sabato 31 ottobre 2009

Deroghe per una giustizia migliore o per ragioni di casta?

Ho dovuto rileggere più volte, stamattina, l'intervista di un componente del CSM per assicurarmi che il mio stupore non nascesse da fraintendimenti o da una lettura affrettata. E invece purtroppo no: la conclusione di Fiorella Pilato, presidente della prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, è che leggi della Repubblica devono essere cambiate per non intaccare privilegi di casta. Mi rimane ancora un dubbio e una speranza, che abbia frainteso l'intervista del magistrato con un quotidiano sardo.
Tutto parte dalla situazione della giustizia in una sessantina di cosiddette sedi disagiate, fra le quali quella di Nuoro, dove mancano da tempo quattro dei pubblici ministeri in organico e dove gli avvocati sono in agitazione per la paralisi in atto. Secondo l'esponente del CSM, che conosco e stimo tanto da restare incredulo, per risolvere la questione bisognerebbe derogare alla legge consentire che in Sardegna a “un giudice penale di una delle due sezioni” sia consentito di svolgere il ruolo di Pm nell'altra. Per carità, niente di male se questa deroga fosse l'unica possibilità per rimediare, almeno temporaneamente, al disastro incombente.
Ma non è l'unica possibilità: ce n'è un'altra più razionale e rispettosa di una legge approvata dal Parlamento, entrata in vigore, non eccepita dalla Corte costituzionale e, non ostante ciò, ancora contrastata da magistrati che non si rassegnano. È la possibilità e opportunità che il Csm provveda a trasferire nelle sedi disagiate magistrati che operano in sedi più agiate o che sono in sovrannumero altrove. Chi sceglie di farlo ha benefici economici e altri benefici, ma nessuno vuol venirci. Alla domanda sul perché, Fiorella Pilato risponde, credo testualmente: “Perché c'è il mare di mezzo e i soldi in più consentono giusto di non rimetterci di tasca”.
Un magistrato, insomma, come un carpentiere che, lui sì giustamente, rifiuta di trasferirsi lontano da casa perché il salario in più gli consente “giusto di non rimetterci di tasca”. Curioso, ho sempre avuto del delicatissimo lavoro di un magistrato l'idea che il suo si assomigliasse più a una missione che ad un impiego. “Accadrebbe” continua la dottoressa Pilato “che a rimetterci sarebbero solo gli utenti, che avrebbero a che fare con un ottimo professionista, ma poco motivato e costretto a svolgere un'attività per la quale non ha alcuna preparazione specifica. Ecco una delle ragioni per cui a risolvere le carenze di organico della Procura di Nuoro e di tutte quelle che si trovano nella stessa situazione, non può essere il trasferimento d'ufficio dei magistrati”.
C'è un'altra ricetta, nelle sue parole: quella dell'accorpamento delle Procure e della conseguente abolizione di alcune di esse. Una “razionalizzazione” che non si riesce a fare “per la resistenza delle comunità locali”. Sbaglio o questo apparente buon senso nasconde una volontà corporativa? La stessa che sembra muovere il sindacato dei magistrati nella sua levata di scudi contro la riforma della giustizia? Sarei rassicurato e davvero grato a chi dimostrasse che questi dubbi e queste domande sono infondati

venerdì 30 ottobre 2009

I magistrati applichino le leggi: a farle ci pensa il parlamento

Non avrei da ridire nei confronti del sindacato dei magistrati che manifesta contro le severe parole del presidente del Consiglio nei confronti di alcuni pubblici ministeri di Milano. La libertà di manifestare le idee è un valore in sé e riguarda tutti i cittadini, magistrati compresi. La condanna di Berlusconi dei “pm comunisti di Milano” non era, né poteva essere, condanna dei magistrati nel loro insieme, ma di quelli che mostrano un'accesa politicizzazione nel loro operato. Ma capisco, pur senza condividerlo, un moto di solidarietà corporativa.
Quel che leggo nelle cronache della manifestazione di ieri a Cagliari è, però, assai preoccupante sia per l'oggetto vero della contestazione delle toghe (le leggi che il Parlamento si appresta a discutere e ad approvare) sia per gli alleati che i magistrati sardi si sono trovati accanto, la Cgil e l'Italia dei valori. Spero solo che non siano stati ricercati e che se li siano trovati casualmente accanto. In una democrazia parlamentare, i magistrati applicano le leggi, non sono chiamati a deciderle e a farle. Questo è un compito del Parlamento. E allora, quando leggo che nel mazzo della protesta e dello sciopero c'è la contestazione alla riforma della giustizia, provo una profonda inquietudine.
C'è, magari non espresso, un disprezzo del Parlamento nella denuncia che si è sentita pronunciare, secondo cui la riforma della giustizia è studiata per “punire la magistratura”. Se si ha questo concetto del potere legislativo, quello preposto a fare le leggi che la magistratura poi deve applicare, temo che la “repubblica dei giudici” smetta di essere una iperbole mediatica e diventi un progetto. Quanto consono ad una moderna democrazia lascio a voi immaginare.
Ieri a Cagliari, sono state dette cose sacrosante riguardo allo stato della giustizia in Sardegna e, soprattutto, in province come quella di Nuoro dove regna la paralisi quasi assoluta. Da quelle parti si dice: “Mezus manchet su pane ma non sa zustìtzia”, meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia. Mancano l'uno e l'altro, ma solo la malafede può addebitarne la responsabilità a questo governo, sapendo che la crisi industriale è frutto di scelte sbagliate fatte nel passato e che la crisi della giustizia è endemica e provocata anche dalla difficoltà di trovare magistrati disposti ad insediarsi in una sede "disagiata".
C'è, insomma, un concorso di cause che andrebbero affrontate e risolte con serie riforme economiche, sociali e culturali, compresa quella della giustizia che, dicono gli avvocati delle Camere penali, è contrastata dallo spirito di casta che ha contagiato il sindacato dei magistrati. Nella mia attività di parlamentare, la questione della amministrazione della giustizia nella mia Terra è sempre ai primi posti e continuerà ad esserlo. Si può ben immaginare, quindi, come le sollecitazioni venute dai magistrati dell'Isola in questo ambito mi trovino d'accordo.
Ignoro se anche altrove, ma in Sardegna il sindacato delle toghe ha trovato non so quanto graditi alleati nel segretario della Cgil, Enzo Costa, e nell'esponente dell'Italia dei valori, Federico Palomba. Dal primo è venuta questa sorta di analisi: “E’ evidente che esiste un disegno preordinato per avviare un processo di destabilizzazione della società, partendo dai valori”. Dal mio amico Palomba queste espressioni: “Questo Governo ha interesse a mantenere lo sfascio della giustizia per poterlo addossare sui magistrati e trovare pretesti per poterne comprimere l’autonomia e l’indipendenza”. Mi auguro abbia provato un po' di imbarazzato rossore nel pronuciare simili frasi, forse sapendo che, spesso, una visibilità sui giornali è legata al tono con cui si dicono.
Commentare queste sciocchezze non ha alcun interesse. Certa è una cosa: se i magistrati sardi non sono politicizzati, dovrebbero con sdegno respingere questi tentativi di politicizzazione, il cui tasso di cultura politica lascia molto a desiderare.

