è certo che la vicenda abbia troppe nubi oscure che la campagna mediatica non contribuisce a diradare, anzi. Così come è certo che, qui in Sardegna, c'è chi utilizza i riflessi sardi di questa campagna mediatica per sognare una via giudiziaria e giustizialista che risolva la crisi di identità e di capacità programmatica del maggior partito d'opposizione.
Mettiamo per assurdo che Ugo Cappellacci raccolga l'intimazione a dimettersi; insieme ad esso andrebbe a casa l'intero Consiglio regionale e si dovrebbe tornare al voto. Il centrodestra ha un programma, non fosse altro se non la continuazione di quello che in questo anno e mezzo ha cominciato ad attuare. E l'opposizione? Raffazzonerebbe un programma nel mese di campagna elettorale, quel che in diciotto mesi non è stato capace di proporre in alternativa a quello del governo sardo? Via, siamo seri, amici del Pd, anche voi sedotti dalla demagogia di Francesca Barracciu e dal suo monomaniaco “Cappellacci delendum est”.
Non voglio certo insegnare ad alcuno come si faccia l'opposizione, ma, in questa che sarà una legislatura costituente, si è mai sentita dai banchi dell'opposizione consiliare una voce che proponesse un qualcosa? Anche solo per dire che fra i due disegni di legge costituzionali per il Nuovo Statuto, il mio e quello del mio amico Antonello Cabras, appoggiavano quest'ultimo? Ho già scritto su questo blog che il disegno di legge di Cabras non mi piace ma che è una cosa concreta su cui si può discutere. E voi, amici del Pd?

domenica 18 luglio 2010

L'autogol di Francesca la censora

Ma guarda tu com'è curiosa la vita. C'è una parte del Pd sardo, “in crisi di astinenza dal potere” come l'ha definita l'amico Cappellacci, che cerca fra i verbali giudiziari e in mezzo alle intercettazioni spunti per una politica che altrimenti non saprebbe fare. Si è messa in fiduciosa attesa che dagli interrogatori di Flavio Carboni uscissero finalmente ingredienti ghiotti per l'unico piatto politico capace di cucinare: le dimissioni del governo sardo.
Ricordate i discorsi di Catone, il senatore romano? Secondo Plutarco, parlasse di cultura ellenista decadente, dei baccanali da abolire, dei medici ripugnanti perché greci, il censore immancabilmente finiva i suoi interventi: “Per il resto ritengo che Cartagine dev'essere distrutta”. Un monomaniaco, insomma, secondo il grande storico romano. Noi abbiamo qui in Sardegna una Francesca censora. Di qualunque cosa si parli, la coda dei suoi interventi è una sola: “Cappellacci deve dimettersi”.
Lo spunto per l'ultima orazione, è venuto alla on. Barracciu da un interrogatorio di Flavio Carboni, finalmente utilizzabile come sostituto della politica. Visto?, ha detto l'ex sindaco di Sorgono, anche Carboni lo dice: Cappellacci “ha creato solo danni a tutti”. Ma nella fretta di preparare il suo più recente “Cappellacci delendum est”, si è dimenticata di citare la frase per intero: “Perché ha cancellato la legge Soru che consentiva alle grandi società di intervenire nel mondo dell'eolico”.
Qualcuno, per piacere, si vuol prendere l'incarico di spiegare alla on Barracciu che cosa significa quella frase? E di dirle che se proprio aveva deciso di assestare un colpo all'ex presidente della Giunta poteva trovare un modo meno cruento?

