martedì 27 aprile 2010

Il dovere di scegliere la gente

Come si fa, cari amici, a chiudere gli occhi davanti alle sofferenze e ai drammi di migliaia di persone, o anche solo alle loro legittime aspettative, nell'illusione che la politica sia un gioco di pedine spostate da qua a là, da su a giù? Il Pdl, il partito di cui sono uno dei fondatori e al quale mi sento fortemente legato, è nato proprio per metter fine ad una vecchia e deleteria politica fatta di nomenclature, di giochetti di potere degli apparati, di correnti. Se si chiama Popolo della libertà, una ragione ci sarà. Recentemente, Silvio Berlusconi ha bollato le correnti come una “metastasi”, qualcosa che si assomiglia molto a un tumore. E io concordo con lui, tanto che durante la riunione del gruppo dirigente del Pdl, in cui sono uno dei pochi sardi eletti, ho votato il documento che esclude il riconoscimento delle correnti.
Si dà il caso che una corrente, non formalizzata, ma come tale funzionante, si sia assunta il compito di avocare a sé la decisione di indicare il candidato alla Provincia di Cagliari. E su quali basi? Forse perché quel che i giornali definiscono “suo uomo”, neppure iscritto al Pdl, ha uno straordinario programma di modernizzazione dell'asfittica Provincia di Cagliari? O anche perché gli elettori del centrodestra lo hanno indicato? O ancora perché i sondaggi gli affidano la vittoria? No, solo perché il posto spetterebbe a quella corrente, nella divisione che la nomenclatura locale, chi sa come e perché, ha stabilito.
I sondaggi fatti questo autunno davano testa a testa il Popolo della libertà e Graziano Milia, secondo quelli effettuati più recentemente due sole persone, il sindaco Floris ed io, avremmo potuto sconfiggere Graziano Milia. L'amico Floris, come è noto, si è detto non interessato e invece intenzionato a continuare a fare il sindaco. Pressato dalla gente comune e ricevendo incoraggiamenti di dirigenti nazionali e regionali, ho quindi dato la mia disponibilità a candidarmi alla presidenza della Provincia, anche a costo di lasciare la carica di senatore della Repubblica, con il sacrificio di immagine ed economico che ben si può immaginare.
Questa mia decisione ha avuto il gradimento dei vertici del Pdl, ma, come si sa, non di quelli locali che a me hanno lasciato la facoltà di rivolgermi a questa nomenclatura solo attraverso la stampa, questo blog, Facebook, non quella di scambiare con essa idee, proposte sia pure per sentirmi dire di no. I quattro o cinque dirigenti locali hanno fatto una scelta nel chiuso di poche stanze, senza chiedere alla gente che cosa ne pensasse, senza chiedere a me su che cosa fondassi l'offerta di essere candidato. Ma, temo, mettendo a profitto la considerazione che Cagliari “spettasse” a quella corrente e contando su un fatto: dopo la crisi che ha investito il Pd e il mio avversario Graziano Milia, gli ultimi sondaggi affidavano la vittoria al centrodestra, facendo venire l'acquolina in bocca a chi pensava che, stando così le cose, qualunque candidato di centrodestra avrebbe vinto.
Quella corrente e chi la ha assecondata hanno chiuso gli occhi davanti ad una evidenza di questa ricerca demoscopica: Massidda supera di alcuni punti i consensi dell'intero centrodestra, mentre il mio avversario è risultato invalutabile, sconosciuto alla gente.
La mia decisione di andare comunque avanti, come si può capire, non è una ripicca. Il fatto è un altro: mi rendo sempre più conto che ho un dovere nei confronti del popolo sardo e dei cittadini della Provincia in cui abito. Ho preso l'impegno di mettere al servizio della gente la mia passione politica e culturale, e insieme ad essa, esperienza e competenza acquisite in sedici anni di carriera parlamentare. Ripeto: la mia scelta non è indolore sia dal punto di vista economico sia da quello di immagine. Mi è difficile pensare a una dimostrazione d'affetto per la mia gente più forte di questa e a una più impegnativa presa di distanza dal costume degli apparati di partito che, non solo nella sinistra, pretendono di imporre le loro scelte autoreferenziali. Fra le tante cose che Berlusconi ha insegnato a me e a tutti, c'è quella secondo cui prima vengono gli interessi dei cittadini e poi quelli dei partiti, il nostro in primo luogo. Il presidente del Pdl è un bravo maestro, ma questa vicenda cagliaritana sta lì a dimostrare che non tutti sono dei bravi alunni.

venerdì 23 aprile 2010

Un dibattito interno alla luce del sole: se non è libertà questa...