giovedì 29 ottobre 2009

Una sinistra mistificazione per allattare la "Anonima indignati"

Basta che sul sito di un comico, molto seguito dall'Anonima indignati, compaia questo titolo: “Salviamo Santa Lucia da Cappellacci”, ed ecco decine e decine di persone partecipare al tiro al piccione. Gran parte di loro non conosce la splendida marina di Santa Lucia, minacciata dal cemento decretato dalla giunta di sinistra di Siniscola, ma di una cosa è certa: la colpa è di Cappellacci. Né queste persone sono turbate dalla precisazione della portavoce del Comitato che raccoglie firme contro il progetto: guardate che non c'entra il governo regionale di centrodestra, la decisione è tutta dell'amministrazione comunale di centrosinistra.
Imperterriti, i frequentatori del sito continuano a maledire il presidente della Regione e "i sardi (o pseudo tali)" che l'hanno votato e "che non si meritano la Sardegna". Qualche chilometro più a sud, ad Orosei, il centrosinistra ha appena approvato un Piano urbanistico che aumenterà di 50 mila metri cubi il cemento sulle coste della cittadina. A elaborarlo è stato Sandro Roggio, uno dei più inflessibili guardiani delle coste sarde che non siano gestite dal centrosinistra. Quando è il centrosinistra a decidere di costruire sulle coste, come dice l'ex assessore dell'Urbanistica Gian Valerio Sanna, il cemento valorizza il paesaggio.
Minicronanache della miseria umana, si dirà. Allo stato delle cose, il cemento che approda all'attenzione è irrimediabilmente di sinistra, deciso da amministrazioni di sinistra. Se non occultata, questa attività costruttrice, è circondata dalla amorevole comprensione del centrosinistra e dei suoi portavoce. Atteggiamento assai diverso quello nei confronti delle assicurazioni, date ieri dall'assessore Asunis, che non sarà approvato il progetto di Costa Turchese ad Olbia e che il piano per il rilancio dell'edilizia non comporterà alcun deturpamento delle coste. Così, tanto per gradire, ecco, da una cronaca di oggi, alcune espressioni mediatiche fatte passare per informazione.
Costa Turchese è “Berlusconiville”; “Forse Silvio si potrà consolare con un premio volumetrico nella sua villa Certosa”, “Il tour dell’assessore per convincere della bontà del piano cemento”; “forse l’assessore era convinto di essere a un congresso di geometri”; “dopo la dieta di volumi della giunta Soru il popolo del Pdl ha sete di cemento”. Ripeto: i pareri del cronista, più che legittimi in un commento, sono presentati come informazioni su cose reali.
Come si vede, è una ripetizione quasi pedissequa di quanto da tempo va ripetendo il Pd, con il non ininfluente dettaglio che un giornale di informazione è diverso da un organo di partito. Da questa confusione di ruoli e di strumenti nasce non solo la disinformazione ma la legittimazione dell'Anonima indignati. Per essa non conta la verità dei fatti, ma solo la loro virtualità mediatica, il fatto che qualcuno alimenti di mistificazioni la naturale propensione ad arruolarsi nell'armata del bene contro l'esercito del male, quel “popolo del Pdl che ha sete di cemento”.
Le improvvide e menzognere mozioni del Pd e dell'Idv, presentate alla Camera per sollecitare il governo ad impugnare la legge per l'edilizia davanti alla Corte costituzionale, sono state bocciate dal Parlamento, come è naturale che fosse. Altra legna sul sacro fuoco dell'indignazione politico-mediatica che, ancora una volta, fra verità delle cose e interesse di partito sceglierà questo. Il tutto nel mentre le giunte comunali di sinistra continuano a decidere di cementificare le coste. Ma si sa, il cemento di sinistra abbellisce il paesaggio.

mercoledì 28 ottobre 2009

La minoranza linguistica sarda ritrovata

La minoranza linguistica sarda è da ieri di nuovo riconosciuta nelle schede che il Ministero dell'interno invia periodicamente al segretario del Consiglio d'Europa. L'invio, come ho ricordato nella interrogazione al ministro Maroni pubblicata su questo blog, è un atto conseguente all'adozione da parte dell'Italia della “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”. Per ragioni ancora da chiarire, nel Terzo rapporto inviato quest'anno, la scheda riguardante la lingua sarda non era stata pubblicata fra quelle che concernono le altre minoranze: albanese, catalana, cimbra, croata, francofona, francoprovenzale, friulana, germanofona, ladina, mochena, occitana, slovena, walzer.
Sulla questione, oltre alla mia interrogazione, erano intervenuti su Comitadu pro sa limba sarda, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga e Sardigna natzione. Credo sia giusto segnalare la sensibilità che ha animato il ministro Roberto Maroni di fronte a queste segnalazioni che, comunque, hanno raggiunto l'obiettivo di restituire alla minoranza linguistica il rilievo comunitario che le spetta.
Permettetemi, da membro di su Comitadu, di segnalare un altra importante avvenimento. Per la prima volta nella storia dell'autonomia la Regione sarda ha considerato la lingua sarda come componente importante dell'economia. Lo ha fatto inserendola nel Piano regionale di sviluppo affermando che “l’attenzione alla cultura delle persone è rappresentata anche dalla volontà di mantenere e rafforzare la promozione dell’insegnamento della lingua sarda, da inserire nell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche. Obiettivo principale è quello di favorire l’insegnamento della lingua sarda, all’interno dell’orario curricolare laddove ciò sia possibile, in relazione alle singole autonomie scolastiche, per raggiungere in tal modo la piena crescita identitaria dei sardi con l’inserimento di materie specifi che come l’archeologia, la storia dell’arte e delle tradizioni popolari in Sardegna”.
Di fronte a questi due importanti riconoscimenti istituzionali della nostra lingua, devo rimarcare con inquitudine, che la stampa sarda ha del tutto ignorato sia le iniziative prese sia la felice conclusione di una vicenda che aveva oggettivamente emarginato la lingua sarda nella sua proiezione europea.