sabato 17 luglio 2010

Attendendo il garantismo del Pd

Il segretario regionale del Pd, Silvio Lai, garantisce – chiedo scusa per il gioco di parole – che il suo partito è “responsabile e garantista”. Forse voleva dire che sarà nel futuro l'una e l'altra cosa e se questa è una promessa, essa va presa con l'attenzione che merita. Pur nell'incapacità di fare oggi una opposizione responsabile e pur nelle sue debolezze attuali nei confronti della sirena dipietrista, il Pd è pur sempre un importante partito che ho sempre rispettato come avversario e mai considerato nemico. Sto in fiduciosa attesa che un domani Lai e i suoi diventino, appunto, responsabili e garantisti.
Oggi non lo sono e, per il rispetto che ho dell'amico Lai, non ne sono affatto felice. Fosse responsabile, il Pd sardo non sarebbe in trepidante attesa che qualche pm risolva i problemi che esso incontra nella elaborazione di uno straccio di programma alternativo a quello del centrodestra. Fosse pienamente garantista, Lai non si sarebbe fatto scappare che “il presidente deve assumersi le proprie responsabilità, che prima di tutto è personale e individuale, al di là della consapevolezza di non aver commesso reati”. Traduco: non mi importa che lei, presidente Cappellacci, si senta e sia innocente di ciò di cui la si sospetta; a me interessa solo che ci sia il sospetto.
Naturalmente, questo ragionamento, degno del principe dei giustizialist più che di un uomo come Lai, funziona solo se ha di mira un nemico politico che è difficile combattere per vie non giustizialiste. Non vale per i compagni di partito. Basta dire, come nel caso del mio amico Milia, che il codice etico del Pd non contempla la fattispecie del reato per cui ha ricevuto una condanna. Per me, che sono davvero garantista, Milia è innocente perché è condannato in un solo grado di giudizio. Per Lai sembra esserlo perché membro del partito dei migliori. Lo stesso io penso di Renato Soru, non solo indagato, ma anche formalmente accusato e oggi sotto processo. È innocente fino a che i giudici non decidano altrimenti. Lo stesso penso dell'ex presidente del Consiglio regionale Giacomo Spissu, anche egli alle prese con sospetti che gli auguro decadano.
Forse è perché non si può essere garantisti a convenienza. Però aspettiamo, forse Lai dimostrerà che il suo partito è responsabile e garantista non solo con i suoi, ma anche con gli avversari. So che i miei amici mi chiederanno se, arrivato alla mia età, creda ancora alla Befana. Ma correrò il rischio.

mercoledì 14 luglio 2010

La barbarie della giustizia per via mediatica

Quella che ci stanno consegnando da tempo giornali e televisioni è una società percorsa dalla corruzione e dal malaffare in proporzioni che appaiono mai viste. La realtà è diversa, ma così appare perché l'uomo non ha memoria lunga ed ha, invece, una naturale propensione ad accontentarsi di quanto sente e legge nell'immediato. Così, pochi si accorgono che “la politica”, non ostante in gravi casi denunciati e che sarebbe sciocco minimizzare, non è il settore della vita sociale più colpito dagli scandali. La vulgata purificratice dei giustizialisti si fonda, insomma, più sulla spettacolarizzazione del fenomeno che sul fenomeno stesso: un politico indagato non è una persona su cui si compiono indagini, ma un bubbone infetto, indipendentemete dal fatto che magari, chi sa fra quanto tempo, quell'uomo possa risultare innocente.
L'allarme di questi ultimi tempi non nasce dall'accertamento di reati con conseguenti giuste condanne penali ma quasi esclusivamente da campagne mediatiche che alimentano una giacobina voglia di forca piuttosto che un diffuso desiderio di giustizia.
Personalmente, mi rifiuto, come sempre ho fatto, di leggere le intercettazioni che circolano sui media perché solo se fossi pregiudizialmente in mala fede potrei farmi un'opinione su fatti, sulla base di mezze frasi di cui non è nota l'intonazione della voce, il contesto in cui sono state prounciate, il fatto che siano dette seriamente o per scherzo. E questo mi capita sia che riguardino, come è successo, il principe dei giustizialisti, sia che concernano altri.
Un atteggiamento di corretta fiducia nell'operato dei giudici mi suggerisce di attendere che ci sia un loro pronunciamento sul lavoro dei pm e sulla difesa degli indagati. Un giudizio che dovrà essere di assoluzione per gli innocenti e di giusta condanna se colpevoli, quale che sia l'immagine che degli indagati esce fuori dal martellamento mediatico. Purtroppo, questo giudizio verrà chissà quando e, certamente, quando il danno alla reputazione degli individui sarà fatto e sarà irrimediabile, nel caso di proclamata innocenza degli individui già processati e condannati sui media.
Passano gli anni e sarei curioso di sapere che immagine è rimasta nella mente di ciascuno di noi di una persona, come Ottaviano Del Turco, che certo non è mio amico di partito. Qualcuno ricorda se le vagonate di fango che lo hanno coperto, prima, durante e dopo la sua carcerazione erano in qualche modo legittimate da una sentenza? Sembra proprio di no, visto che le accuse cadono una dopo l'altra. Qualcuno ricorda il dramma di Calogero Mannino, sedici anni fa dipinto come una mostruosa piovra, e poi assolto in tutto e per tutto dopo che la sua vita politica era stata distrutta e una grave malattia lo aveva provato nel fisico e nell'animo? Chi ha sbagliato va condannato dopo un equo processo come dettano la Costituzione e il buon senso. Ma guai alla nostra civiltà se i processi diventano show mediatici spesso destinati a finire nel nulla. Il desiderio di sentenze sommarie, alimentato da corruttori delle coscienze quali Di Pietro e la sua congrega, ha guastato la nostra società almeno quanto l'hanno minata il giustizialismo e il giacobinismo. Accomunando un un unico fascio chi fa politica seriemente e con spirito di servizio a chi si comporta diversamente (saranno i giudici a dire se hanno o non hanno commesso reati) non solo delegittimano la politica, ma la rendono sospetta ai cittadini, alimentando il sogno peronista dei Di Pietro.
La loro idea di Stato etico, un abominio totalitario, è in sintonia con l'operato di gruppi ristrettissimi di pubblici ministeri di cui è nota, per lo meno, la incapacità di mantenere il riserbo sulle loro indagini. Così che, i magistrati giudicanti, quelli che dovranno decidere sul futuro di altri cittadini, si troveranno immersi in un clima da caccia alle streghe, apparecchiato da coloro ai quali, usando spregiudicatamente le intercettazioni, della giustizia poco si importa. È una società imbarbarita quella che hanno in mente, in cui all'opposizione, come succede oggi, non si impone il dovere di proporre alternative ma si offre la possibilità di cavalcare l'onda del crescente giustizialismo totalitario. Queste opposizioni pensano che, conquistato per via peronista il potere, sapranno combattere la barbarie da loro creata e restituire civiltà. Neppure ricordano che anche Robespierre fu vittima della furia giacobina da esso creata.

