Nel fronte del no all'accordo per Porto Torres si sono schierati il sindaco di Sassari, il presidente di quella provincia e il segretario generale della Cgil di Sassari. Dei primi due non si sa che cosa vogliano, se non manifestare una pregiudiziale e prevenuta opposizione, senza se e senza ma, al presidente della Regione. Ed è quindi difficile, se non proprio impossibile, trovare di che ragionare. Decisamente più interessante è il no pronunciato, prima di dimettersi dalla carica, da Antonio Rudas, coerente con una sua posizione che ho già avuto modo di segnalare su questo blog.
“Avevo detto, e lo ribadisco” scrive nella sua lettera di dimissioni “che, senza investimenti reali nelle attività produttive, la chimica era da considerarsi morta, e avevo chiesto al territorio di elaborare in fretta il lutto e guardare avanti. La Cgil di Sassari voleva e vuole spostare la discussione su un nuovo modello di sviluppo, che pure non può e non deve fare a meno dell’industria”. Dobbiamo uscire, dice, “dal recinto di una economia produttiva monosettoriale per guardare con più attenzione alle enormi potenzialità che ci sono date, per esempio, dalle risorse ambientali.”
Discorso interessante, anche se non condivisibile per i riflessi che avrebbe sull'occupazione e sulla economia sarda un no tanto drastico. Se i sindacati e con loro la Regione e il governo avessero detto picche all'accordo con l'Eni, per Porto Torres si sarebbero aperti scenari davvero inquitanti. Ma, spogliato della contingenza, quanto afferma il sindacalista sassarese è degno di una seria riflessione. L'accordo salva il salvabile all'interno di una crisi della chimica che non finisce qui e che, esauriti gli effetti, si riproporrà inevitabilmente in un futuro neppure troppo lontano. Pensare di aver risolto per sempre o anche solo per un lungo periodo gli effetti di quella “ economia produttiva monosettoriale” di cui parla Rudas è da stolti.
Guai se di questo non ci si rende pienamente conto e se da subito non si mette mano a progettare un modello di sviluppo in cui la chimica come la conosciamo non abbia posto. Direi di più: classi dirigenti degne della Sardegna, da quella politica alla sindacale all'imprenditoriale e alla culturale, devono assumere consapevolezza che la vecchia e obsoleta struttura industriale dell'Isola non va più bene, non aiuta e non può aiutare la nostra prosperità. In questi giorni, nel Sulcis, alla parte opposta della Sardegna, si discute sul dove ospitare i fanghi rossi dell'Euroalluminia, residui fra i più deleteri per l'ambiente. Alcuni comuni hanno deciso di non ospitarli nel loro territorio. Tutto è in mano ad un altro comune quello di Portoscuso che, teoricamente, ha sulle spalle la responsabilità di consentire la sopravvivenza di quella fabbrica.
Secondo alcuni tecnici, l'Euroallumina ha davati a sé la possibilità di stoccare fanghi rossi per altri cinque anni. E dopo? Ripeto, classi dirigenti accorte dovrebbero da subito prevedere che cosa fare in questi cinque anni, come arrivare a quella scadenza evitando che allora si presenti una nuova emergenza e ci si trovi davanti alla necessità di scegliere fra posti di lavoro inquinanti e chiusura della fabbrica.
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