martedì 27 ottobre 2009

Quei terribili autonomisti del Pd sardo

Quei terribili autonomisti che allignano nel Pd sardo vogliono indurre il Parlamento italiano a impugnare davanti alla Consulta il piano di rilancio dell'edilizia approvato dal Consiglio regionale. Non ostante le bugie dette, le disinformazioni sparse dalla stampa amica, gli estremismi e gli integralismi usati, il Pd ha perso la battaglia in Consiglio regionale ed ora chiede aiuto al papà partito. In questa fanciullesca reazione, i democratici sardi hanno coinvolto dirigenti come Franceschini e Soro.
Hanno assegnato alla mia amica Caterina Pes, ai tempi della vecchia giunta regionale bandiera dell'autonomia sarda, il compito di illustrare alla Camera l'iniziativa. Mi pare sia una Caterina Pes diversa da quella che ho conosciuto difendere la nostra autonomia. Quella che conosco io non avrebbe mostrato così scarsa dimestichezza con la Costituzione da farle dire che le “norme nazionali sono prevalenti su quelle regionali”. Intendeva statali, forse, ma non stiamo a sottilizzare. Una lettura sia pure affrettata dello Statuto sardo e della Costituzione, le avrebbe suggerito due cose.
La prima è che in materia edilizia, la Sardegna ha competenza primaria e che una interferenza dello Stato, questa sì sarebbe materia di ricorso alla Consulta per violazione dell'articolo 3 dello Statuto e, dunque, della Costituzione. La seconda è che il nuovo Titolo V della Costituzione (approvato dal suo schieramento con appena 4 voti di maggioranza) stabilisce l'equiordinamento di Stato, Regioni, Province e Comuni e, così, impedisce che nelle materie di competenza qualcuno di questi elementi della Repubblica sia “prevalente” sugli altri.
Il quotidiano che dà notizia del tentativo del Pd di trovare a Roma una rivincita ad una battaglia persa in Sardegna scrive: “Attesa per la risposta del governo, anche se è difficile che il Pdl nazionale sconfessi quello sardo”. Già, chi sa perché? Che sia perché nel Pdl il rispetto delle autonomie non è una bandierina da sventolare a convenienza?

lunedì 26 ottobre 2009

La minoranza linguistica sarda sparita. Com'è successo?

La lingua sarda è sparita nelle schede delle minoranze linguistiche comprese nel “Terzo rapporto dell'Italia sull'attuazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” inviato dal Ministero dell'Interno al Consiglio d'Europa. In una interrogazione al ministro Maroni, chiedo come si sia determinata questa esclusione.
Era compito dei comuni che hanno ricevuto dallo Stato finanziamenti per le loro attività di promozione del sardo – ricordo nell'interrogazione che si può leggere più sotto - trasmettere alle Prefetture i dati raccolti.
Di qui la mia richiesta a Maroni per sapere quali siano i criteri in base ai quali sono state effettuate le attività di monitoraggio da parte delle Prefetture e l'elaborazione delle schede e la sollecitazione ad intervenire, nei modi e con i mezzi che riterrà più opportuni, al fine di ripristinare il giusto rilievo della minoranza linguistica sarda nel Rapporto al Consiglio d'Europa.

Questo il testo dell'interrogazione:

Premesso che:
il Consiglio d'Europa ha approvato il 1° febbraio 1995 la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali;
detta Convenzione, in vigore dal 1 febbraio 1998, è stata ratificata dall'Italia con la legge 28 agosto 1997, n. 302;
considerato che:
il 6 ottobre 2009 il Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione - ha pubblicato il “III rapporto dell'Italia sull'attuazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” Anno 2009;
nel documento si ricorda che nel nostro paese le minoranze linguistiche storiche sono tutelate dalla Costituzione della Repubblica;
la legge 15 dicembre 1999, n. 482, in particolare, e il relativo regolamento approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001 n. 345 (nonché dalla legge 23 febbraio 2001, n. 38) si ispira ai principi enunciati nella Convenzione quadro e riconosce alle minoranze linguistiche il diritto di usare la propria lingua nei rapporti sociali ed amministrativi;
il presupposto richiesto per il riconoscimento e la tutela di una minoranza è quello della delimitazione territoriale, in quanto il diritto all’uso della lingua nei confronti della pubblica Amministrazione, il diritto all’istruzione e l’accesso ai media riconosciuti dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482 possono esplicarsi in un ambito territoriale definito;
tra quelle delle minoranze storiche è compresa anche la lingua sarda;
considerato, inoltre, che:
la Convenzione quadro prevede che le parti contraenti trasmettano “al Segretario Generale del Consiglio d’ Europa informazioni complete sui provvedimenti legislativi e di altro tipo che avrà adottato per dare effetto ai princìpi enunciati nella presente Convenzione quadro”;
nel medesimo Rapporto viene riportata una sola scheda relativa alla Regione sarda - predisposta dal Ministero dell'interno sulla base dei dati forniti dalle Prefetture dai comuni - che riguarda la sola minoranza catalana del comune di Alghero;
per quanto consta all'interrogante nella Regione sarda è presente, oltre alla catalana, la minoranza linguistica sarda, entrame tutelate dalla L 482/99, in più delle minoranze gallurese, sassarese e tabarchina che godono della tutela della LR 26/97;
preso atto che:
la lettera c) dell'articolo 82 "Cultura e lingua sarda. Conferimenti agli enti locali" della legge regionale 12 giugno 2006, n. 9 stabilisce che sono attribuite alle Province, tra l'altro, la programmazione e la gestione delle risorse finanziarie relativi agli interventi previsti dagli articoli 13, 17 e 20 della legge regionale 15 ottobre 1997, n. 26 recante "Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna";
le Province, le cui competenze sono rafforzate per decisione del Consiglio Regionale della Sardegna, rappresentano un decisivo tramite fra i Prefetti e i Comuni la cui delimitazione territoriale le stesse province hanno deliberato;

l'interrogante chiede al Ministro in indirizzo di sapere:
quali siano i criteri in base ai quali siano state effettuate le attività di monitoraggio da parte delle Prefetture e l'elaborazione delle schede per il previsto Rapporto dell'Italia sull'attuazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali;
se intenda intervenire, nei modi e con i mezzi che riterrà più opportuni, al fine di ripristinare nel Rapporto al Consiglio d'Europa il giusto rilievo della presenza, fra le lingue di minoranza tutelate dalla legge, di quella sarda.

Sen. Piergiorgio Massidda

sabato 24 ottobre 2009

Caso Marrazzo: vogliamo finirla con i veleni?

