martedì 25 maggio 2010

Libertà di nome e libertà di fatto

Il mio partito si chiama Popolo della Libertà. Lo è anche dell'on Cicu e del neo iscritto “forte, concreto, giovane” mio avversario suo beneficiato. Libertà è parola grossa con contenuti che andrebbero conosciuti e praticati. Per esempio assicurando a tutti il diritto di esprimersi pubblicamente, ad ogni costo, e dissociandosi dal pensiero unico, che la sinistra radical-chic vorrebbe imporre su tutti. Sembre invece, a leggere comunicati e prese di posizione, che il giovane candidato e il suo sponsor, o gioiscano dell'indegna gazzarra sollevata contro il nostro più leale alleato di governo, o non se ne dissocino.
Peggio, non prendono le distanze da quei sostenitori del giovane candidato che hanno partecipato attivamente alla chiassata. Lo dico con cognizione di causa e con prove documentarie in mano, non per sentito dire. Libertà, dunque. La voglio per tutti, anche per i giovani che incautamente hanno manifestato contro gli interessi della Sardegna che pensavano di difendere. In questi “tutti” ci sono, naturalmente, i leghisti che non solo sono nostri alleati nel governo dello Stato, ma hanno il merito di aver sottratto il federalismo al destino di una bella e impraticabile utopia.
Io non sono leghista, lascio agli amici leghisti la responsabilità di quanto dicono e fanno, ma sono lieto di averli al mio fianco per dire che noi sardi siamo padroni in casa nostra.
Chi parla di “sbarco della Lega” in Sardegna fa solo del becero localismo da quattro soldi e finge di rimuovere il fatto che, salvo i partiti e i movimenti di origine sarda, tutti i nostri partiti, di destra, di centro, di sinistra sono “sbarcati” sull'Isola. Il problema non è e non è mai stata la provenienza, ma la qualità dell'azione a favore della nostra Terra, perché, comunque, sono fatti da sardi. Sardi liberi e sardi timorosi del loro diritto alla piena autonomia. Io, gli amici delle mie liste, abbiamo dimostrato di appartenere alla prima categoria; gli altri lo devono dimostrare.
Ho ricevuto solidarietà dalle parti più impensate, dirigenti e comuni cittadini, non da Cicu e dal suo candidato. Se questa è l'immagine che intendono dare del Popolo della Libertà facciano pure. Io ho comunque un'altra idea della libertà e della tolleranza che ho espresso durante il comizio ai manifestanti: non condivido nulla delle vostre idee e dei modi con cui le professate, ma darei la vita perché le possiate esprimere.

lunedì 24 maggio 2010

La gazzarra dei masochisti

La gazzarra di ieri, durante la manifestazione a sostegno della mia candidatura, è su centinaia di siti, di blog, di pagine di Facebook oltre che su quotidiani sardi e continentali. I media elettronici radical-chic esultano al fatto che il mio amico Roberto Castelli, e per suo tramite la Lega, siano stati contestati; non pochi esprimono rammarico per lo spettacolo di intolleranza imbastito da abusivi sventolatori di bandiere dei Quattro mori e altrettanto abusivi indossatori di magliette con l'immagine di Antonio Gramsci. Povero, grande pensatore sardo, morto per la libertà.
Ma oltre alla capacità di metter su una manifestazione penosa, quel centinaio di intolleranti ha mostrato di essere un formidabile organizzatore di consenso intorno alla mia modesta persona. Il mio nome e la mia decisione di candidarmi in dissenso con la nomenklatura hanno fatto il giro di tutto lo Stato. A questo autogol hanno contribuito, mescolati fra i radical-chic, anche un po' di personaggi legati al mio avversario “forte, concreto, giovane”. Un caro amico, cui non difetta il senso del sarcasmo, mi ha mandato uno scherzoso messaggio: “A me puoi confessarlo, sei stato tu a organizzare quella gazzarra”.
Non inganni questo mio tono ironico. In realtà sono molto preoccupato per il grado di faziosità e di settarismo, questo davvero miope e autolesionista. Mostrato, quest'ultimo, dagli abusivi agitatori della bandiera sarda. Quella è la bandiera di chi da quasi un secolo si batte per quel federalismo che la Lega (un insieme – come ha ricordato Castelli – di movimenti autonomisti) ha saputo trasformare da agitazione culturale in processo reale di governo. Se la Lega non avesse posto con forza la questione, noi federalisti staremmo ancora lì a sognarlo e i neo giacobini di sinistra e di destra ad esorcizzarlo come mina all'unità della Repubblica. È curioso vedere come, nel nome di un settarismo viscerale e bilioso, chi dice di lottare per una autonomia sostanziale o addirittura per l'indipendenza della Sardegna, finisca per fare il gioco di chi non vuole né l'una né l'altra e, anzi, le combatte con tutti i mezzi.
Io non sono leghista così come non sono altro se non del Pdl e mi lega ai miei alleati la comune pretesa di essere sardi padroni in casa propria, convinti che l'autonomia sarda di oggi non basti ad evitare il pericolo che qui si installino cose non volute come il nucleare e l'eolico nel nostro mare. Tutta gente, insomma, capace di dire a Roma che i sardi non sono disposti a piegarsi.
Credo che la gazzarra di ieri potrebbe passare alla storia come un esempio di masochismo, per non dire che è molto simile al sacrificio di chi, per far dispetto alla moglie, si evira.