Replicando al mio articolo di ieri, un amico di Facebook così si indigna nella mia pagina: “Senatore lei dice: "Io sono e resto di centrodestra, con convinzione e adesione ai valori liberali e democratici che esprime”. Come può essere considerato liberale o democratico un partito amministrato come una monarchia, dove non è possibile vederla in modo diverso dal monarca assoluto, e ancora come può essere liberale un partito che concepisce che il suo capo possa possedere tre tv nazionali su sette e ne controlli indirettamente quelle del servizio pubblico TG1 compreso, come può essere liberale il maggior partito della nazione che possiede un elevatissimo numero di MONOPOLI privati (Treni Italia, Soc autostrade,ecc ecc). Essere liberali credo sia un valore che il pdl possiede solamente in alcune eccezione, eccezioni queste che costantemente vengono messe alla gogna dai media del capo”.
È la solita solfa di un vetero comunismo che, a quanto pare, alligna anche in ambienti che per cultura politica dovrebbe essere lontanissimo da questa tentazione: costruirsi un avversario di comodo, descriverlo in tutte le sue nefandezze, e poi scagliarsi contro l'immagine che si è costruita. Ieri è capitata una cosa assolutamente inedita nei partiti di ogni specie e grandezza: aprire la propria discussione interna alle telecamere e consentire che il dibattito fosse trasmesso integralmente nelle televisioni pubbliche e private, in siti di quotidiani e in tutte le reti di internet che volessero farlo.
Quale partito, se non uno liberale e democratico, avrebbe consentito a milioni di persone di assistere ad un dibattito, franco e severo, nel corso del quale il leader è soggetto a critiche di fondo? Quale partito, se non il Pdl, avrebbe permesso che i cittadini si facessero un'idea della contesa, direttamente e senza la mediazione di giornalisti che “rubano” qua e là una qualche indiscrezione? Naturalmente, dibattere significa esprimere liberamente le proprie idee, sia quelle critiche nei confronti della leadership sia quelle della leadership di “critica alla critica”.
Al riparo dalle telecamere e dai testimoni esterni, in tutti i partiti si affrontano e, a volte, si scontrano idee e tesi contrastanti e di queste discussioni filtrano, attraverso bravi giornalisti, frasi per lo più anonime e non sai mai se quel che leggi è un fedele riferire cose dette o una interpretazione di rumors. Oggi, tutti quelli che hanno interesse a conoscere sanno con esattezza quali fossero i termini della discussione. Un partito amministrato come una monarchia avrebbe mai consentito un fatto del genere?

PS – Questo spazio continua ad essere aperto alle discussioni di amici e avversari. Ma gli impegni della campagna elettorale che va a cominciare non mi consentiranno di dare eventuali risposte puntuali. Ve ne chiedo scusa.

giovedì 22 aprile 2010

Il coraggio dell'autonomia

Seguo personalmente questo mio blog e così ho dovuto, con dispiacere, tralasciare per qualche giorno il mio dialogo con gli amici che mi seguono, soprattutto quelli che mi criticano e che ringrazio. Devo anche a loro, alla passione che pongono nella difesa delle loro ragioni indipendentiste e sovraniste, un sovrappiù di coscienza autonomista che potrebbe spingermi a una decisione non facile: quella di presentarmi da solo alla elezione del nuovo presidente della Provincia di Cagliari.
Sono rimasto positivamente turbato dal messaggio che ha inviato a questo blog un indipendentista: “Coraggio Massidda e scelga le liste che la hanno contattata”. Egli sa, come sanno altri severi critici del mio autonomismo, che la mia prospettiva non è la loro. La mia è quella di una sovranità forte all'interno della Repubblica italiana: è quella che risulta dal disegno di legge che ho presentato l'anno scorso in Senato per uno Statuto denominato “Carta de Logu noa de sa Sardigna”.
Io sono e resto di centrodestra, con convinzione e adesione ai valori liberali e democratici che esprime e che gli avversari non praticano. Ma sono autonomista fino in fondo e ritengo il governo di una provincia come quella di Cagliari non barattabile su un tavolo della vecchia politica. Le migliaia di persone che mi hanno incitato e che continuano ad incitarmi a presentarmi comunque, sia come espressione del centrodestra unito, sia da solo, condividono il mio impegno a favore di una Provincia sottratta al lento declino verso il provincialismo e, secondo le migliori tradizioni del popolo sardo, sono cittadini con la schiena dritta. Sanno che l'autonomia o è un valore condiviso, forte e libero dalla seduzioni del vecchio modo di concepire e fare la politica, o non è autonomia. È un'altra cosa che a me non interessa e tanto meno interessa ai cittadini della provincia di Cagliari, scottati da una amministrazione, quella del mio amico ed avversario Graziano Milia, che ha subordinato gli interessi della gente a quelli di schieramento, quando non di partito.
Le centinaia di persone che quotidianamente seguono questo blog e la mia pagina in Facebook sanno benissimo che questo non è uno spazio di propaganda, ma solo ed esclusivamente un diario condiviso con cittadini che ancora non conosco e che, soprattutto in Facebook, esprimono forte stima delle mie idee anche se, a volte, non le condividono. Forse anche qui è cominciato un processo di rinnovamento della politica. E ve ne sono grato.