Auguro di tutto cuore che il presidente del Lazio, Piero Marrazzo dimostri la infondatezza dei fatti finiti su tutti i giornali. Dimostri non che non ha costumi sessuali diversi da quelli considerati normali (cosa del tutto insignificante), ma che non ha accettato ricatti. È tutto quello che, personalmente, mi interessa, non partecipando al gioco del voyerismo che ha ammorbato l'aria di questi ultimi mesi. In altre parola, non parteciperò al gioco al massacro di un uomo che va giudicato per i suoi atti politici non per altro, anche se devo rammaricarmi dei giudizi pesanti espressi dal governatore nei confronti di Berlusconi, fondati su una improvvida condivisione di gossip mediatici. Non farò come lui, che ha chiesto le dimissioni del presidente del Consiglio.
Due sono gli aspetti che mi inquietano e mi fanno dire che la barbarie rischia di contaminare per sempre la vita politica italiana. Il primo è che i veleni mediatici hanno inquinato l'aria in tale misura che il giornale-partito, responsabile primo dell'ammorbamento, non si perita oggi di scrivere che “gli scandali sono lotte per il potere”. Il secondo è che, al solito, la sinistra continua ad avere un occhio che gioca al biliardo e l'altro che conta i punti, dimostrando uno strabismo sempre più preoccupante.
Personalmente non ho mai avuto dubbi che La Repubblica utilizzasse gli scandali per la sua particolare lotta per il potere, ma leggerlo espresso con tanta chiarezza dà un brivido, soprattutto se si considera che un media, in Occidente almeno, non dovrebbe parteciparvi con tanta esibita sfrontatezza. Non siamo più davanti a un giornale di opposizione, ma a un media che organizza la scalata al potere, sostituendosi ai partiti, ai quali, per altro, detta la linea politica.
Sul fronte delle reazioni al caso Marrazzo, le imbarazzate parole dei leader della sinistra denunciano, mi auguro, il definitivo abbandono di quella “diversità morale” che l'ha permeata da sempre. Molto meglio sarebbe se questa abdicazione fosse stata esplicita, ma contentiamoci di questo. Almeno, l'imbarazzo la distingue dalla impudicizia di Antonio Di Pietro il quale se ne è uscito dicendo che è l'ora di metter fine “al problema che sta sporcando la politica italiana di questi ultimi anni, cioè il sistema di dossieraggio, di veline, di criminalizzazione degli avversari politici”.
Veramente singolare che l'uomo corresponsabile dell'avvelenamento della politica e della criminalizzazione del nemico, si svegli nel momento in cui è un uomo della sua parte ad essere colpito dal boomerang lanciato contro Berlusconi. Sono, e voglio continuare ad essere, un garantista sempre e comunque, sia che il bersaglio sia Berlusconi sia che lo sia Marrazzo. E sono disposto, sia pure con qualche diffidenza, a pensare che Di Pietro sia sincero. D'accordo, allora: si metta in soffitta quella concezione di lotta per il potere chei ha in Di Pietro e nella sua compagnia di giustizialisti un convinto interprete.
Se a questo si arriverà, non ci sarà neppure bisogno di risalire ai responsabili avvelenatori dei pozzi della politica.

venerdì 23 ottobre 2009

Accordo per Portotorres: due no prevenuti e un no interessante

Nel fronte del no all'accordo per Porto Torres si sono schierati il sindaco di Sassari, il presidente di quella provincia e il segretario generale della Cgil di Sassari. Dei primi due non si sa che cosa vogliano, se non manifestare una pregiudiziale e prevenuta opposizione, senza se e senza ma, al presidente della Regione. Ed è quindi difficile, se non proprio impossibile, trovare di che ragionare. Decisamente più interessante è il no pronunciato, prima di dimettersi dalla carica, da Antonio Rudas, coerente con una sua posizione che ho già avuto modo di segnalare su questo blog.
“Avevo detto, e lo ribadisco” scrive nella sua lettera di dimissioni “che, senza investimenti reali nelle attività produttive, la chimica era da considerarsi morta, e avevo chiesto al territorio di elaborare in fretta il lutto e guardare avanti. La Cgil di Sassari voleva e vuole spostare la discussione su un nuovo modello di sviluppo, che pure non può e non deve fare a meno dell’industria”. Dobbiamo uscire, dice, “dal recinto di una economia produttiva monosettoriale per guardare con più attenzione alle enormi potenzialità che ci sono date, per esempio, dalle risorse ambientali.”
Discorso interessante, anche se non condivisibile per i riflessi che avrebbe sull'occupazione e sulla economia sarda un no tanto drastico. Se i sindacati e con loro la Regione e il governo avessero detto picche all'accordo con l'Eni, per Porto Torres si sarebbero aperti scenari davvero inquitanti. Ma, spogliato della contingenza, quanto afferma il sindacalista sassarese è degno di una seria riflessione. L'accordo salva il salvabile all'interno di una crisi della chimica che non finisce qui e che, esauriti gli effetti, si riproporrà inevitabilmente in un futuro neppure troppo lontano. Pensare di aver risolto per sempre o anche solo per un lungo periodo gli effetti di quella “ economia produttiva monosettoriale” di cui parla Rudas è da stolti.
Guai se di questo non ci si rende pienamente conto e se da subito non si mette mano a progettare un modello di sviluppo in cui la chimica come la conosciamo non abbia posto. Direi di più: classi dirigenti degne della Sardegna, da quella politica alla sindacale all'imprenditoriale e alla culturale, devono assumere consapevolezza che la vecchia e obsoleta struttura industriale dell'Isola non va più bene, non aiuta e non può aiutare la nostra prosperità. In questi giorni, nel Sulcis, alla parte opposta della Sardegna, si discute sul dove ospitare i fanghi rossi dell'Euroalluminia, residui fra i più deleteri per l'ambiente. Alcuni comuni hanno deciso di non ospitarli nel loro territorio. Tutto è in mano ad un altro comune quello di Portoscuso che, teoricamente, ha sulle spalle la responsabilità di consentire la sopravvivenza di quella fabbrica.
Secondo alcuni tecnici, l'Euroallumina ha davati a sé la possibilità di stoccare fanghi rossi per altri cinque anni. E dopo? Ripeto, classi dirigenti accorte dovrebbero da subito prevedere che cosa fare in questi cinque anni, come arrivare a quella scadenza evitando che allora si presenti una nuova emergenza e ci si trovi davanti alla necessità di scegliere fra posti di lavoro inquinanti e chiusura della fabbrica.

lunedì 19 ottobre 2009

Così i fondamentalisti trasformano Zapatero in uomo di destra

Tra una manifestazione folcloristica a base di calzini turchese, l'appoggio dato al sindacato dei magistrati e alla sua pretesa di sostituirsi al Parlamento nel fare le leggi, l'utilizzo della guerra interna per fare la faccia sempre più feroce, il Pd una cosa l'ha centrata. Ha smascherato la destra come luogo in cui si concentra l'ideologia mattonara, quella perversa idea secondo cui l'edilizia è una attività produttiva e non, come invece è, un'armata del male.
Intendiamosi, la destra smascherata dal Pd in Sardegna non è quella classica rappresentata dai partiti di centrodestra: è una destra che va da Zapatero ai consiglieri pd che bocciarono la legge urbanistica di Soru a, va da sé, al Pdl. A scoprire questo complotto internazionale della destra europea, che vede insieme il premier spagnolo e il presidente sardo Cappellacci (e complici i franchi tiratori del Pd che impallinarono la legge urbanistica), è stato Gian Valerio Sanna. Lo stesso secondo cui solo gli alberghi “di sinistra” (quelli progettati dalla giunta di Siniscola per Santa Lucia, tanto per capirci) sono buoni e “valorizzano il paesaggio”.
Ma che c'entra Zapatero, il destro premier spagnolo mascherato da socialista? Il suo governo – ha scoperto il Nostro – è stato redarguito dalla Commissione petizioni dell'Unione europea “che proprio qualche settimana fa ha censurato la Spagna per una legge molto simile a quella approvata in Sardegna”. Per la nota proprietà transitiva, se la legge della Sardegna è quella schifezza di destra che denuncia il Pd sardo, la legge spagnola “molto simile” non può non essere di destra. E così, l'interprete unico della funzione valorizzatrice del paesaggio del cemento quand'è di sinistra ha sistemato anche il leader del Partito Socialista Operaio Spagnolo.
I reprobi democratici, asserviti alla destra, che votarono contro la salvifica legge urbanistica Soru-Sanna sono già stati puniti secondo le ben note regole democratiche secondo cui "se non voti come dico io, scordati di essere ricandidato". Amici madrileni mi raccontano che il povero José Luis Rodrìguez è in ambasce, dopo aver saputo che Gian Valerio Sanna ha scoperto le sue trasse con Ugo Cappellacci. E già trema per l'inevitabile scomunica che gli arriverà dal Guardiano Unico e Infallibile delle Coste. Scherzo, va da sé, perché lo stato del Pd in Sardegna è grave, anche se per fortuna non serio.