venerdì 21 maggio 2010

Quei miliardi restituiti perché non saputi spendere

E dunque io sarei “un senatore con la testa a Roma”. Parole del mio avversario nella campagna contro Graziano Milia, consegnate alla Nuova Sardegna di oggi. In fondo sento un po' di tenerezza per il “forte, concreto, giovane” candidato della nomenclatura. Come molti adolescenti, anche Farris pensa che il mondo e la storia comincino con il loro affacciarsi alla vita, quella politica compresa. Gli hanno parlato dell'autonomia, gli hanno detto che è una cosa che in mezzo ai sardi tira, che deve spendersi per l'autonomia e lo fa. Pazienza se non sa neppure dove sta di casa, l'autonomia, e pazienza se ha ricevuto la grazia della candidatura per pressioni romane fatte su chi non sa resistere loro.
Potrei facilmente rispondergli che ho talmente poco la testa a Roma che non solo sono pronto a lasciare la Capitale e il Senato ma ho resistito a ben altre pressioni perché restassi a Roma. E si è trattato di pressioni ben più autorevoli, come ormai sanno gli elettori della provincia e tutti i sardi. Potrei, ma a che pro'? Il mio avversario mi dà l'idea di qualcuno che si fa un'idea del coraggio guardandosi allo specchio e pensando che dignità e coraggio sia essere l'uomo di un capo corrente. Per cui, lasciamo stare. Sono convinto che i sardi in generale e quelli che abitano questa provincia sappiano che cosa sia coraggio, dignità e, soprattutto, fede ad una parola data. Mi interessa di più arrivare alla Presidenza della Provincia in competizione con il mio vero avversario, il presidente uscente Milia. Il quale ha l'imprudenza di confessare al giornalista che lo intervista: “Abbiamo restituito un milione e 200 mila del piano di assesto idrogeologico ma solo perché l’importo era stato sovrastimato dalla precedente giunta. Poi ci sono i soldi per la lingua sarda: rimandati indietro, volevano imporci la “limba unificata”. Inaccettabile”.
Insomma, il mio vero avversario, ammette di non essere stato capace di spendere un milione e settecento mila euro (500 mila sono stati quelli ottenuti per la lingua sarda). Stiamo parlando di tre miliardi e mezzo di vecchie lire, mica di bruscolini. Ebbene, Milia li ha restituiti perché la vecchia giunta aveva fatto male i conti e gli aveva dato addirittura un paio di miliardi in più? E ha restituito allo Stato un miliardo della legge 482 perché qualcuno gli avrebbe imposto di spenderlo a favore della lingua unificata? Se la campagna elettorale dovesse continuare ancora a lungo, ci sentiremmo dire che è arrivato l'Uomo mannaro per impedirgli di spendere i soldi per il benessere dei suoi cittadini.
Mi chiedo, cari amici, se una campagna elettorale debba essere infarcita di simili mezzucci per catturare consensi. Quelli di uno che confonde autonomia con subordinazione e di uno che, colto con le dita nella marmellata, dà la colpa al gatto. Un po' più di serietà, suvvia. Le elezioni finiscono, ma poi bisognerà pur guardarsi allo specchio che, stiamone certi, riflette una immagine vera e non quella virtuale che si è raccontata in giro.

mercoledì 19 maggio 2010

Bossi e la mobilitazione degli stereotipi. E delle sciocchezze

La campagna elettorale, con il suo bagaglio di ovvi contrasti, non può mettere in secondo ordine la positiva conclusione della vicenda Alcoa ma, soprattutto, la straordinaria mobilitazione di popolo che l'ha resa possibile. Dico popolo per indicare tutte le sue componenti, dai lavoratori e le loro famiglie ai sindacati, dalle istituzioni ai partiti e ai parlamentari eletti in Sardegna. Sono felice ed orgoglioso di aver messo a disposizione di questa grande battaglia la mia passione di sardo scelto da migliaia di sardi a rappresentarli in Parlamento.
Sembra singolare evocare oggi, nel mezzo di una temperie elettorale, l'unità raggiunta per difendere una occasione di lavoro che sembrava perdersi negli interessi di una multinazionale abituata a ragionare di numeri e non di persone. Eppure sono ancora più di ieri convinto che sia possibile e necessario badare all'interesse comune più che a quello di parte. Del resto, è proprio da quella convinzione che nasce la mia candidatura alla Presidenza della Provincia di Cagliari, dal pensare che i giochi di potere, la prepotenza del correntismo in un partito e le scelte autoreferenziali col bene comune hanno nulla a che fare. E vanno combattuti sia con la testimonianza sia con la raccolta dei consensi di chi così pensa intorno ad un progetto di rinnovamento della politica.
Chi non pensa a rinnovare la politica, ma anzi a replicare gli stereotipi e le sciocchezze orecchiate qua e là su media e al Bar dello Sport, sono i raccoglitori di firme per impedire ad Umberto Bossi di parlare a Cagliari. Capirei fossero le bande di giacobini che confondono l'unità della Repubblica con l'imbalsamazione del centralismo statale, capirei persino chi teme dal federalismo un colpo alle proprie rendite di posizione, ma non riesco a capire che a scatenare la bagarre siano anche coloro che si dichiarano federalisti o anche indipendentisti. So che, per taluni, campagna elettorale significa messa a risposo dell'intelligenza, della capacità, voglio dire, di ragionare e capire.
Ma, irritarsi e mobilitarsi contro il leader del partito che con più forza e coraggio ha posto il federalismo all'ordine del giorno della politica italiana (e di quella sonnacchiosa della Sardegna) mi sembra più una sciocchezza che una cosa incomprensibile. Non battono ciglio (e in questo sono ammirevolmente democratici) all'arrivo in Sardegna di Di Pietro, Bersani, Casini, Vendola, ministri del Governo e sbraitano contro Bossi? Valli a capire. O meglio, li capisco: Bossi e la Lega, con la loro battaglia per il federalismo, per la responsabilizzazione delle classi dirigenti, per la diffusione delle lingue regionali, rappresentano per i nostri federalisti e i nostri indipendentisti una cattiva coscienza e la dimostrazione provata che il modo migliore per fare è fare.