giovedì 15 aprile 2010

Su, un po' più di coraggio, amico Cabras

In un convegno che ascoltò le relazioni di Luciano Violante e di Gaetano Quagliariello, svoltosi a Cagliari a gennaio, l'amico Pietrino Soddu disse, fra altre cose, che il cuore vero della riforma della Costituzione “sta nella ricostituzione del "consenso costituzionale" e questo si ricostituisce affrontando i temi [della] crisi dell'identità nazionale, della coesione nazionale e della "sovranità popolare". Tutto questo” aggiunse “che si voglia o non si voglia, passa per un processo di autodeterminazione, diventata ormai un valore presente nel senso comune ma prima ancora adottato come principio guida dalla Comunità Internazionale”.
Sono d'accordo con l'ex presidente della Regione ed influente membro del Pd anche quando afferma che “l'adozione dell'autodeterminazione non metterebbe in crisi l'unità della Repubblica e la sua indivisibilità, come da molte parti si teme e si sostiene, ma collocherebbe l'unità e l'indivisibilità su un altro piano e su basi nuove, più moderne e più coerenti con la attuale realtà del paese e quindi più realmente vere e accettate da tutti”.
Autodeterminazione ha, nel linguaggio del diritto internazionale, un senso molto preciso, per niente equivoco e retorico e credo che l'amico Soddu ne abbia piena consapevolezza, quando ne parla. Per il “Patto internazionale sui diritti civili e politici”, adottato dall'Onu nel 1966, ratificato dall'Italia nel 1978, “tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale”. Per l'Atto finale della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Helsinki 1975) “In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale”.
Mentre il diritto sancito dalle Nazioni unite è assoluto, non è, cioè, condizionato da altro, quello riconosciuto dall'Osce ribadisce il diritto dei popoli all'autodeterminazione ma lo affianca a quello degli stati alla propria integrità territoriale. In parole povere, i popoli hanno il diritto di decidere liberamente il loro status politico, ma non di sfasciare l'unità dei rispettivi stati. In punta di diritto internazionale, insomma, l'integrità della Repubblica italiana è salva, così come è salvo il diritto del popolo sardo di decidere il proprio autogoverno così come lo vuole, con tutti i poteri e le competenze che vuole, con l'unico limite del suo far parte della Repubblica italiana.
Ha, insomma, ragione Soddu nel dire che l'esercizio del diritto all'autodeterminazione del popolo sardo non è in conflitto con l'unità della Repubblica. Ma il popolo sardo deve esistere e, soprattutto, deve auto-riconoscersi come tale nella sua Carta fondamentale. Non capisco, dunque, perché dalla sua proposta di Statuto speciale, il mio amico Antonello Cabras abbia cancellato il “popolo sardo” che persino lo Statuto vigente (che non è il massimo, tant'è che lo si vuole cambiare) riconosce nientemeno che titolare dell'iniziativa legislativa. Eppure, sia pure fra troppi e inutili timori e troppe concessioni ad un neo centralismo, ci sono, nel testo di Cabras, alcune aperture che vanno nello stesso senso del mio disegno di legge, mutuato dalla proposta del Comitato per lo Statuto.
Ne segnalo una significativa. “La potestà legislativa è esercitata dalla regione nel rispetto dei princìpi supremi della Costituzione e dell'ordinamento giuridico della Repubblica, dello Statuto e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
La potestà legislativa dello Stato è, secondo questa proposta, residuale; si applica, cioè, su un certo numero di materie. Un numero troppo elevato e per molti versi inutilmente condizionato dal Centro, su cui sarà utile ragionare senza la paura che un vero autogoverno della Sardegna mini l'unità della Repubblica.