sabato 17 ottobre 2009

Rilancio dell'edilizia: il club degli illuministi in rotta

L'opposizione ha combattuto senza risparmio di forze e di mistificazioni, scivolando spesso in allarmistiche bugie per spaventare la platea; è stata appoggiata da una campagna mediatica che, a che ricordi, non ha precedenti per collera ideologica; ha mobilitato i suoi intellettuali che, secondo tradizione, fra la verità e il partito hanno scelto il secondo; persino la Normale di Pisa, con il suo direttore Settis, è scesa in campo a fianco dell'ex presidente della Regione che, senza contradditorio, ha magnificato il suo Piano paesistico e si è goduto dell'apprezzamento di Settis: qualche imprenditore fa politica “per i suoi interessi personali, Soru la fa perseguendo il bene comune”. Le cronache non dicono se Soru abbia arrossito o almeno provato imbarazzo, ricordando che quel Piano, prima che dal Parlamento sardo, era stato bocciato da oltre mezzomilione di elettori, mattonari, va da sé.
L'opposizione ha combattuto, insomma, e ha perso una battaglia sbagliata e di facciata. Come se volesse difendere un giocattolo, il Piano paesistico, indispensabile non alla salvezza delle coste ma all'uso delle coste secondo i criteri stabiliti dal club di illuministi che aveva al suo vertice l'ex presidente e il suo assessore dell'Urbanistica. Entrambi si sentivano unti dalla Ragione e decisi a decidere dove si sarebbe potuto costruire e dove no. Chi ha la Ragione dalla sua parte sa qual è il bene del popolo, non ha bisogno di regole stringenti per tutti e pazienza se il popolo, lì per lì, non capisce.
Ho raccontato qualche giorno fa quale sia il concetto di regola che anima il vice presidente del club illuminista, Gian Valerio Sanna: se il cemento è deciso da una giunta di centrosinistra non solo è buono, ma valorizza il paesaggio. La legge approvata dal Consiglio mette fine all'arbitrio – e questo poco importa a chi, dall'opposizione, non lo può più esercitare – ma soprattutto consente un oculato uso dell'ambiente per la crescita economica. E questo, per chi ha poche idee è intollerabile. Le regole sono già di per sé rigorose, pur consentendo il rilancio dell'economia, ma per il loro rispetto la Regione ha previsto la costituzione di una Commissione di terzi.
Solo chi, sull'altare di un furore ideologico savonaroliano, aveva posto la guerra totale contro l'edilizia (quasi fosse una attività industriale di cui vergognarsi), può seriamente pensare di imbalsamare le coste e i monti, salvo le deroghe che, mettendo da parte temporaneamente il cilicio, potevano essere concesse agli amici e alle amministrazioni particolarmente fedeli. Per fortuna, finita la battaglia, i più responsabili, e meno fondamentalisti, all'interno dell'opposizione cominciano a rendersi conto di aver condotto una lotta solo perché “questo è il nostro ruolo di oppositori”.
Per adesso, le ammissioni sono fatte in colloqui non pubblici, fra amici che, pur in diverse militanze, si rispettano e, almeno testa a testa, riconoscono di non avere la Ragione dalla propria parte. Le ammissioni ci sono non tanto perché del rilancio dell'edilizia potranno godere anche essi, ma soprattutto perché c'è la consapevolezza che non si possono condannare i cittadini all'asfissia economica per stare dietro a pulsioni fondamentaliste.

venerdì 16 ottobre 2009

I media e la sciocca paura delle lingue di minoranza

Partita in sordina con un articolo di L'Espresso contro la lingua friulana, si sta sviluppando sulla grande stampa italiana una campagna contro le lingue delle minoranze linguistiche storiche tutelate dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato e delle regioni. Oltre a quello del settimanale della sinistra radical-chic, sono via via comparsi articoli su Il Corriere della Sera, Venerdì di Repubblica, La Repubblica, La Stampa, Radio tre e, incomprensibilmente, Libero, quotidiano che, per via della stessa testata, parrebbe più orientato alla difesa delle libertà fondamentali piuttosto che al loro contenimento.
Anche in Sardegna, sede della seconda lingua più parlata nello Stato, l'atteggiamento dei quotidiani è di diffidenza verso ciò che si muove in difesa del sardo e delle altre lingue parlate nell'isola, il gallurese, il sassarese, il catalano di Alghero, il tabarchino. Per dirne una: fra gli obiettivi dell'accordo Stato-Regione per la spesa di 20 milioni di euro c'è quello dell'insegnamento del e in sardo nelle scuole; ebbene è l'unico obiettivo a non esser stato citato. Né si è parlato della proposta, avanzata dal Comitadu pro sa limba sarda (a cui mi onoro di partecipare) di iscrivere nel Piano regionale di sviluppo le lingue della Sardegna quali possibile motore di crescita economica e sociale.
Da quanto scrive la stampa italiana che ho citato, emerge in maniera molto esplicita che la campagna nasce dalla volontà di contrastare la proposta della Lega nord di valorizzare i dialetti e quelle che, impropriamente, il partito di Bossi definisce “lingue regionali”. Nessuno, tanto meno io, contesta il diritto dei giornali di opporsi alla attuazione della democrazia linguistica come la prevede la Costituzione e la legge dello Stato. Il problema è che per fare ciò, tutti i media citati, senza eccezione, ricorrono a informazioni false e a teorie che si mettono sotto i piedi linguistica, sociolinguistica e in genere tutte le acquisizione scientifiche da Tagliavini a De Mauro, da Wagner a Contini, per non parlare dei linguisti sardi come Bolognesi, Virdis, Paulis, Pittau ed altri.
Poiché questi media si rendono conto come sia improponibile partire lancia in resta contro la Costituzione e la tutela offerta alle lingue delle minoranze, ecco l'escamotage: le uniche lingue della Repubblica, oltre all'italiano, sarebbero il tedesco del Sud Tirolo e l'albanese parlato in Calabria e in Campania. Tutte le altre, comprese il friulano, il ladino e il sardo, sono dialetti e in quanto tali non tutelati dalla Costituzione. C'è anche chi, per esempio su Libero, propone di toglierli dalla legge 482 che, infatti, offre tutela a 13 lingue fra cui il sardo, il ladino e il friulano.
C'è ovviamente del metodo in questa follia antiscientifica in cui, senza vergogna, si lasciano coinvolgere anche docenti universitari che, per la bisogna, abdicano alla loro scienza. Il timore che spinge loro e gli altri al pressapochismo e, spesso, alla mistificazione è che la difesa dei dialetti (e dunque del sardo, del friulano e del ladino) comporti lo sfascio della unità nazionale e la scomparsa dell'italiano come lingua di stato. Le conclusioni, in alcuni esplicite, di questa aberrazione è che le uniche lingue accettabili, oltre naturalmente l'italiano, sono quelle che hanno dietro di sé uno stato: l'Austria, la Francia, l'Albania. Al che rispondono i movimenti linguistici: vorrà dire che al Friuli e alla Sardegna non resta che costituirsi in stato.
Chi mi legge sa come per me l'unità della Repubblica sia un valore fondamentale e sa che il mio essere profondamente sardo non è affatto in contraddizione con il mio sentirmi cittadino italiano. Penso che l'unità della Repubblica non può e non deve aver timore delle diversità e, come giustamente prevede la Costituzione, ha anzi il dovere di tutelarle. Le sciocchezze che si sono lette e sentite sono un sintomo di debolezza, non di forza della Repubblica. E, come se non bastassero i conflitti politici in atto, a me sembra da irresponsabili aprirne altri sul fronte della democrazia linguistica che è fondamento della pacifica coesistenza delle diversità etniche in seno alla Repubblica.
È da irresponsabili fomentatori di conflitti pensare che un popolo come il sardo o il friulano possano rassegnarsi alla cancellazione delle proprie lingue.