lunedì 17 maggio 2010

La prosperità è possibile, ma bisogna volerla

Qualche amico mi chiede che cosa c'entri con la mia battaglia per la Provincia di Cagliari quella che conduco da tempo per un nuovo Statuto speciale della Sardegna. Sono, mi si dice, due cose giuste ma distanti fra loro e, soprattutto, l'una – l'amministrazione della Provincia – assolutamente urgente, visto lo stato in cui Milia l'ha lasciata e l'altra rimandabile a tempi migliori. Così non è. La Provincia come il l'immagino e la progetto ha bisogno subito di un nuovo Statuto speciale perché è in quel quadro che la “Provincia di serie A” si realizzerà compiutamente.
Oggi, la provincia esercita funzioni di non poco conto, sottovalutate da chi non si è accorto di quanto nella legislazione statale e in quella sarda sia cambiato dai tempi in cui si occupava di strade e poco più. Pochi sanno, per esempio, che si occupa anche di beni immateriali come la lingua sarda, funzione che il presidente uscente, come ho scritto, ha utilizzato per tentare di dividerla in tronconi e che, sempre Milia, ha trascurato, arrivando a restituire allo Stato mezzo milione di euro per la sua incapacità di mettere a profitto quei denari pubblici. Certo, con quel mezzo milione non si sarebbe risolto il problema della disoccupazione intellettuale, ma buttarlo al vento l'ha peggiorato.
La Provincia ha bisogno, così come i comuni, di un'autonomia di entrate e di spesa che oggi non ha e che avrebbe – con i benefici per il lavoro che si può comprendere – con l'approvazione dello Statuto che ho tradotto in disegno di legge presentato in Senato. È tutto il sistema delle autonomie che propongo di cambiare per attuare un vero federalismo interno. Una certa cultura qualunquista da tempo va sbandierando la favola secondo cui alle gente non interessano le riforme, come se si trattasse di questioni riguardanti ristrette élite intellettuali e politiche. Ed invece sta proprio in una grande riforma come lo Statuto sardo, la possibilità che la Sardegna e il suo sistema delle autonomia raggiunga la sua prosperità.
Se ne vuole una riprova? Il mio amico presidente della Lombardia, Formigoni, in una intervista con il maggiore quotidiano italiano annuncia che la sua regione è pronta ad attuare il federalismo anche da sola. Rivendica dodici nuove competenze dallo Stato italiano, compresa quella sulla scuola. Stiamo parlando della regione più ricca d'Italia che si sente costretta “a mordere il freno”. Dice Roberto Formigoni: “Perché deve essere legata con lacci e lacciuoli che le impediscono di camminare ad una velocità più spedita?”. E se questo si afferma in una regione tanto ricca, figurarsi cosa dovremmo dire in Sardegna.
Noi abbiamo le capacità, le risorse umane e intellettuali, risorse materiali e immateriali bloccate dal centralismo e, soprattutto, un progetto che, pur essendo capace di aprire per i sardi la via della prosperità, è ancora chiuso in un cassetto. Lo si apra, se ne discuta nelle sedi istituzionali e in mezzo ai cittadini, si apra davvero quella fase costituente più volte annunciata. Ne avranno da guadagnare tutti i sardi in generale e quelli della nostra provincia in particolare.

domenica 16 maggio 2010

Ma il garantismo è per sempre

C'è gente che considera il garantismo una pelle di zigrino che si può deformare secondo le convenzienze. In questo, il Partito democratico è un maestro: ha in casa persone condannate, altre sotto processo per bagattelle come una gara truccata per l'assegnazione di sessanta milioni di euro e osa fare la morale agli altri. Si può essere più impudenti? Io che ho come imperativo culturale un assoluto e fermo garantismo, che per l'ex presidente Soru ho sospeso il giudizio in attesa che la magistratura lo assolva o condanni, che ritengo il mio avversario Milia innocente fino a sentenza definitiva, resto allibito.
A volte mi chiedo se, tutto sommato, non sia più lineare la costante voglia di forca dei dipietristi. Ma resto convinto che non basta essere coerenti nel giustizialismo per essere presentabili in una società democratica e in uno stato di diritto e, allora, mi dico che è più decoroso continuare a credere nella prevalenza del garantismo. Sempre, anche quando, come in questi giorni, verrebbe voglia di rendere pan per focaccia a chi si lancia in un moralismo d'accatto e con le dita ancora sporche di marmellata, pretende di guardare le mani altrui. Questione di stile? Forse. Ma soprattutto ferma convinzione che la barbarie conduca a barbarie.

