Saper perdere è una delle arti più difficili e non solo in politica. Ancor prima di conoscere il dato dei votanti per il referendum, il promotore professor Guzzetta ha addebitato il mancato raggiungimento del quorum al ministro Maroni. Suppone, Giovanni Guzzetta che Maroni abbia intimidito gli elettori e probabilmente neppure si rende conto di quanto greve e offensivo sia questo giudizio nei confronti dei cittadini, scambiati per un gregge che un pastore dirige da una parte all’altra.
Ci sarà tempo per ragionare sull’ennesimo flop di un referendum, grande strumento di democrazia ridotto a poca cosa da smanie di protagonismo e, soprattutto, dalla convinzione che il popolo non può non appoggiare le idee di un club di illuministi che, per loro stessa natura, sono nel giusto. Mi interessa, ora, cominciare una riflessione su un altro clamoroso flop: quello della classe dirigente del Pd, l’unico partito che ha appoggiato con forza il sì ai tre quesiti referendari.
Avevo già notato su questo blog come l’invito al “sì” del maggiore partito di opposizione non fosse una legittima scelta tesa ad abrogare alcuni articoli delle legge elettorale. Uno schierarsi a favore di un sistema bipartitico e ad un pur abnorme premio di maggioranza che, anche solo con il consenso del 30 per cento degli elettori, avrebbe assicurato governi stabili e maggioranze inaffondabili. L’avrei ritenuta una scelta capace di innescare processi antidemocratici e però legittima, se coerente.
Ma non è stata questa l’idea del Pd. I dirigenti di questo partito hanno invitato gli elettori a votare sì per rendere possibile una crisi di governo, come l’avrebbe minacciata la Lega in caso di vittoria referendaria. Della scelta in sé, al Pd non importava alcunché, anzi paventava la vittoria del sì come una minaccia alla democrazia, tanto pericolosa da aver già preparato proposte di legge tese a vanificare il voto referendario. Un machiavellismo, un “fiorentinismo” lo definirebbero i politici francesi, davvero poco degno di una classe dirigente appena appena seria e responsabile, comunque diversa da questa che, da avversario sempre rispettoso, non riesco a riconoscere come erede della grande tradizione della sinistra italiana.
Neppure nelle cosiddette roccaforti rosse, forse più sensibili alla seduzione di una spallata al governo Berlusconi, pare che le cose siano andate tanto bene. Un’altra terribile sconfitta si sta delineando per il Pd in questo uso improprio di un referendum. C’è solo da sperare che la battosta serva ai dirigenti più responsabili per dare al Partito democratico una seria svolta nella direzione di una matura consapevolezza del ruolo dell’opposizione in una società civile.
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