Il segretario della Cgil di Sassari, Antonio Rudas, parlando al direttivo provinciale della sua organizzazione, ha sollecitato a “guardare in faccia la realtà e volgere lo sguardo oltre la sterile discussione sulla chimica sì-chimica no”. Bisogna “lavorare per correggere l’attuale modello di sviluppo che ormai ha fatto il suo tempo, superando comodità e rendite di posizione”. Questa notizia è stata pubblicata qualche giorno fa e mi sollecita una qualche riflessione per tre ragioni: la prima è che la fonte da cui provengono queste parole è autorevole; la seconda è che si tratta di un discorso deideologgizzato sulla chimica come ultima spiaggia per l'economia della Sardegna; la terza è che su questi temi sto anch'io da tempo ragionando.
Naturalmente, nessuno con un briciolo buon senso può pensare che tutto possa essere abbandonato e men che meno che sia lontanamente concepibile abbandonare migliaia di persone al loro destino di senza lavoro. Anzi è su questo aspetto che la politica, le forze sociali, la cultura devono urgentemente ragionare per trovare soluzioni immediate. Per conto mio e per quanto riguarda il mio ruolo di parlamentare sardo, sono non solo disponibile – cosa scontata – a partecipare attivamente alla ricerca di soluzioni, ma deciso a trasformare in proposta ciò che si ritenga fattibile.
Ma Rudas pone anche un'altra questione: come correggere l'attuale modello di sviluppo obsoleto? Se ritorno indietro agli anni in cui proprio il modello di sviluppo oggi in crisi si andava affermando, non posso non ricordare la funzione che l'intellettualità sarda (o meglio la parte predominante di essa) ebbe nello sposarlo. A volte con una carica ideologica operaista impressionante, altre volte per trasformare l'industria da settore produttivo in fucina in cui la classe operaia sperimentava la conquista del potere (anche ad una cuoca insegneremo a dirigere lo Stato, Majakovskj), a volte anche come strumento per abbattere il supposto “arcaismo” della cultura sarda.
Tutte cose dimenticate, anche da parte di chi così pensava. spero. Ecco: il problema posto da Rudas ha bisogno anche, e direi soprattutto, degli intellettuali sardi. Su questo blog, ho lanciato l'idea di lavorare ad un nuovo modello di civiltà per la Sardegna. Un modello in cui lo sviluppo e la crescita economica abbiano certo posto di rilievo, ma non tutto il rilievo. Un nuovo modello di civiltà presuppone un concetto diverso, quello della prosperità della Sardegna che contiene sia il Pil sia la qualità della vita che il Pil non riesce ad esaurire.
2 commenti:
Caro senatore,
quest'articolo e il suo appello all'intellettualità sarda perché metta mano a un Nuovo modello di civiltà per la Sardegna, mi ha fatto tornare indietro di quasi vent'anni, quando un gruppo di intellettuali di matrice sardista approvò il “Manifesto di Desulo”, in cui si parlava proprio di un Nuovo modello di civiltà. Ne riporto la parte centrale:
“Alla disoccupazione di massa, alla fragilità e impotenza del sistema economico, alla impreparazione ed evanescenza della classe politica sarda, alla vacuità ed evasività delle culture dominanti, cominciano a sovrapporsi le moderne carestie: la carestia dell'aria pulita, dell'acqua potabile, dei cibi non nocivi, degli spazi territoriali fruibili.
La Sardegna, pur non avendo goduto, se non in piccola parte, dei benefici dell'occidentalizzazione, si trova a dover subire pienamente le conseguenze del degrado ambientale e dei mutamenti climatici provocati dai paesi maggiormente industrializzati, Usa in testa. In questo contesto, la difesa e la rigenerazione dell'ambiente isolano in tutti i suoi aspetti si propone come impegno urgente e prioritario, fulcro del nuovo modello di civiltà, a cui tutti gli altri impegni debbono essere subordinati e finalizzati.
Politica, economia, cultura, organizzazione sociale devono avere come oggetto e preoccupazione principale la difesa, la ricostruzione, la valorizzazione e l'abbellimento della terra sarda, pena l'arretramento generale e la disumanizzazione... È ancora possibile che la Sardegna --come isola di Utopia-- diventi un paese in cui si producono aria respirabile, acqua buona, cibi sani, spazi residenziali non congestionati e socialmente non pericolosi, marine e boschi salubri, città e montagne parimenti vivibili al miglior livello umano.”
Ricordo benissimo i due giorni di quel settembre 1990, perché ero fra quegli intellettuali del tutto disorganici e, come dire?, poco innamorati del modello industrialista che già perdeva i primi colpi ma non il contenuto di forza inquinante. Niente a che vedere ancora con i disastri ambientali di Furtei, Portoscuso, Porto Torres e via elencando, ma già si sentiva che l'avventura dell'industrializzazione forzata (e perché no?, molto ideologizzante) avrebbe in breve creato più danni di quanti benefici comportasse.
Ancora con molto furore ideologico e scarsa capacità di pensare al futuro, la difesa dell'ambiente è stata recentemente spostata tutta sulle difesa delle coste (che è sacrosanta e guai a metterla in discussione) e intanto l'ambiente umano, quello dei piccoli paesi, dei monti, dei campi e dei pascoli è messo nel dimenticatoio, come se salvando solo le coste si possa salvare la Sardegna.
Probabilmente non si ritroverà nel linguaggio usato dal Manifesto di Desulo, non lo so, ma le segnalo l'opportunità che al nuovo modello di civiltà di cui parla si arrivi attraverso una franca discussione sulla priorità della difesa e la rigenerazione dell'ambiente, la ricchezza più forte e meglio spendibile sul mercato che la Sardegna ha. Quando oggi si parla di ambiente, è chiaro, si parla di ambiente antropizzato, a disposizione dell'uomo e della sua intelligenza nel considerarlo bene non consumabile ma utilizzabile per creare prosperità.
Mi pare caro senatore che si sia felicitato troppo presto per il coraggio con cui un sindacalista della Cgil ha voluto prendere atto della fine della chimica e lanciato un appello a pensare a un modello di sviluppo diverso. Un suo collega - a quel che leggo oggi - si è addirittura dimesso in polemica con il suo collega.
"Non si confondano i desideri dei singoli con la linea della Cgil che indica da tempo il declino industriale con un male assoluto per il Paese" ha detto Delogu nel dimettersi. "La Filcem-Cgil, pur prendendo atto del fatto che il percorso non ha sortito finora gli effetti sperati, sostiene che la parola fine non è scritta. Perciò non è disponibile a elaborare lutti perchè non ci sono morti, ma malati gravi da curare".
Che ne pensa?
PS - Sono affascinato da quel che scriveva il "Manifesto di Desulo" venti anni fa. Ma mi pare davvero che si tratti di "un'isola di Utopia".
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