sabato 15 maggio 2010

Due o tre cose che vorrei dire ai miei denigratori

Prendo spunto dall'ultimo commento al mio articolo “Quella certa idea di Provincia che io ho” per rispondere a questioni serie ed altre molto meno serie che sono state sollevate, a cominciare dalla faccenda di un sms che risulterebbe spedito dal mio cellulare per chiedere contributi alla mia campagna elettorale. Ho già chiarito, con un comunicato pubblicato sui giornali, che né io né il mio mandatario elettorale abbiamo spedito alcun messaggio in quel senso. Di più: la Polizia postale appurerà chi e con quali illeciti stratagemma lo ha fatto. Continuare ad insistere, come fa la signora Patrizia, su un fatto inesistente dà, io credo, il senso della strumentalità e della povertà intellettuale di chi pensa di utilizzare un inganno per mettermi in cattiva luce.
Confondendo i desideri con la realtà, si parla del Pdl come mio “ex partito” ma, mi spiace deludere chi lo dice, continuo ad essere uno dei fondatori del Popolo della libertà e un suo leale militante. In dissenso profondo con i metodi da vecchia nomenklatura usati da un gruppo di dirigenti nominati e non eletti. Forse, qualche mio amico, ferito profondamente da questi metodi ha usato toni polemici nei confronti di Farris. Non sono i toni che uso io che, ripeto, continuo a non aver nulla contro il mio avversario: ciò che offende me, i miei sostenitori, la nostra dignità e appartenenza sono i metodi da antica lotta per correnti usati per scegliere un candidato piuttosto che un altro.
Da me, su questo blog, negli interventi in Facebook, in quelli pubblici chiunque sia in buona fede ha sempre e solo sentito affrontare questioni in termini politici, così come, del resto, faccio da più di quindici anni in Palmento. Termini politici significa che ho sempre tentato di risolvere, da solo o in compagnia con parlamentari del mio gruppo ma non solo, i problemi che hanno interessato o coinvolto la mia Terra. Spesso con successo, anche quando, come per l'Alcoa, non tutti hanno tenuto la barra dritta nel timore di dispiacere il governo che sosteniamo.
Se le piccole e grandi maldicenze che si fanno sulla mia candidatura nascono dai consigli o dalle suggestioni del guru Velardi, consiglierei vivamente il mio avversario e i suoi sostenitori di farne a meno: non attaccano. Così come non attaccano gli strumentali attacchi sul piano degli alleati che mi accompagnano nella battaglia per la Presidenza della Provincia di Cagliari. Che cosa significa che la Lega non ama la Sardegna, se non che si vogliono rispolverare i peggiori stereotipi della sinistra contro il partito di Bossi? Per l'Alcoa abbiamo trovato accanto la Lega e molto molto tiepidi altri, anche sardi. La Lega è l'alleato forte e leale del Pdl: su alcune cose si può dissentire, ma come si fa fra amici. Da sardo, fortemente convinto che il nostro futuro è in una Repubblica federale, non posso dimenticare che senza la cocciuta battaglia della Lega, di federalismo si sarebbe parlato ben poco e, soprattutto, molto poco si sarebbe realizzato.
Non è un caso che nella mia corsa ho affianco Fortza Paris, il partito movimento nazionalitario nato dall'incontro di due tradizioni di grande cultura autonomista: il sardismo e il popolarismo di Don Sturzo. Dai suoi uomini migliori è nata l'idea del Nuovo statuto speciale che ho fatto mia, presentandola come disegno di legge al Senato, mentre tutto intorno si continuava e si continua a inseguire le lanterne. Consiglierei, a chi ragiona ancora in termini obsoleti, di tener conto di queste cose. Così come consiglierei di buttare al macero gli stereotipi da guerra fredda di chi definisce i miei alleati del Msi-Fiamma Tricolore nostalgici di un tempo che essi stessi hanno sepolto. Non ci sono fra di loro squadristi, teppisti o chissà che cosa altro, ma solo giovani colti che la pensano diversamente da altri.
Se così non fosse, non capirei perché – e lo dico con cognizione di causa – a lungo e insistentemente coloro i quali hanno candidato il mio avversario hanno cercato la loro alleanza. Bravi democratici con Farris, squadristi con Massidda? Via, un po' di dignità e di onestà intellettuale. E, se non altro, si rilegga e vi si mediti la favoletta della volpe e dell'uva. In conclusione, vorrei dire, che sono pienamente d'accordo con Dorimannu che vorrei un giorno conoscere: basta con gli ideologismi. Hanno fatto abbastanza guai.