lunedì 12 luglio 2010

Se un colonnello della Finanza rispetta e ama il sardo

“Casteddu - Sos militares de su G.I.C.O. de su Nùcleu de Politzia Tributària de sa Guàrdia de Finàntzia ant secuestradu prus de 10 chilos de cocaina e arrestadu a sos 7 cumponentes de s'organizatzione criminale italoibèrica. Sa droga fiat cuada...”. È uno dei comunicati stampa in sardo firmati dal colonnello Giovanni Casadidio, comandante della Guardia di finanza di Sassari, da ieri trasferito a Bergamo. Quasi quotidianamente, il colonnello “Domodedeus” ha per molto tempo ha dato informazioni bilingui ai giornali e ai siti di tutta la Sardegna, parlando della attività dei suoi uomini.
Non era, come purtroppo a volte è stata colta, una maniera folcloristica e pittoresca di comunicare con i media e, attraverso loro, con i cittadini. Ma, molto più semplicemente, la presa di coscienza che viveva e operava in una società bilingue, nella quale entrambe le lingue usate dai cittadini hanno pari dignità e pari diritto di essere usate non solo come lessico familiare, ma anche come lessico ufficiale. Quel che è apparso a molti, a troppi, un atto rivoluzionario e curioso, è stato semplicemente una presa d'atto che una legge dello Stato, la 482, riconosce al sardo lo status di “lingua di minoranza storica” (lingua di minoranza nazionale la chiama più propriamente la Convenzione europea sulle lingue) da tutelare.
Ho esitato nel passato a parlare dell'iniziativa del colonnello per non correre il pericolo di strascinarlo nella molto provinciale temperie politica di questa nostra Sardegna in cui tutto è a rischio di strumentalità. Ma ha perfettamente ragione, il colonnello Casadidio: “La Sardegna può piacere o meno a chi qui è nato; i sardi di adozione la amano invece in maniera particolare” ha detto salutando. Ed ha concluso come concludeva i suoi comunicati: “Forza Paris e Salude e trigu”.
Da quando ha cominciato ad emanare i suoi comunicati bilingui, prendendo atto che esiste una lingua amministrativa scelta dalla Regione, questa ha scelto per scrivere. Non so se condividesse la scelta della Regione, se la trovasse perfetta o perfettibile, ma dai fatti si capisce che una cosa gli è stata chiara: la lingua di una minoranza storica, quando è scritta e soprattutto quando è usata da una amministrazione, è una.
Una lezione che, sono sicuro, Casadidio si è guardato bene da voler dare a chicchessia, ma che è nelle cose, nella pratica del fare.