martedì 13 aprile 2010

La proposta di Statuto di A. Cabras: sparito il popolo sardo

L'amico Antonello Cabras, senatore del Pd, ha presentato qualche giorno fa sua proposta di revisione dello Statuto sardo. Una iniziativa di rilievo e coraggiosa, perché finalmente il Pd esce allo scoperto, con un testo articolato. Immagino che il documento sia l'espressione di quale concetto abbia, se non tutto il Pd almeno l'amico Cabras, dell'autonomia speciale alla vigilia dell'attuazione del federalismo fiscale e, soprattutto, quando si annuncia una più profonda riforma della Repubblica.
Ho letto con la dovuta attenzione la proposta e, pur apprezzando il fatto importante che essa comunque esista, devo confessare il mio sconcerto per la distanza che trovo tra il federalismo possibile e conquistabile e la qualità dell'autonomia richiesta con la proposta dell'amico Antonello. Sarà il caso di riparlarne e di esaminare nel dettaglio il disegno di legge che, comunque, è, allo stato delle cose, l'unica voce articolata che si confronta con il disegno di legge da me presentato l'anno scorso e che, ricordo, ha fatto propria la proposta del Comitato per lo Statuto.
Subito colpiscono sfavorevolmente alcune cose, la prima delle quali è l'arretramento rispetto allo Statuto vigente. Qui si riconosce l'esistenza del popolo sardo (articoli 15 e 28), dalla proposta di Cabras è del tutto sparito. Non siamo nel campo del nominalismo o della retorica, ma in quello delle norme internazionali che riconoscono ai popoli diritto di autodeterminazione. Questo significa che i popoli, come sanciscono trattati dell'Onu e dell'Europa, “hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale”.
Mi sembra palese che se sono proprio le carte fondamentali ad escludere la qualifica di popolo in chi le adotta, i diritti internazionali vanno a carte quarantotto, semplicemente non se ne può rivendicare l'esercizio. Una dimenticanza o una scelta precisa e preordinata? A leggere il resto del ddl ci sarebbe da optare per la seconda. Vi si leggono parole importanti come “sovranità”, ma poi questa rischia di essere un puro esercizio retorico, visto che lo Stato, ancora occhiuto come oggi, vi è descritto come titolare di poteri tali da rendere questa sovranità cosa assai poco praticabile.
L'amico Cabras, che pure estende il numero delle competenze assolute della Regione, ed è importante, insiste anche sulle potestà legislative concorrenti in ben 15 materie, quasi non siamo scottati dall'errore fatto con la riforma del Titolo V che, proprio a causa delle competenze concorrenti, ha dato la stura a un numero incredibile di conflitti di competenza davanti alla Corte costituzionale. Capisco la volontà di difendere quella riforma costituzionale approvata dal centrosinistra con uno scarto di appena 4 voti, ma nel momento in cui si pensa alla carta fondamentale della propria terra, un minimo di autocritica sarebbe opportuno. Tanto più che domani, con la riforma del Titolo V che è nelle idee del Governo, la Sardegna rischierebbe di rimanere indietro rispetto persino alle Regioni ordinarie.
Ripeto – e non lo dico a cuor leggero – plaudo al coraggio mostrato da Antonello Cabras nel voler far uscire il suo partito dalle fumisterie di un molto lungo periodo. Con il suo testo sarà necessario confrontarsi e lo farò con rispetto e stima. Ma vorrei consigliarli di gettare il cuore oltre l'ostacolo: la battaglia per il Nuovo Statuto non sarà facile e se uno pensa di cominciare dalla fine della discesa, commetterà lo stesso errore fatto dai consultori sardi che, secondo i più avvertiti di essi, proposero uno Statuto già vecchio al momento dell'approvazione.

lunedì 12 aprile 2010

Una buona legge per la caccia, anche se...