giovedì 13 maggio 2010

Quella certa idea di Provincia che io ho

C'è da molti anni un'accesa discussione sulla necessità o inutilità delle province. Sul loro essere superflue si affastellano considerazioni con qualche fondamento e altre dettate da un poco comprensibile qualunquismo, al fondo del quale c'è un insopportabile fastidio per la democrazia, col pretesto che costa. Costa come costano i comuni, i consigli regionali, il parlamento della Repubblica, il parlamento europeo, l'assemblea dell'Onu e tutti i consessi in cui faticosamente ma necessariamente si esercita la democrazia. Nessuno, o solo qualche isolato anarchista, ne propone l'abolizione.
Tutti, ed io per primo, siamo insoddisfatti dell'ente provincia per come è, ma lo sport di buttare il bambino con l'acqua sporca non è mai stato salutare, né lo è in questo caso. Più interessante, e salutare, è pensare a che cosa potrebbe diventare, per esempio, la Provincia di Cagliari se ben governata e, soprattutto, governata da chi ha in mente una “Provincia di serie A”, luogo in incontro e di sintesi di tanti interessi di tante comunità, gelose della propria identità. Oggi e per un futuro purtroppo non breve, il problema principale è il lavoro, seguito dal lavoro e ancora dal lavoro.
Abbiamo idea di quante opportunità danno l'ambiente, i beni culturali, il turismo, i servizi, l'agricoltura, la pastorizia, l'artigianato? E di come i processi economici siano in grado di favorire l'occupazione non solo se ben governati ma soprattutto se governati in prossimità di chi ne dovrà fruire? Oggi come oggi le funzioni della Provincia, pur non essendo trascurabili, non sono adeguate ad un disegno di federalismo interno degno del nome. Ma a questo io intendo lavorare da presidente della Provincia, avendo alle spalle tre lustri di lavoro parlamentare e sapendo che, meglio prima che poi, la Sardegna si doterà di una Carta fondamentale che riformi profondamente il sistema delle autonomie sarde.
Un certo disincanto, quasi mai innocente, spinge i cittadini a pensare che il lavoro sia un qualcosa che si ottiene o per via clientelare o per via assistenziale. Lo si ottiene, invece, creando le condizioni perché il lavoro si sviluppi. Non voglio assolutamente polemizzare con chi si presenta come avversario di Graziano Milia, senza avere chiare le idee del che cosa fare e avendo in testa semplicemente la replica, magari con qualcosa in più, di che cosa Milia ha fatto o non ha fatto. Milia si può sconfiggere solo con in testa un'idea di Provincia diversa dalla sua. Io ce l'ho e lo batterò.

mercoledì 12 maggio 2010

L'avversario di Milia sono io

Chi, anche per la grazia ricevuta, pensa alla politica come ad una questione di correnti, stenterà a capire che la politica è soprattutto generosità, fede agli impegni presi, coerenza e, perché no?, coraggio nelle proprie azioni. Può succedere, così, che il mio avversario nella competizione con il centrosinistra nella provincia di Cagliari si lasci andare a una sciocchezza. Il mio comportamento nei confronti di Graziano Milia nasconderebbe un retropensiero: pur di non far vincere il mio avversario, sarei contento che vincesse il centrosinistra. Per la verità, a Cagliari è diffusa la voce secondo cui egli, sconosciuto alla gente e conosciuto all'apparato, avrebbe ricevuto l'investitura proprio perché candidato debole, in modo da facilitare una qualche operazione elettorale nella vicina Quartu.
Con una colta metafora biblica, si direbbe che guarda una pagliuzza negli occhi altrui e non la trave che ha nei suoi occhi. Più prosaicamente i sardi irriderebbero al bue che da del cornuto all'asino. Se, almeno, avesse il buon gusto di accontentarsi della grazia ottenuta, cercando di farla fruttare – sempre che ne avesse l'animo – a me risparmierebbe la necessità di ristabilire quel minimo di verità dei fatti che consentirebbe a lui correre la sua avventura e a me di avere dissenso nel rispetto. Ma pare che, pur giovane, abbia imparato subito i machiavellismi del peggior politichese, il primo dei quali sta nel denigrare l'avversario. Ciò che è sempre sintomo di paura.
Stabilita la verità dei fatti (egli non è il candidato del partito, ma di una sua corrente), non ho alcuna intenzione di seguirlo sulla strada della polemica falsa, pretestuosa e tutto sommato fondata sul fatto che io sono un sardo libero e che, in quanto tale, non mi curo di chi è o mostra di essere “l'uomo” di qualcuno. Graziano Milia ha detto che il suo vero avversario sono io, ed ha ragione. Sono e sarò suo avversario, non sguaiato né villano, come è mio costume, ma deciso a contrastarlo fino in fondo, non perdonandogli di aver ridotto la Provincia di Cagliari a ente senza anima e, quel che è peggio, senza speranza nel futuro.
Egli ha elaborato un programma pieno di ambizioni che ha un grosso, palese guaio: la confessione che nei suoi cinque anni di governo della Provincia non solo non ha risolto i problemi che ora si è accorto esistono, non vi ha neppure posto mano. Con quale coraggio chiede ora consensi per fare in futuro cose di cui nel passato neppure si è preoccupato? Il problema sta nel che cosa la Provincia sia e debba essere. Non è la stessa cosa pensare ad una Città metropolitana e cioè una Metropoli da cui poteri e funzioni si irradiano verso una periferia o un luogo politico di sintesi nel quale convergono interessi locali e identità comunitarie. È una bella battaglia, politica e culturale, fra stereotipi consolidati e voglia di innovare; fra una provincia destinata ad esaurirsi nell'ordinaria amministrazione e quella che ho più volte chiamato “Provincia di serie A”.
Mi chiedo e chiederò agli elettori se una comunità ai confini della Provincia di Cagliari così come la capitale della Sardegna hanno interesse ad essere amministrati come metropoli o come un insieme straordinariamente ricco di comunità ed identità locali. Il mio obiettivo è quello di favorire la creazione di lavoro e poi lavoro e ancora lavoro. Per far questo non è indifferente pensare ad una Provincia di seria A o a una Provincia come l'abbiamo conosciuta. Questa è la posta in gioco fra me e Milia. Figurarsi se mi interessa la polemica dentro la quale mi si vorrebbe tirare per i capelli.