giovedì 8 luglio 2010

Province si o no: un po' di serietà, via

Ci sarà pure un modo per affrontare la questione delle province, vecchie e nuove, senza isterie qualunquiste e senza levate di scudi di una opposizione vagolante a secondo delle proprie convenienze? Credo di sì, anche se dispero di trovare nel centrosinistra interlocutori che badino ai problemi e non ai sei su sette orticelli appena riconquistati. E tanto per cominciare, ripropongo qui l'articolo 54 dello Statuto speciale il cui disegno di legge ho presentato in Senato: “Le Province sono enti intermedi eletti in secondo grado, espressione dei sindaci della zona. La legge statutaria ne determina organi, funzioni, operatività e modalità di elezione”.
Nessuna abolizione, dunque, ma loro trasformazione in ente di raccordo fra la Regione e i Comuni, che non gravi sulla spesa pubblica come oggi, che sia espressione dei sindaci, amministratori già in carica, cioè e, soprattutto, frutto di una legge del Parlamento sardo. Io dubito che fra gli oltranzisti della abolizione ad ogni costo siano poi tanti a conoscere quali siano le vecchie e nuove funzioni delle province sarde e siano, quindi in grado, di fare una valutazione serena dei costi e dei benefici di una provincia. E però, bisogna riconoscere che le loro annose campagne politiche e mediatiche hanno alla fine raggiunto, soprattutto in Sardegna, gli obiettivi di deligittimazione popolare.
È andato a votare poco più della metà degli elettori, il 52,4 per cento; tre mesi prima, in Continente andò a votare per le provinciali dal 61 per cento di Imperia a 71% di Caserta. Quale che siano le ragioni della maggiore disaffezione dei sardi, è bene prenderne nota e non nascondere la testa sotto la sabbia.
Sta di fatto che sia di una certa urgenza recuperare alle province la credibilità perduta. Non lo si può fare continuando a far finta di nulla. La proposta che fa parte del Nuovo Statuto speciale, elaborato dal Comitato per lo statuto e da me fatta propria, credo sia un'ottima base di discussione.

PS – Qualcuno potrebbe chiedermi perché, pensando ad una riforma tanto profonda delle province, io mi sia candidato a presiedere quella di Cagliari. Risponderei: proprio per questo, per facilitarne la riforma. Ma c'è, oltre alle ragioni che gli elettori e chi legge questo blog conoscono, di ribellione alla conduzione correntizia del mio partito, un motivo semplice. Finché la legge prevede le province, è bene che queste siano amministrate come si deve, negli interessi dei cittadini.

mercoledì 7 luglio 2010

Legge per i fabici: una vittoria di tutti

Se e quando lo vorranno i fabici potranno arruolarsi nell'esercito e nella polizia. È finita così, con un voto unanime della Commissione difesa del Senato, una lunghissima discriminazione che ha colpito centinaia di migliaia di giovani della Sardegna e del Meridione d'Italia, regioni particolarmente colpite dalla malattia. La convinzione che la carenza, parziale o totale, dell’enzima G6PDH, fosse invalidante appartiene a un passato superato oggi da nuove acquisizioni scentifiche e dalla ricerca terapeutica; malgrado ciò, non è stato facile superarla.
Passata alla Camera lo scorso anno, la legge che abolisce una norma oggi non più supportata da ragioni mediche, ha dovuto superare non poche difficoltà, in una battaglia culturale e di civiltà in cui sono stato in prima linea insieme agli altri parlamentari sardi. Ieri, finalmente, la conclusione che, come dicevo, ci ha trovato tutti uniti nel convincere della fondatezza delle nostre argomentazioni quanti, per loro fortuna, vivono e operano in regioni praticamente immuni.
Sconsolatamente devo leggere che neppure davanti a una vittoria di tutti, due colleghi del Pd, Sanna e Scanu, resistono alla tentazione del vecchio “migliorismo” di matrice comunista: “Raccogliamo oggi il frutto di una forte pressione esercitata sul governo”. Che tristezza, in questo modo di pensare al ruolo dell'opposizione. Impedisce loro di gioire per un successo dell'unitarietà d'intenti, dei parlamentari certo, ma anche del governo. Ricordate, amici Sanna e Scanu, la storia della mosca che posata sul corno di un bue si illudeva di guidare il carro?
Io preferisco pensare che la politica tutta abbia riconquistato un po' di credibilità in seno ai cittadini e che sia tempo di gioire tutti insieme, invece di lasciarsi andare alla consueta polemica di poco momento, avanzando meriti che sono di tutti.