Alla fine di febbraio, in Senato abbiamo approvato un provvedimento di attuazione di norme comunitarie in materia di caccia. Le Regioni vi sono riconosciute come titolari della sua regolamentazione, sia pure dopo aver avuto il parere preventivo dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), un ente che si avvale della collaborazione delle massime autorità ambientali. Avrei preferito anche io, come altri colleghi che delle autonomie fanno un loro punto di impegno, che l'Unione europea non si sovrapponesse alla potestà legislativa primaria in materia di caccia riconosciuta anche alla Sardegna, e auspico che il parere dell'Ispra diventi consultivo, ma la soluzione trovata è un giusto compromesso con la parte meno fondamentalista dell'ambientalismo.
Io non sono mai stato cacciatore, ma trovo insopportabili gli ideologismi quasi talebani di una certa parte degli ambientalisti che, sull'altare della propria ideologia, vorrebbe sacrificare un'attività, come la caccia, legata non solo a ragioni economiche ma, soprattutto in Sardegna, a una profonda cultura dell'identità. Non sono cacciatore, dicevo, ma conosco moltissimi cacciatori che sono i primi difensori dell'ambiente, profondi conoscitori degli equilibri ecologici e, spesso, in prima fila per la sospensione della caccia in momenti critici per la conservazione della fauna.
Sono rimasto sbalordito, sentendo gli interventi di colleghi del Pd e dell'Idv che, pur di andar contro il governo, non si sono forse resi conto di muovere lancia in resta contro le Regioni in appoggio ai fondamentalisti contrari alla caccia per motivi ideologici. Chi voglia, può leggere il resoconto sommario del dibattito in Senato, per rendersi meglio conto del perché sono stato colto dallo sconcerto.
Suggerirei ai tanti amici del Pd, ancora frastornati per la battosta ricevuta il 28 marzo alle Regionali, di chiedersi come pensano di avere consenso facendosi guidare, nella loro azione politica, da élites intellettuali e da club illuministi che antepongono i propri furori ideologici ai bisogni di una società complessa, molto diversi da quelli che risultano dalle divisioni del bene e del male, nate e coltivate nelle loro teste.