lunedì 10 maggio 2010

Eolico nel Golfo degli Angeli e poteri d'autogoverno che dobbiamo conquistare

Sono abbastanza sicuro che i signori del vento non riusciranno ad imporre il loro parco eolico nel Golfo degli Angeli, di fronte alla spiaggia del Poetto e nelle altre marine della Sardegna. Come in altre occasioni, il no concorde dei sardi avrà la meglio, non essendoci burocrazia né comitati d'affari tanto forti da cancellare i diritti di un popolo. Alle denunce del mio amico Mauro Pili, raccolte da una stampa particolarmente attenta e univoca, vorrei aggiungerne di mie che spostano la questione sul terreno istituzionale.
Qualche giorno fa, L'Unione sarda riportava questo titolo: “Golfo degli Angeli. L'Eos vuole il parco off-shore: 'La legge dice che dobbiamo parlare col Ministero – La Regione non è il nostro interlocutore”. Il giornale riferiva le parole dell'amministratore delegato della Bbc power, la società che controlla la Eos, “Energia eolica offshore della Sardegna”. Il signor Cotrufo ha formalmente ragione: la Regione sarda, oggi come oggi, a Statuto vigente, non ha alcuna competenza sul mare che la circonda.
Vero è che, poi, le linee che portano l'elettricità dovranno pur passare in Sardegna e qui il Ministero poco ha di che decidere, ma teoricamente, pur di riaffermare la propria potenza, la Eos potrebbe collegare il suo parco eolico, che so?, con la Tunisia. Però è vero: la Regione non ha competenza sul suo mare. È invece indispensabile che la abbia per evitare che i sogni dei signori del vento trasformino le nostre coste in un serpente di parchi eolici o comunque in sede di altre speculazioni, fuori dal controllo del governo dei sardi.
Il mio disegno di legge sul Nuovo Statuto speciale (che fa suo, come ho detto altre volte, la proposta del Comitato “Firma per la tua Sardegna”), depositato in Senato e da questo trasmesso al Consiglio regionale, dice: “Il Popolo sardo, il territorio della Sardegna e delle sue isole, il mare e il cielo territoriale … della Sardegna costituiscono la Nazione sarda”. Questo nulla toglie all'unità della Repubblica, ma rimodula il sistema delle competenze fra Stato e Regione, entità che già oggi, con il nuovo Titolo V della Costituzione, sono equiordinate, insieme alle Province e ai Comuni. Non sono, insomma, messi in una scala gerarchica per cui lo Stato domina tutto.
La questione dei parchi eolici off shore ha assunto oggi la dimensione di un pesante vulnus per la nostra troppo debole autonomia. Ma era inevitabile che imprenditori e speculatori si accorgessero della enorme fonte di guadagni e di profitti offerta dal vento oggi come della massa del mare domani, come dal sole in maniera più accentuata nel prossimo futuro. A noi sardi spetta di decidere se subire questi interessi o se essere protagonisti di un nostro nuovo modello di sviluppo. Possiamo, come per esempio fa il mio amico Antonello Cabras con il suo disegno di legge o come fanno i consiglieri regionali del Pd, far finta che il nostro Statuto abbia solo bisogno di qualche aggiustatina qua e là.
Ma o poniamo mano molto seriamente, con coraggio e senza paura dei nostri diritti, al nuovo Statuto o saremo destinati alla subalternità.