martedì 6 luglio 2010

Quella mia interrogazione a Bondi

Mi scrive un caro amico, forse imbarazzato di farlo pubblicamente: ma come, con la crisi economica che in Sardegna diminuisce a ritmi lentissimi, tu vai ad occuparti di archeologia? L'amico si riferisce all'interrogazione che ho presentato al ministro Sandro Bondi per chiedere conto di alcuni fatti messi in luce da un migliaio di persone firmatarie di una petizione, come si può leggere nel mio blog. Analoga questione è stata sollevata, in maniera più brusca, in una discussione nella mia pagina su Facebook.
Credo che il problema posto meriti una risposta pubblica. Dicendo, prima di tutto, che non si tratta di uno sfizio intellettuale ma di cose che hanno una valenza di grande portata economica, oltre che di questioni che, se fondate, potrebbero portare la Sardegna all'attenzione della comunità scientifica internazionale. Dispiace, sia detto per inciso, che i giornali abbiano ignorato la mia interrogazione e le questioni che essa solleva.
Che cosa chiedono i firmatari di quella petizione e il gruppo di intellettuali che la ha appoggiata? Detto in breve, domandano se sia vero che esistono antichissimi reperti archeologici, trovati in Sardegna, da cui risulterebbe che già alcuni secoli prima dell'arrivo dei Fenici nel IX secolo avanti Cristo, i nuragici avevano appreso a scrivere e scrivevano. Io non so e comunque non ho alcuna certezza che così sia; ed è per questo che lo chiedo all'amico Sandro Bondi che per rispondere si potrà avvalere della competenza delle due Soprintendenze della Sardegna, fino ad ora restie a dare risposte alle domande poste dalla petizione.
Questa – assicurano i promotori dell'iniziativa – è stata spedita a tutti i parlamentari eletti in Sardegna, ai presidenti dei gruppi in Consiglio regionale e ai due soprintendenti: io del resto così ne ho avuto notizia. Voi capite che cosa significherebbe dal punto di vista culturale, acclarare che davvero, come suggerisce la petizione, nel XIV secolo nostri progenitori abbiano usato dei caratteri cuneiformi di Ugarit per scrivere qualcosa su una brocca o un vaso di cui resta un coccio, trovato a Senorbì. E che cosa significherebbe acclarare che davvero un coccio trovato a Pozzomaggiore (la cui foto è arrivata a me come a tutti gli altri destinatari della petizione e che qui pubblico) sopporta una iscrizione ben più antica di quell'VIII secolo in cui, secondo quanto sappiamo, comparve la scrittura fenicia, attraverso la quale la Sardegna uscì dalla preistoria per entrare nella storia.
Sarebbe una rivoluzione culturale di enorme portata che porrebbe la nostra Isola al centro di nuovi studi e di nuovi interessi. E l'economia che cosa c'entra? Certo, nulla cambierebbe nel sistema industriale, frutto di scelte errate che tutti siamo chiamati a sopportare, i lavoratori in primo luogo. Ma cambierebbe la qualità e la quantità del turismo, attratto non più quasi esclusivamente dalle coste. Questo comporterebbe la costruzione di strutture di appoggio, il potenziamento delle ricerche con la messa al lavoro di giovani e attempati studiosi, la pubblicazione e la diffusione dei risultati, una inversione della tendenza dei piccoli centri al loro spopolamento. Insomma, si metterebbe in modo un virtuoso circolo economico.
Naturalmente se tutto ciò fosse vero. Ma per saperlo, l'unica cosa da fare è chiedere a chi possa dare risposte scientificamente fondate. Ecco perché l'ho fatto; ognuno naturalmente ha la propria sensibilità di fronte a determinate questioni, io constato che la cultura ha spesso cambiato le sorti di tanti territori che parevano destinati al degrado.