giovedì 15 ottobre 2009

Di barbarie in barbarie, ecco l'istigazione a uccidere Berlusconi

Ma santo cielo, possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi?”. L'istigazione all'omicidio è comparsa per qualche giorno in Facebook sulla pagina di un dirigente periferico del Pd. Quel partito ne ha preso le distanze e ha accettato le dimissioni del giovane dirigente. I giornali di sinistra danno la notizia senza commenti, fingendo che bastino le perole di presa di distanza dette dal coordinatore modenese di Gioventu democratica.
E invece non bastano. Tanto più in basso, gerarchicamente parlando, è la fonte di tanto odio, tanto più un partito serio dovrebbe chiedersi da dove nasce quella frase. Come immaginare che la campagna di odio montata, soprattutto in questi mesi, contro il presidente del Consiglio non avesse questi risvolti? I tanti post circolanti in Internet, da quello che invita a “staccare la spina a Berlusconi” a questo più diretto del giovane “democratico”, danno conto del fatto che la sete di sangue nemico si è trasformata in pericolosa epidemia.
È passata quasi inosservata la notizia che il ministro per il Rapporti con il Parlamento Elio Vito ha consigliato a Berlusconi di limitare i suoi contatti spontanei e non protetti con i cittadini. Rispondendo alla Camera a un’interrogazione di Emanuele Fiano (Pd), Vito ha riconosciuto che: “Berlusconi, in ragione della sua esposizione mediatica, può essere oggetto di contestazioni... Non escludendosi a riguardo anche in gesti violenti di mitomani isolati, difficilmente individuabili”. Spero siano valutate in tutta la loro gravità le parole di un ministro della Repubblica: non si consiglia prudenza a un capo di governo, se non si sono colti segni preoccupanti che l'imbarbarimento del clima politico rischia di fare un salto di qualità.
I fischi contro Berlusconi di un gruppetto di sciagurati, durante i funerali a Messina delle vittime dell'alluvione, che cosa sono, se non il prevalere dell'odio anche in circostanze che normalmente spingono alla pietà umana? So benissimo che nessun dirigente del Pd è responsabile di questi atti e di queste istigazioni, ci mancherebbe. Ma si possono tirar fuori dalla responsabilità del clima di barbarie che hanno contribuito a creare per star dietro ad un eversore come Di Pietro e al quotidiano-partito che sempre più detta la linea politica?
Di Pietro, già. In contemporanea con l'istigazione a piazzare una pallottola in testa a Berlusconi, il leader dell'Italia dei valori ci mette di suo che di Berlusconi “bisogna liberarsene subito”. Come, visto che ha dalla sua la maggioranza degli elettori?

martedì 13 ottobre 2009

Se gli alberghi sono di sinistra

Se a voler cementificare una costa sono i compagni di partito, vuol dire che hanno ragione: i “loro” alberghi non sono, per definizione, assalto alle coste. In pillole, è questo il senso della giravolta di Gian Valerio Sanna, l'ex assessore dell'Urbanistica nel governo Soru. È una storiella che vale la pena di essere raccontata: sta a chi vuole trarne la morale.
Si dà il caso che la giunta di centrosinistra di Siniscola abbia deciso di far costruire quattro alberghi nella splendida e ancora incontaminata marina di Santa Lucia, un vecchio borgo di pescatori a pochi chilometri a sud della cittadina. Contro questa decisione è insorta una buona fetta della popolazione che ha promosso, da una pagina di Facebook, una petizione per salvare il borgo. Il titolo dell'appello è senza equivoci: “Salviamo Santa Lucia dal cemento”. Centinaia le firme già raccolte. Fra le tante anche quella di Gian Valerio Sanna, forse dimentico del fatto che ad amministrare Siniscola e a volere gli alberghi sono suoi compagni di partito.
Questi si inalberano e protestano, quando i contestatori fanno notare che dalla loro parte c'è anche il compagno Sanna. E l'ex assessore, forse accorgendosi che quello di Santa Lucia non è immondo cemento di destra ma splendido cemento di sinistra, tira il freno dell'indignazione e fa marcia indietro. Ha aderito alla petizione del comitato anti-hotel, dice, “per partecipare alla più generale discussione sulla progettazione urbanistica di Santa Lucia”. Come dire: il mio no al cemento non voleva essere un no al cemento, anzi. E aggiunge, nella sua dichiarazione di fedeltà al partito e alla Giunta: “La realizzazione degli hotel è compatibile con il Piano paesaggistico regionale”. Anzi: è un “evidente vantaggio paesaggistico”. Che diamine: mica sono alberghi di destra, questi.