venerdì 7 maggio 2010

Coralità di popolo e coraggio di osare

Ora che l'attenzione per Sant'Efisio è tornata nella sua più intima dimensione religiosa, sento di poter ragionare con voi sulla festa che centomila persone hanno fatto al martire che, secondo i credenti, ha salvato Cagliari e l'intera Sardegna dalla conquista francese. Credenti e non credenti, sardi e forestieri, tutti credo siamo stati coinvolti, anche senza sapere perché, in qualcosa di più profondo di quanto non sia una festa.
Al di là della grande e fantastica varietà delle vesti dei tremila partecipanti alla sfilata, c'è lo spirito di un intero popolo unito sotto le insegne di un martire salvatore. Certo, in quel 1793 furono i cagliaritani, insieme ad altri sardi arrivati anche dai villaggi dell'interno, a non consentire materialmente che il Regno di Sardegna cadesse in mano ai giacobini che ne volevano fare un'appendice della Francia rivoluzionaria. Ma tutti sapevano di avere dalla loro il santo martirizzato nella città di Nora, prima nuragica, poi sardo-fenicia, poi punica e infine romana. In quell'anno, la celebrazione di Sant'Efisio aveva già più di centoventanni: si ricordava il voto fatto dai cagliaritani nel 1656 perché fossero salvati dalla peste. Li salvò anche in quel 1793.
L'anno successivo, stanco delle angherie commesse dai funzionari piemontesi, nizzardi e savoiardi del Governo del Regno sardo, il popolo decise di ribellarsi. E di farlo – ricordano gli storici – proprio il giorno della festa, il Primo maggio, quando il santo sarebbe stato scortato dei miliziani. Gli uomini del Vicerè Balbiano scoprirono quali fossero le intenzioni dei cagliaritani e gli organizzatori della sommossa dovettero anticiparla al 28 aprile. Quella data è, da qualche anno, festa nazionale per il popolo sardo.
Sa die de sa Sardigna, nel ricordo di quella ribellione, è, fuori di ogni retorica celebrativa, un giorno importante per tutti i sardi e per i cagliaritani in particolar modo. Senza uccidere nessuno, senza infierire sul nemico, quel 28 aprile 1794, i cagliaritani cacciarono “i piemontesi” dalla capitale del Regno sardo, che proprio qui, sul colle di Bonaria, era nato quasi cinque secoli prima. I cacciati, come si sa, rappresentavano il governo dell'isola: il viceré Balbiano e alcune centinaia di funzionari venuti dagli altri stati del Regno: Piemonte, Nizza e Savoia. Lo stesso capitò a Sassari e ad Alghero, a dimostrazione che la questione interessava tutta la “Sarda nazione”.
I rivoluzionari cagliaritani e poi i sassaresi e gli algheresi, con la loro rivolta, non volevano mettere in discussione il Regno sardo, ma il suo governo in Sardegna. Tanto è vero che, anni dopo, gli stessi rivoluzionari accolsero con grande affetto il capo dello Stato, il Re, cioè. Da questa rivolta prese avvio il cosiddetto “Triennio rivoluzionario” con a suo capo l'alternos Giommaria Angioy, una pagina di storia che a buon titolo è considerata dai sardi non succubi un momento alto di orgoglio nazionale. Ad esso né le contraddizioni fra le classi dirigenti di allora, una parte delle quali era terrorizzata dall'autogoverno, né la successiva sconfitta tolgono nulla, come sa chi non butta il cuore oltre l'ostacolo solo se ha la vittoria in mano.
Al pacato e non violento coraggio di quei cagliaritani e di quei sardi dalla schiena dritta voglio ispirare la battaglia politica di questi giorni. Come loro non sopporto le prepotenze, come loro non alzo i toni e come loro non mi propongo rivoluzioni dirompenti. Sono orgoglioso del mio partito, della sua funzione in Sardegna e non mi vanno i “tirannos minores” che hanno deciso nel chiuso delle loro stanze quale dovrà essere, nei loro pensieri, il futuro della Provincia di Cagliari. Non ci sarà neppure bisogno dello “scommiato”, come 216 anni fa: ci penseranno gli elettori.

PS – Sa die de sa Sardigna, invitato in prima fila dai lavoratori e dai sindacati che manifestavano per il lavoro, sono rimasto coinvolto in quello spirito di unità di cui il popolo sardo è capace, quando sono in gioco valori decisivi. Finita la manifestazione, sono stato travolto da una macchina in un brutto incidente stradale; devo al buon Dio se non ha avuto esiti più gravi e a quella grande coralità di popolo la forza di volare a Roma per dire “grazie, no” a Silvio Berlusconi, il quale mi chiedeva di rinunciare alla mia candidatura e mi proponeva l'incarico di sottosegretario alla Salute.