lunedì 5 luglio 2010

Perché farò anche il Consigliere provinciale

Ho partecipato, l'altro giorno, all'insediamento del nuovo Consiglio provinciale di Cagliari. Un grande onore poter rappresentare le mie sei liste e i ventimila cittadini che mi hanno eletto, ma anche un grande onere. Dei candidati presidenti, salvo l'eletto, ero il solo: sia Federico Palomba sia Giuseppe Farris hanno preferito dimettersi, l'uno per occuparsi solo di questioni parlamentari, l'altro per fare l’assessore a Cagliari. Una scelta che rispetto, anche se avrei preferito che l'amico Palomba avesse concorso, con me, a mettere a disposizione del Consiglio una esperienza parlamentare che può rappresentare un importante contributo, specie all'inizio della legislatura.
A nessuno può sfuggire, del resto, come mentre i candidati nei collegi abbiano rappresentato le esigenze dei rispettivi territori, i tre candidati alla Presidenza, durante la campagna elettorale, abbiano potuto raccogliere le esigenze dei cittadini di tutta la provincia. Spesso hanno colto il disagio sociale, a volte la disperazione, presente in tutte le realtà, sia pure con gradi e intensità diverse. Essi, più di tutti, sarebbero stati in grado di avere un quadro generale della situazione.
Ribadisco che la loro è una scelta rispettabile anche se non la condivido. Il fatto è che sono girati, nei blog, nelle pagine di Facebook, nelle discussioni incongrue lezioni morali spero non alimentate, per così dire dalle parti in causa. Si legge qua e là, che è giusta la decisione di Farris di dimettersi per non accumulare gli incarichi e sbagliata la mia di continuare a fare il senatore e il consigliere provinciale. I consiglieri sono stati eletti perché scelti dai cittadini che hanno affidato loro la rappresentanza del rispettivo collegio ed insieme ad essa le loro speranze. I candidati presidenti hanno un onere in più: quello di rappresentare gli elettori dell'intera provincia. Fra la nomina ad assessore e la sua elezione diretta da parte dei cittadini, Farris ha scelto l'incarico per nomina.
Non basteranno gli artifizi dialettici dei suoi sostenitori a far dimenticare questo dato di fatto e a fare pensare ai cittadini che la politica così intesa, come gioco del dare e avere, non li interessa più; segnale che, a quanto pare inutilmente, hanno dato il 30 e il 31 maggio. Io mi ero candidato alla Presidenza della Provincia di Cagliari, sapendo e annunciando che in caso di elezione avrei lasciato il seggio di senatore. Una cosa che, credo tutti lo intuiscano, avrebbe comportato per me un saldo negativo dal punto di vista economico e di immagine.
Chi, come me, ritiene che perdere le elezioni non comporta l'abbandono di un impegno assunto con i suoi elettori e chi, invece, ritiene che fare l'assessore sia più importante che mantenere la parola data alle persone a cui si è chiesto il voto. E mettiamo da parte, per carità, la questione del doppio incarico.
La mia elezione a consigliere provinciale, grazie ad una legge che anche io ho contributo a fare, non comporta accumulo di compensi, semmai un soprappiù di oneri. Di più, chiederò agli uffici legali competenti se sia possibile che la Provincia destini ad opere sociali il compenso che mi sarebbe dovuto come consigliere provinciale. In ogni caso, la mia elezione non solo non graverà sulle spese, ma farà risparmiare l'amministrazione. Il problema è di ordine diverso. Gli altri due candidati alla Presidenza non si sono certo distinti per rispetto del patto con gli elettori; io intendo rispettarlo. E lo farò, da oppositore leale e responsabile, deciso a contrastare il prevalere degli interessi di partito di chi ha vinto, votando con lui ogni volta che ci siano provvedimenti in grado di risolvere problemi della gente.
Quando mi accorgerò che non sarà più necessario il contributo che saprò dare, il mio posto sarà preso dall'ottimo Mario Corongiu, eletto nel Sarcidano che saprà rappresentare al meglio, in Consiglio Provinciale gli interessi del suo territori.