domenica 11 ottobre 2009

Il lodo Alfano e gli irresponsabili fomentatori di guerra civile

Solo degli incoscienti e irresponsabili possono pensare di trarre qualche misero vantaggio elettorale dal pesante clima politico di questi giorni. Purtroppo ci sono e fanno danno alla democrazia. Sono personaggi alla Di Pietro, privi di qualsiasi credibilità e possibilità di governo, che vorrebbero lucrare ai loro alleati una manciata di voti e per questo invocano elezioni anticipate. Sanno che non esiste, come riconoscono nel Pd, una alternativa al centrodestra, ma a loro poco cale: l'importante è portar via al Pd uno 0,2 per cento e, magari, qualche parlamentare. Sulla stessa strada l'estrema sinistra che, oggi fuori dal Parlamento, può sperare in un colpo di fortuna nelle elezioni anticipate. Che squallore.
Non saprei davvero che cosa aggiungere allo sconcerto per una sentenza, quella della Corte costituzionale che smentisce in un solo colpo una precedente sua sentenza e l'autorità del Capo dello Stato che, firmando la legge ora bocciata, ne aveva certificato la non incostituzionalità. Rispettare la Consulta è anche mostrare profonda non condivisione. Poco importa, almeno a me, discutere se i toni della critica alla sentenza siano formalmente corretti: è successo qualche cosa che dimostra come il principio fondamentale della democrazia (gli elettori hanno la ragione dalla loro parte) abbia ricevuto un vulnus profondo.
Sanarlo è il compito della politica, d'accordo la maggioranza e quella parte dell'opposizione che, pur con durezza, ha riconosciuto il diritto dovere del governo di governare. Non so quanto tempo sia necessario, ma so che questo la politica dovrà con pazienza e decisione fare, per evitare che il clima di questi giorni trascenda. Magari verso gli sbocchi da guerra civile, più o meno strisciante, che gli irresponsabili vorrebbero preparare.

mercoledì 7 ottobre 2009

Amici indipendentisti, attenti ai guardiani del tempio

Capita abbastanza spesso che miei articoli su questa sorta di taccuino d'appunti che è un blog riceva l'attenzione, a volte colloquiale a volte astiosa, di amici di iRS. Trovo la cosa assai buona e sintomo della loro capacità di stare nella società della comunicazione, ciò che in Sardegna non è molto consueto. Quando ho deciso di aprire un mio blog, mi sono trovato davanti a due strade: quella di stabilire una moderazione degli interventi (pubblicare quelli graditi o non del tutto sgradevoli) o di lasciarlo aperto a tutti. Ho scelto quest'ultima modalità e non certo, come pure qualcuno nel forum di iRS sospetta, per aumentare gli ingressi. Detto fra noi, nessuno con un minimo di senso delle proporzioni, può pensare che un blog serva alla popolarità o alla acquisizione di consensi elettorali.
Bene, anche il mio ultimo articolo (“Impavidi sovranisti con il terrore dell'autonomia”) ha suscitato qui e, soprattutto, nel forum indipendentista una qualche reazione, al solito a volte critica ma pacata a volte insultante e sprezzante. È quest'ultimo tipo che mi preoccupa, non per paura della violenza ma, al contrario, per la debolezza che la sottende. La forza delle argomentazioni, anche non condivise né condivisibili, da vigore al dibattito. La debolezza no, denota una vocazione alla prepotenza, alla divisione dell'umanità fra fedeli e infedeli, liberi e schiavi, lealisti e traditori, etc etc.
Oggi no, ma nel passato è successo, durante la caccia agli albigesi, che si sia decretato lo sterminio di tutti coloro che stavano da quella parte, perché tanto “Dio saprà scegliere i suoi”. Modernamente e in democrazia allo sterminio e/o all'offerta di redenzione si è sostituita la ricerca del consenso attraverso il dibattito culturale e politico. Non esiste più – anche se qualcuno fa finta del contrario – chi ha ragione per investitura della storia, chi è antropologicamente migliore e chi antropologicamente è destinato a stare fra i peggiori dove sta il male assoluto, il servaggio, l'incultura. I primi sono il giusto, gli altri possono avvicinarsi al giusto previa redenzione.
In democrazia vince chi ha maggiori consensi fra gli elettori, che vanno rispettati quale che sia il loro voto: non sono illuminati se ti premiano e buzzurri venduti nel caso contrario. Ecco allora che anche agli amici di iRS si pone un problema non da poco: come far diventare maggioranza il quasi due per cento di attuali consensi. La via rivoluzionaria, violenta è esclusa per sua esplicita dichiarazione. Resta quella pacifica e democratica. Che prevede una lenta, costante e faticosa ricerca del consenso che non può darsi come obiettivo solo il 50,1 per cento necessario a richiedere – stiamo parlando di democrazia – il referendum di autodeterminazione.
Con il 50,1 per cento si può forse indire il referendum; dubito che basti, ma diciamo pure di sì. Indetto che sia, bisognerà poi far vincere una delle opzioni, quella indipendentista nel nostro caso; è cosa assai complessa, come dimostrano i referendum nel Québec. In realtà, è necessaria una condivisione popolare molto ma molto più ampia. Con numeri risicati si può vincere il referendum, ammettiamolo. Ma altre maggioranze risicate, qualche anno dopo la proclamazione dell'indipendenza possono a loro volta indire un referendum di autodeterminazione per ritornare ad una fusione più o meno perfetta, a forme di federalismo più o meno unitario, a forme di confederazione.
Insomma il miraggio del 50,1% come risolutore è appunto un miraggio. E non ostante ciò non solo è lontano dal 2% attuale, ma irraggiungibile per via di atteggiamenti settari, elitari e puristi di alcune persone che, per dirne una, fanno vedere con sospetto l'indipendentismo del Psd'az sempre messo fra virgolette come si conviene a qualcosa che non è reale, con diffidenza l'indipendentismo di Sardigna natzione, con disprezzo l'autonomismo di persone come me, ad esempio, che si battono per un deciso autogoverno della Sardegna attraverso uno Statuto molto avanzato.
Non ho – l'ho scritto diverse volte – alcun atteggiamento preconcetto contro l'indipendentismo, lo ritengo anzi un possibile esito di una forte autonomia in un'Europa davvero unita ed Europa dei popoli e degli stati. Temo, lo dico con sincera preoccupazione, quelli che, pochi in verità, invece di convincermi mi insultano. Chi continua a ritenere che la strada non è mai comune, ma solo un viottolo che deve condurre i reprobi, i servi, i venduti e i traditori alla loro redenzione nel sacro tempio dove alcuni guardiani li assolvono. Io credo sinceramente che gli amici di iRS debbano convincere i settari e i dogmatici che questi loro atteggiamenti allontanano quanti seguono con rispetto il loro percorso. E invece di portarli al dialogo mettono loro paura che una società futura sia dominata dal dogma anziché dalla libera discussione.