giovedì 8 aprile 2010

Caro Massidda, lei ed io "cossighisti monarchici". Maninchedda dixit

di Gianfranco Pintore

Caro senatore, siamo stati smascherati. Lei come presentatore del ddl sul Nuovo Statuto sardo, io come coautore (insieme a Cesare Casula, Mario Carboni e tanti altri) della proposta che lei ha fatto propria, siamo dei catalanisti conservatori e cossighisti monarchici. Non so bene che cosa significhi, ma deve essere una cosa molto brutta. Ecco come il suo amico Paolo Maninchedda descrive il testo che il Comitato per lo Statuto ha elaborato e che lei ha presentato in Senato: una “traccia culturale, con una patina di catalanismo conservatore spruzzata di cossighismo monarchico che non mi piace”.
Quale Statuto gli piaccia, Maninchedda non lo dice. Sarà perché è nella fase destruens, ma come voglia costruire qualcosa se lo tiene ben stretto. Lancia, in materia di Statuto, anche critiche al suo partito, parlando di “riformina”, su cui non mi pronuncio soprattutto perché non ho le informazioni che deve avere lui. “Il Pdl” scrive sul suo blog “pensa di allungare il brodo per poi portarci in zona cesarini a berci qualsiasi cosa, anche una cosetta magari da celebrare enfaticamente”. Pare, insomma, ben informato.
Non entro in merito, non solo perché non so, ma perché capisco che il mese prossimo ci saranno elezioni e quel che vale prima non è detto valga dopo. Quella sequela di sprezzanti considerazioni su qualcosa che forse non ha neppure letto, e comunque ha letto molto male, ha bisogno di una qualche risposta. Definire “traccia culturale” un testo di 62 articoli è qualcosa di più di una leggerezza: mi pare piuttosto una vetusta maniera di disprezzare culture politiche non condivise, ignorando, fra l'altro, che la proposta tanto disprezzata è figlia anche dell'eccellente elaborazione di Nuovo Statuto fatta dal Partito sardo d'azione negli anni Ottanta, quando il Psd'az non era nell'orizzonte politico di Maninchedda.
C'è poi una singolare sottovalutazione della sovranità che la sua e nostra proposta attribuisce alla Sardegna, singolare, voglio dire, se sentita da chi della sovranità dice di voler fare una propria bandiera. È vero che Maninchedda vuole l'indipendenza della Sardegna, in una singolare confusione di termini, ma neppure la vicinanza delle elezioni nella sua Nuoro può fargli pensare che quell'obiettivo sia a portata di mano. Tanto è vero che, sì, concede che in attesa di quell'alba si possa parlare di Statuto. Anzi di Statuto no, visto che neppure per accenni parla di che cosa vorrebbe metterci dentro, ma di strumento per elaborarlo: la Assemblea costituente.
In politica, i tempi sono decisivi. Personalmente parlo di Costituente per lo Statuto dal 1996, perché lo ritenevo allora uno straordinario strumento di partecipazione del popolo sardo al disegno del suo futuro. Quattordici anni dopo, quando incombono i decreti di attuazione del federalismo fiscale, mi paiono una pericolosa perdita di tempo se non proprio – non vorrei essere maligno – un escamotage buono solo per rinviare una assunzione di responsabilità.
In una cosa, a mio parere, il consigliere sardista ha ragione: una riforma tanto importante qual è la nostra Carta fondamentale non può essere elaborata nel chiuso del Parlamento sardo, ma deve farsi momento di discussione popolare. Qualche anno fa, Maninchedda non la pensava così ed appoggiò l'idea di affidarne la scrittura a una consulta di una quarantina di persone elette dal Consiglio regionale con i meccanismi naturali del “tanti costituenti a me tanti a te” con l'affidamento della maggioranza ai partiti che, ad onor del vero, non brillavano per coraggio sardista. I ripensamenti sono una buona cosa quando vanno nella giusta direzione del coinvolgimento dei cittadini. Ma li si coinvolge intorno a che cosa, se non a una o più proposte?
Per ora, alle viste, c'è una sola proposta. Far finta di nulla o, peggio, esorcizzarla con definizioni criptiche, temo significhi aver la volontà di attendere che siano altri a cucirci addosso uno Statuto. Magari per poi criticarlo e per denunciare la volontà prevaricatrice di chi non attende, per dire come la Sardegna starà nel futuro nel mondo, che si risolva la poco entusiasmante ricerca dello strumento che elabori il Nuovo Statuto. Mi attendo una sua risposta.

martedì 6 aprile 2010

L'Asinara, i cassintegrati e la legge sui parchi

L'idea di ospitare all'Asinara una grande manifestazione per il 1° Maggio è venuta ai cassintegrati della Vinyls che da quaranta giorni “occupano” l'isoletta-Parco naturale. Mediaticamente un'idea suggestiva e intrigante e, per quanto mi riguarda, condivisibile. Dubito che sia compatibile con la Legge 394 che ha istituito il Parco e, soprattutto, con i vincoli imposti da uno dei provvedimenti più centralisti che la sinistra, ecologista e politica, abbia partorito.
Basterebbe dare una scorsa a quella legge per accorgersi come, insieme a divieti di puro buon senso, come quello di gettare cartacce e di spargere rifiuti, la concezione vincolista abbia introdotto divieti che porrebbero i lavoratori della Vinyls di fronte ad una scelta drastica: violare la legge o rinunciare alla loro idea di chiamare a raccolta sull'Asinara lavoratori da ogni parte dell'Italia. Se solo dovessero aderire all'iniziativa gli 81 mila iscritti alla pagina dei cassintegrati su Facebook sarebbe problematico per chiunque far rispettare il divieto di fumare, di entrare nella zona A a salvaguardia integrale, di portarsi via in ricordo anche un solo legnetto, etc etc.
Come già ho scritto sul mio blog, l'iniziativa della decina di cassintegrati della Vinyls di occupare un parco anziché la loro fabbrica è un segnale interessante di come si faccia avanti l'idea che in Sardegna sia possibile un modello di sviluppo diverso da quello esistente. Sull'isola sono arrivate televisioni e giornali di mezzo mondo, tutti a parlare della singolare protesta operaia ma anche, inevitabilmente, di una delle più belle perle del Mediterraneo. La rinomanza dell'Asinara ha aiutato i lavoratori a far sentire la loro voce e i cassintegrati hanno moltiplicato l'appeal di questo splendido angolo di mondo.
La fantasia di un gruppo di operai sardi ha messo in crisi un'operazione, quella della Legge 394, prettamente ideologica e squisitamente burocratica. Adesso è venuto il momento di umanizzare la tutela ambientale con una profonda revisione delle norme e, soprattutto, con la restituzione alle comunità locali del diritto-dovere di preservare questo ambiente unico. Quel che temo è che, stante la concezione vincolista di questo e di altri parchi, un invito così esteso e generale a manifestare su L'Asinara possa ritorcersi contro chi l'ha diramato. Ciò non toglie che totale sia la mia solidarietà con gli occupanti l'isola dei cassintegrati, come efficacemente l'hanno ribattezzata.

