venerdì 30 ottobre 2009

I magistrati applichino le leggi: a farle ci pensa il parlamento

Non avrei da ridire nei confronti del sindacato dei magistrati che manifesta contro le severe parole del presidente del Consiglio nei confronti di alcuni pubblici ministeri di Milano. La libertà di manifestare le idee è un valore in sé e riguarda tutti i cittadini, magistrati compresi. La condanna di Berlusconi dei “pm comunisti di Milano” non era, né poteva essere, condanna dei magistrati nel loro insieme, ma di quelli che mostrano un'accesa politicizzazione nel loro operato. Ma capisco, pur senza condividerlo, un moto di solidarietà corporativa.
Quel che leggo nelle cronache della manifestazione di ieri a Cagliari è, però, assai preoccupante sia per l'oggetto vero della contestazione delle toghe (le leggi che il Parlamento si appresta a discutere e ad approvare) sia per gli alleati che i magistrati sardi si sono trovati accanto, la Cgil e l'Italia dei valori. Spero solo che non siano stati ricercati e che se li siano trovati casualmente accanto. In una democrazia parlamentare, i magistrati applicano le leggi, non sono chiamati a deciderle e a farle. Questo è un compito del Parlamento. E allora, quando leggo che nel mazzo della protesta e dello sciopero c'è la contestazione alla riforma della giustizia, provo una profonda inquietudine.
C'è, magari non espresso, un disprezzo del Parlamento nella denuncia che si è sentita pronunciare, secondo cui la riforma della giustizia è studiata per “punire la magistratura”. Se si ha questo concetto del potere legislativo, quello preposto a fare le leggi che la magistratura poi deve applicare, temo che la “repubblica dei giudici” smetta di essere una iperbole mediatica e diventi un progetto. Quanto consono ad una moderna democrazia lascio a voi immaginare.
Ieri a Cagliari, sono state dette cose sacrosante riguardo allo stato della giustizia in Sardegna e, soprattutto, in province come quella di Nuoro dove regna la paralisi quasi assoluta. Da quelle parti si dice: “Mezus manchet su pane ma non sa zustìtzia”, meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia. Mancano l'uno e l'altro, ma solo la malafede può addebitarne la responsabilità a questo governo, sapendo che la crisi industriale è frutto di scelte sbagliate fatte nel passato e che la crisi della giustizia è endemica e provocata anche dalla difficoltà di trovare magistrati disposti ad insediarsi in una sede "disagiata".
C'è, insomma, un concorso di cause che andrebbero affrontate e risolte con serie riforme economiche, sociali e culturali, compresa quella della giustizia che, dicono gli avvocati delle Camere penali, è contrastata dallo spirito di casta che ha contagiato il sindacato dei magistrati. Nella mia attività di parlamentare, la questione della amministrazione della giustizia nella mia Terra è sempre ai primi posti e continuerà ad esserlo. Si può ben immaginare, quindi, come le sollecitazioni venute dai magistrati dell'Isola in questo ambito mi trovino d'accordo.
Ignoro se anche altrove, ma in Sardegna il sindacato delle toghe ha trovato non so quanto graditi alleati nel segretario della Cgil, Enzo Costa, e nell'esponente dell'Italia dei valori, Federico Palomba. Dal primo è venuta questa sorta di analisi: “E’ evidente che esiste un disegno preordinato per avviare un processo di destabilizzazione della società, partendo dai valori”. Dal mio amico Palomba queste espressioni: “Questo Governo ha interesse a mantenere lo sfascio della giustizia per poterlo addossare sui magistrati e trovare pretesti per poterne comprimere l’autonomia e l’indipendenza”. Mi auguro abbia provato un po' di imbarazzato rossore nel pronuciare simili frasi, forse sapendo che, spesso, una visibilità sui giornali è legata al tono con cui si dicono.
Commentare queste sciocchezze non ha alcun interesse. Certa è una cosa: se i magistrati sardi non sono politicizzati, dovrebbero con sdegno respingere questi tentativi di politicizzazione, il cui tasso di cultura politica lascia molto a desiderare.

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