martedì 6 ottobre 2009

Impavidi sovranisti con terrore dell'autonomia

L'ex assessore dell'Urbanistica Gian Valerio Sanna ha deciso di impugnare davanti a non meglio precisati giudici la legge non ancora approvata per il rilancio dell'edilizia. Niente da dire: la battaglia politica si serve anche di questi mezzi. La cosa singolare è che abbia annunciato la sua decisione nel corso di un convengo del movimento Sardegna democratica di Renato Soru dall'impegnativo titolo: “Autogoverno e sovranità”, durante il quale molto si è parlato anche di indipendenza della Sardegna. Ospiti di riguardo e cooprotagonisti dell'incontro erano infatti gli indipendentisti di iRs, con il loro leader Gavino Sale in testa.
Ancora più singolare è che, secondo le cronache, “l’iniziativa è stata ampiamente condivisa ed è stata da molti manifestata la disponibilità a sottoscrivere i ricorsi”. Che fra i molti, decisi ad anteporre una legge dello Stato (quella che porta il nome del ministro Urbani) ad una legge sarda, ci siano stati anche gli indipendentisti non è dato sapere. Di certo c'era il fior fiore dell'autonomismo di sinistra, quello che parla di sovranità della Nazione sarda e che per i suoi giochi politici la rinnega anche nelle competenze eclusive affidateci persino dal debole Statuto vigente. “La Regione” dice l'articolo 3 “ha potestà legislativa nelle seguenti materie:
….
f) edilizia ed urbanistica
.”
Incapace di contrastare con le sue forze un provvedimento che sta per essere adottato dal Parlamento dei sardi, insomma, questa sinistra che parla di autogoverno, sovranità e persino di indipendenza, fa come i bambini che non sapendo cavarsela da soli, chiedono aiuto alla mamma, pronti a restituirle le chiavi di casa. Se l'autonomia le è così grave e insopportabile, che ne sarebbe dell'autogoverno e dell'indipendenza che, come un drappo rosso, ha agitato sabato ad Ollolai davanti agli indipendentisti di iRS? Era chiaro che quel convegno dal titolo impegnativo era una semplice manifestazione elettorale (le provinciali e le comunali sono vicine) per introdurre nel salotto buono della sinistra colta gli indipendentisti. Ai quali offrire alleanza elettorale.
Sarebbe interessante capire dagli amici di iRS, presenti all'incontro di Ollolai, se questa lucciola li ha attratti. Oso sperare, tuttavia, che non siano tra i molti sostenitori dell'idea di Gian Valerio Sanna. Per quanto mi riguarda, pur non consividendo le loro scelte di fondo, li ho sempre rispettati per il loro rigore che, immagino, valga più di un posto in consiglio comunale.

sabato 3 ottobre 2009

La Olbia-Sassari e quella curiosa sinistra sarda

Che sinistra curiosa ci è toccata in sorte in Sardegna. Per mesi strilla allo scippo della Sassari-Olbia che sarebbe stato operato da Berlusconi; cavalca, a volte con cinismo, la giusta protesta dei cittadini che contano mese dopo mese le croci piantate in quel percorso pericoloso; sollecita il governo ad aprire i cantieri e quando è vinta la battaglia che l'ha vista cooprotagonista, che fa? Invece di rivendicare la sua parte nel risultato ottenuto a Roma nell'accordo fra il governo sardo e quello italiano, minimizza.
Lo stesso fa il quotidiano ad essa più vicino. In un titoletto sperduto nella prima pagina scrive: “Nuova intesa Stato-Regione. Il Pd: Dove sono i soldi?”. Della Sassari-Olbia nessuna parola, in compenso spazio ad una delle domande più lunari che si può. Eppure anche questo quotidiano è stato in prima linea nel denunciare “lo scippo” e nel chiedere che la strada si facesse. Oggi che i soldi ci sono, che forse per costruirla si lavorerà giorno e notte, ecco il silenzio. O, come se ne esce il Pd, una domanda in cui il legittimo scetticismo di chi fa opposizione si trasforma in lana caprina. Dove sono i soldi? Basta leggere il testo dell'accordo e lo si sa, pronti, la sinistra e tutti noi, a ricordare al governo l'impegno preso e a pretenderne il rispetto.
Il problema è, tuttavia, un altro, temo. La sinistra, quella politica e quella mediatica, si era talmente convinta di quanto agitava propagandisticamente da mesi, non solo da ignorare le assicurazioni che dal governo venivano ma da credere fermamente che propaganda e realtà coincidessero. È rimasta del tutto sbalestrata all'annuncio che la Sassari-Olbia, come era stato da tempo detto, si farà. E allora minimizza, tenta di annegare questo e il resto dell'accordo Regione-Stato nel dubbio. Una sconfitta, in ogni caso, del tanto peggio tanto meglio che aveva alimentato la propaganda.
Tempo qualche settimana, il tempo di riprendersi dallo schoc e stiamo sicuri che la costruzione della Sassari-Olbia diventerà merito della mobilitazione popolare che la sinistra ha saputo suscitare e, soprattutto, guidare.

giovedì 1 ottobre 2009

Ottana inquinava. Ma va?

Scoprire all'improvviso, quando ormai la petrolchimica è chiusa da anni, che a Ottana Enichem e Montefibre hanno inquinato è una curiosa maniera di preoccuparsi dell'ambiente. E mi fa tornare in mente un detto sardo: “In s'arbore ruta cada unu bi faghet frasca”, di un albero caduto ognuno fa fascine. È da più di trent'anni che ad Ottana, i pochi coraggiosi denunciano e provano gli effetti dell'inquinamento prodotto da quella grande fabbrica: pesci morti nel Tirso a valle degli scarichi, polveri biancastre che distruggono gli alberi intorno, stoccaggio di bidoni dall'incerto contenuto, un insopportabile puzzo che in piena estate costringeva gli ottanesi a dormire con le finestre chiuse, e così via inquinando. In più, sospetti, mai fugati, di tumori che in quantità abnorme avrebbero colpito gli abitanti della zona.
I coraggiosi ottanesi, che per anni hanno denunciato gli inquinamenti e le cortine di silenzio che li circondavano, si sono sentiti definire volta a volta antindustrialisti, arcaici cultori di un passato agropastorale, reazionari e anche persone con atteggiamenti anti sindacali. Anti sindacali forse perché, a volte, le difese di Enichem e Montefibre non sono venute dalla direzione della fabbrica, ma da rappresentanti dei sindacati interni che giuravano sulla correttezza ambientalista dell'azienda. Un atteggiamento, questo della difesa ad oltranza della fabbrica, assunto spesso anche dalla Provincia di Nuoro che, forse solo per incompetenza, faceva certificare la salubrità dell'ambiente da centraline approssimativamente tarate.
Si può capire il perché di questo modo di agire: paura di perdere il posto di lavoro se si fosse imposto alla petrolchimica un costoso rispetto ambientale, prima di tutto. L'importante è, però, avere la consapevolezza dei gravi errori commessi nel passato e della necessità di individuarne i responsabili per evitare di cadere nella tentazione di scaricare le colpe su altri.
Quale che sia il risultato delle ricerche che Arpas, Provincia e Montefibre faranno a Ottana, non v'è dubbio che l'area andrà bonificata. Così come dovranno essere bonificate tutte le aree interessate in Sardegna a una pessima politica industriale, da Furtei a Portotorres a Portoscuso. Potrebbe essere l'inizio di un nuovo modello di sviluppo economico della Sardegna.