venerdì 2 aprile 2010

Catastrofismo n.2: ora tocca al federalismo

L'opposizione ha messo in sordina quel catastrofismo che le faceva sognare di catturare grandi e vittoriosi consensi. Ricordate? L'Italia sull'orlo della bancarotta, la crisi economica che avrebbe devastato l'Italia, la disoccupazione a livelli stratosferici e così via disegnando scenari da Apocalisse. Gli elettori non hanno creduto alle Cassandre e si sono fidati dei numeri oggettivi, forniti non solo dal governo ma da fonti internazionali ed europee: l'Italia sta superando bene la crisi, la disoccupazione è ai livelli più bassi fra quelli degli Usa e dell'Europa, il governo sta facendo bene.
Non è, naturalmente, che le cose stiano nel migliore dei modi (la crisi c'è, la disoccupazione è un problema drammatico per quanti ne sono colpiti), ma la catastrofe annunciata non c'è stata e non è più credibile. Ed ecco che, finito un allarmismo, spunta un altro annuncio di catastrofe: quella che sarà portata dal federalismo. Spiace che di questo allarmismo si faccia portavoce un raffinato intellettuale di sinistra come Francesco Pigliaru, ma tant'è: la tentazione di utilizzate la categoria “catastrofe” nella lotta contro il governo deve essere irresistibile anche per chi piega la scienza economica alle ragioni della bottega politica.
È la vittoria elettorale della Lega che – nella visione di Pigliaru – annuncia disastri per il Mezzogiorno, oltre al solito pericolo di un'economia spezzatino. Il federalismo fiscale prevede – tutti, compreso Pigliaru, dovremmo saperlo – che sia previsto per tutte le parti delle realtà federate, le regioni, livelli minimi di agibilità finanziaria. Su quali debbano essere questi livelli è in corso uno studio non facile, ma certo degno di attenzione e di partecipazione da parte di chi non vuol stare alla finestra, sperando che il governo sbagli, per alimentare la propria visione catastrofista.
Il problema è che dietro a questo atteggiamento c'è una diffidenza nei confronti del federalismo, di cui quello fiscale è un primo assaggio. In altre parole, c'è il terrore che il patto fra le parti della Repubblica, il foedus, diventi una cosa seria, capace di coniugare il massimo di autonomia che le regioni abbiano la capacità di esercitare con la necessità di unitarietà della Repubblica. Per capirci meglio: gli stati negli Usa hanno tutta l'autonomia che serve loro, senza che alcuno possa sospettare che gli Stati Uniti abbiano una cinquantina di politiche estere, una cinquantina di sistemi monetari diversi, altrettanti ambasciatori negli stati esteri e all'Onu.
La decisione, per ora annunciata, dei presidenti di Piemonte e Veneto di non dar corso alla distribuzione della cosiddetta pillola abortiva sta scatenando consensi e molte critiche. Con disprezzo sono definite “spezzatino”, per esempio, le diverse, legittime politiche regionali in materia, al di là del giudizio che se ne possa dare. Non chiamerebbero mai “spezzatino” gli Stati uniti dove, come si sa, ci sono addirittura stati che applicano la pena di morte e stati dove questa barbarie è messa al bando. Forse perché si pensa che siano stati molto più popolosi delle regioni italiane. Ma così non è, visto che, tanto per esemplificare, il New Jersey è meno popolato della Lombardia e il Wyoming ha un terzo della popolazione della Sardegna. In quest'ultimo vige la pena di morte, nel primo è stata abolita tre anni fa. E non stiamo parlando di differenze di poco conto.
Se invece di avvitarsi in paure senza senso, l'opposizione partecipasse a una seria discussione sul futuro assetto della Repubblica non solo acquisterebbe una credibilità che oggi non ha, ma darebbe una dimostrazione seria volontà di essere parte nella trasformazione della nostra Repubblica.