mercoledì 5 maggio 2010

Caro Silvio: le mie ragioni di coerenza e di dignità

Caro Presidente
Ti scrivo per le ragioni che tu già conosci. Probabilmente aspettavi questa mia lettera da un momento all’altro. Voglio spiegarti le motivazioni che mi hanno portato ad una scelta importante quanto sofferta. In queste poche righe leggerai quello che ci siamo già detti di persona qualche giorno fa, guardandoci negli occhi, senza infingimenti, con la massima onestà, come abbiamo sempre fatto in tutti questi anni di sincera amicizia. Vorrei anche spiegare il perché della mia ostinazione nel perseguire questo fine senza esitazioni. Vorrei spiegarlo a te e alle migliaia di elettori a cui devo rispetto, in nome del mandato ricevuto e della mia coscienza che non scende a compromessi con se stessa.
Nel 1994 abbiamo fondato insieme Forza Italia, poi il Popolo della Libertà. Con te e grazie a te sono cresciuto come uomo e come politico. Condividiamo gli stessi ideali e abbiamo condiviso la stessa amarezza quando tutto sembrava perso. Io c’ero, sono rimasto al tuo fianco e insieme abbiamo ricostruito il movimento dopo la sconfitta alle elezioni politiche del ’96 e quando in Sardegna vinse Renato Soru nel 2004. Io c’ero e ho lavorato duramente per ciò in cui credevo. Siamo tornati grandi. Insieme.
Dei “cinque anni di deserto”, come li chiami tu, porto ancora i segni sul viso. Ho messo in secondo piano i miei affetti personali, trascurato la professione e mi sono sempre dedicato alla causa con tutta la passione e l’entusiasmo che potevo esprimere. È stato un sacrificio ma lo rifarei dieci, cento, mille volte. Sono stati i migliori anni della mia vita. Mi sono messo a disposizione del PDL per questa competizione elettorale delle Provinciali 2010 perché me lo hai chiesto tu e solo dopo che Emilio Floris ha dichiarato pubblicamente la sua rinuncia. Tu mi dicesti che per un senatore della Repubblica fare il Presidente della Provincia era una diminutio ma io ero pronto a combattere anche questa battaglia, per il mio popolo, per la gente di Sardegna. La mia idea è di recuperare un ente così importante come la Provincia alla politica che conta, promuovendo azioni concrete di amministrazione locale, sostenendo lo sviluppo del territorio e salvaguardando l’attività imprenditoriale e l’ambiente. Allo stesso tempo contrastare le logiche perverse della nomenklatura e le correnti dei partiti che tu definisci “la metastasi della politica”.
Ora scelte imposte da pochi mi vorrebbero tenere fuori dalla competizione, impedirmi di cercare il confronto con l’elettorato. Scelte prese tenendo all’oscuro il coordinamento provinciale e quello regionale del movimento ma soprattutto informando te con premeditato ritardo, vista anche la situazione contingente decisamente sfavorevole. Sono arrivato a Palazzo Grazioli per incontrarti, ancora scioccato dopo un incidente in moto di cui sono stato vittima e dal quale, solo grazie al buon Dio, sono uscito illeso. Ti ho spiegato le mie ragioni: mi hai ribadito la tua fiducia confermandomi che fossi io il candidato del PDL. Qualche giorno dopo mi hai chiesto di fare un passo indietro, mi hai offerto ben più di un posto da Presidente della Provincia di Cagliari. Avrei potuto accettare, dire si a quello che non a caso è sempre stato il sogno della mia vita: Sottosegretario alla Salute. Ma ho detto di no. Ho detto di no, tu mi hai guardato dritto negli occhi e hai annuito.
E se ti conosco bene come penso so che hai capito. Hai capito che sono un sardo vero, saldo nei suoi principi, coriaceo quando sa di fare bene. Stavo solo applicando i tuoi insegnamenti. Accettare la tua offerta sarebbe stato vantaggioso: ma solo per me, non per le migliaia di sardi che si fidano di me. Mai avrei potuto lavorare da quella prestigiosa posizione per aiutare i miei conterranei la cui salute dipende dal legislatore regionale. Ho accettato il rischio in nome di un ideale, di un principio di vera democrazia partecipata dove è la gente che conta non il becero personalismo. Voglio poter guardare in faccia i miei figli senza che loro si vergognino del loro padre. Mai.
Ti ho anche detto che sono pronto a dimettermi da senatore. Lo farò se verrò eletto, sebbene tra le tante scempiaggini che ho dovuto sentire in questi giorni c’è quella di chi ha avanzato quella dell’incompatibilità tra i due incarichi quale causa della mia esclusione. Non si capisce allora come mai il mio collega Sanciu sia candidato in Gallura. Presidente io so anche che tu non ami i doppiogiochisti soprattutto quando vengono dalla tua stessa parte e come me sei del partito degli elettori e non di quello degli eletti.
Il PDL schiera un altro uomo e non me. Io sono convinto che sia un errore. È più giovane, è vero. Mentre io e te siamo già vecchi, evidentemente. Così pare. Quindi l’esperienza non conta nulla e conta ancor meno l’appartenenza al Popolo della Libertà e la mia storia personale e politica.
Ho preso un impegno con la mia gente e terrò fede alla parola data malgrado tutto e contro ogni pronostico. È per questo che non posso perdere, Presidente, perché ho già vinto. Ho vinto la battaglia più importante: quella della coerenza e della dignità di un uomo che non abbasserà mai la testa. Ho già vinto. E con me hai vinto tu. Insieme, ancora una volta e sempre.
Ti abbraccio con affetto.
Piergiorgio Massidda.

martedì 4 maggio 2010

L'indipendenza di pensiero si pratica, non basta proclamarla

Tutte le manifestazioni di simpatia (e perché no? di critica) che mi sono arrivate in questo inizio di campagna elettorale mi hanno commosso e saranno per me preziosi gli sms, le mail, i commenti su questo blog e nella mia pagina su Facebook. Ce ne uno, firmato “indipendentista” che mi assicura: “Se andrà al ballottaggio sarò con lei”, scritto con tutta evidenza da chi, al primo turno, darà testimonianza della sua partecipazione agli ideali di uno dei movimenti che hanno per orizzonte l'indipendenza della Sardegna. Non è il mio orizzonte, ma non posso né voglio negare che l'intenso e a volte spigoloso dialogo con quel mondo mi ha rafforzato nell'idea che lo spirito di autonomia politica e di indipendenza di pensiero non va solo professato: va praticato.
Io non ce l'ho con nessuno personalmente, avversario di schieramento o avversario politico, anche se capisco l'irritazione dei tanti amici che hanno trovato sconveniente il modo con il quale la sorte della Provincia di Cagliari si è voluta giocare sul tavolo delle correnti. Ce l'ho con un metodo antico di fare politica, attraverso quel correntismo per combattere il quale ho partecipato alla fondazione del partito ormai tre lustri fa. E ce l'ho, e molto, con la riproposizione delle nomenclature, degli apparatnik come si diceva una volta non in casa nostra, in quanto regolatrici della vita politica. A destra come a sinistra questa maniera di fare ha avuto, oggi in Sardegna, forti scricchiolii; forse la nostra isola si sta proponendo come interessante laboratorio e, almeno per il centrodestra, i primi sondaggi danno conto che i cittadini apprezzano l'urgenza di sganciarci dagli apparati autoreferenziali per riconquistare il gusto della politica.
Avremo modo, nel corso di questo mese (ma anche dopo), di ragionare insieme, in questo blog, nelle assemblee, su Facebook, nei comizi e negli incontri personali, sulle prospettive che si aprono alla politica come strumento per affrontare e risolvere i problemi. E sull'autonomia come capacità di contare sulle proprie forze.