Ho dovuto rileggere più volte, stamattina, l'intervista di un componente del CSM per assicurarmi che il mio stupore non nascesse da fraintendimenti o da una lettura affrettata. E invece purtroppo no: la conclusione di Fiorella Pilato, presidente della prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, è che leggi della Repubblica devono essere cambiate per non intaccare privilegi di casta. Mi rimane ancora un dubbio e una speranza, che abbia frainteso l'intervista del magistrato con un quotidiano sardo.
Tutto parte dalla situazione della giustizia in una sessantina di cosiddette sedi disagiate, fra le quali quella di Nuoro, dove mancano da tempo quattro dei pubblici ministeri in organico e dove gli avvocati sono in agitazione per la paralisi in atto. Secondo l'esponente del CSM, che conosco e stimo tanto da restare incredulo, per risolvere la questione bisognerebbe derogare alla legge consentire che in Sardegna a “un giudice penale di una delle due sezioni” sia consentito di svolgere il ruolo di Pm nell'altra. Per carità, niente di male se questa deroga fosse l'unica possibilità per rimediare, almeno temporaneamente, al disastro incombente.
Ma non è l'unica possibilità: ce n'è un'altra più razionale e rispettosa di una legge approvata dal Parlamento, entrata in vigore, non eccepita dalla Corte costituzionale e, non ostante ciò, ancora contrastata da magistrati che non si rassegnano. È la possibilità e opportunità che il Csm provveda a trasferire nelle sedi disagiate magistrati che operano in sedi più agiate o che sono in sovrannumero altrove. Chi sceglie di farlo ha benefici economici e altri benefici, ma nessuno vuol venirci. Alla domanda sul perché, Fiorella Pilato risponde, credo testualmente: “Perché c'è il mare di mezzo e i soldi in più consentono giusto di non rimetterci di tasca”.
Un magistrato, insomma, come un carpentiere che, lui sì giustamente, rifiuta di trasferirsi lontano da casa perché il salario in più gli consente “giusto di non rimetterci di tasca”. Curioso, ho sempre avuto del delicatissimo lavoro di un magistrato l'idea che il suo si assomigliasse più a una missione che ad un impiego. “Accadrebbe” continua la dottoressa Pilato “che a rimetterci sarebbero solo gli utenti, che avrebbero a che fare con un ottimo professionista, ma poco motivato e costretto a svolgere un'attività per la quale non ha alcuna preparazione specifica. Ecco una delle ragioni per cui a risolvere le carenze di organico della Procura di Nuoro e di tutte quelle che si trovano nella stessa situazione, non può essere il trasferimento d'ufficio dei magistrati”.
C'è un'altra ricetta, nelle sue parole: quella dell'accorpamento delle Procure e della conseguente abolizione di alcune di esse. Una “razionalizzazione” che non si riesce a fare “per la resistenza delle comunità locali”. Sbaglio o questo apparente buon senso nasconde una volontà corporativa? La stessa che sembra muovere il sindacato dei magistrati nella sua levata di scudi contro la riforma della giustizia? Sarei rassicurato e davvero grato a chi dimostrasse che questi dubbi e queste domande sono infondati
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