mercoledì 31 marzo 2010

Mi auguro di poter sfidare Graziano Milia

Se, come immagino, sarò il candidato alla Presidenza della Provincia di Cagliari, mi auguro di poter sfidare il mio amico Graziano Milia. Spero che questa manovra orchestrata da chi, come l’Italia dei Valori, agita lo specchio del moralismo e del giustizialismo, venga presto smascherata. Spero che questo non serva a far dimenticare ai cittadini i problemi veri, il fallimento di una giunta provinciale evanescente e inefficace. Sono sicuro che alla fine Graziano Milia si candiderà, perché nonostante la condanna, è giusto considerare innocente chiunque fino all’ultimo grado di giudizio.
Sono sempre molto rispettoso dei travagli pre e post elettorali del campo politico a me avverso e non mi va di gioire delle sue difficoltà. Ma da questa vicenda viene alla luce una questione che ci interessa tutti come cittadini che hanno a cuore i principi inviolabili del garantismo. Principi secondo i quali, in uno stato di diritto, vige la presunzione di innocenza fino a quando tre gradi di giudizio non abbiano stabilito la colpevolezza di un individuo. Fuori di ciò esiste solo lo stato etico, quello che pretende di sanzionare non i reati ma i comportamenti, sulla scorta della esaltazione non della morale ma del moralismo ed è guidato dall'insana tentazione della giustizia sommaria.
Sono sicuro che il confronto col candidato uscente sarà duro ma leale, sui progetti e sui programmi e la che sentenza di condanna a Milia arriverà dai tanti cittadini che ha deluso in questi anni.
Nel centrosinistra, pochi, a quel che si legge nelle cronache, hanno criticato il mio amico e avversario Graziano Milia per l'unica cosa seria per cui andrebbe sanzionato: il cattivo governo della Provincia di Cagliari. L'ha avuta vinta, invece, il giustizialismo dell'Italia dei valori, vera guida del centrosinistra in Sardegna come in Italia. E il mio amico Milia ha avuto un sussulto di orgoglio: non ci sta ad essere lapidato da chi, mescolando giustizialismo e sete di potere, si prepara, parole sue, a dare “l'assalto alla diligenza”. Onore al suo scatto di dignità.
La legge, contrariamente a quanto affermano i giustizialisti, è qualcosa di neutro che si occupa dei reati e chi li commette. Nella loro visione, la legge dovrà essere uno strumento della loro politica e della loro morale: si potrà chiudere un occhio su un plurinquisito (come il candidato campano De Luca) o sulle sospette frequentazioni di Di Pietro, non lo si chiuderà quando gli stessi sospetti cadranno su un avversario che, per ciò stesso, diventa un nemico. Gli avversari si combattono ma si rispettano; i nemici si disprezzano e si abbattono.
Riuscite ad immaginare uno Stato, una Regione, una Provincia amministrati secondo questi criteri di “giustizia economica”? Io sì e ne ho terrore. Così come mi angoscia il fatto che il maggiore partito di opposizione lasci che siano i giustizialisti a dettargli una linea da medioevo della politica.

martedì 30 marzo 2010

Caro sen. Massidda, gentile Michela Murgia

di Michela Murgia (dal suo sito)

Gentile Senatore Massidda, la ringrazio per la prova di disponibilità al dialogo che ha dato accettando di chiarire ulteriormente le sue posizioni, sia sul nucleare che sul rapporto tra Sardegna e Stato italiano. Le fa onore, e non solo in questa occasione.
Naturalmente capirà che non condivido la sua opinione sul nucleare, che considero strada assolutamente impercorribile non solo in Sardegna, ma in ogni dove. Lo penso per le stesse ragioni per cui gli è contrario il fisico e premio Nobel Carlo Rubbia: il nucleare è basato su una fonte in esaurimento, è tecnicamente superato, è inquinante in maniera insostenibile e oggi ha un rapporto costi-benefici del tutto svantaggioso rispetto ad altre fonti davvero pulite, come il solare. Volendo tacere di decine di altri studiosi con la medesima opinione, il professor Rubbia basta da solo a provare che per essere contrari a quella strada non serve l’ideologia, la scienza è più che sufficiente.
A questo proposito, anche se il PdL pubblicizza il nucleare come cosa sicurissima e moderna, è interessante constatare come quasi tutti i rappresentanti del suo partito favorevoli al nucleare a livello nazionale, siano poi ben contrari a livello locale. Persino Formigoni e Zaia, che pure guidano due regioni fortemente industrializzate, sembrano avere “un’altra idea di sviluppo” per il proprio territorio, esattamente come lei. Sembrerà una domanda sciocca, ma non si farebbe prima a trovare una produzione di energia compatibile con questa idea di sviluppo, piuttosto che continuare a smarcarsi perché la centrale nucleare se la prenda qualcun altro, magari manu militari?
Detto questo, devo anche confessarle che non comprendo la prospettiva per cui un impianto nucleare non sarebbe compatibile con lo sviluppo della Sardegna, mentre lo sarebbe lo stoccaggio delle scorie; è una materia sulla quale mi pare di capire che lei sia pericolosamente possibilista. Spero mi smentisca, perché quale sviluppo potrebbe sposarsi con la presenza sull’isola di un cimitero nucleare? Avranno compreso i suoi elettori che questa sua frase:
"Stiamo attenti a dire un no assoluto allo smaltimento delle scorie nucleari, perché questo potrebbe ritorcersi contro di noi. In Sardegna noi produciamo scorie nucleari, per esempio negli ospedali. Dire no (per legge, ad esempio) allo smaltimento di esse in Sardegna equivarrebbe a dire che altri hanno l'onere di smaltire i nostri rifiuti"
può significare che lei è favorevole a non escludere la Sardegna dall’elenco dei potenziali siti di stoccaggio di rifiuti radioattivi?
Il richiamo alla solidarietà per giustificare una cosa del genere apparirebbe davvero surreale. La Sardegna non ha bisogno di altra energia: ne ha bisogno l’Italia, esattamente come la Sardegna non aveva bisogno di basi nucleari, ma ne aveva bisogno l’Italia; il risultato è sotto gli occhi di tutti: la nostra isola ospita da sola il 60% delle basi italiane. In presenza di questo sbilanciatissimo rapporto di forza, in cui i bisogni che vincono non sono mai quelli dei sardi, sarebbe davvero paradossale venire accusati di egoismo perché non vogliamo prenderci le scorie che non abbiamo prodotto. Questo non vuol dire mandare in Africa i nostri rifiuti, anzi sono sicura che nessun sardo sarebbe contrario a stoccare sull’isola i rifiuti ospedalieri radiottivi provenienti dai nostri ospedali (che sono ben altra cosa dei rifiuti da scissione nucleare); ma da questo senso di autoresponsabilità non sorge l’obbligo – e meno che mai la disponibilità – a fare da discarica alle scorie di scelte energetiche che nemmeno ci riguardano, e che cambierebbero radicalmente il nostro futuro. L’unico modo per non doversi porre il problema delle scorie è investire su fonti energetiche che non producano scorie.
Infine devo dirle che apprezzo sinceramente il suo lavoro verso la ridefinizione dello Statuto, ma sono sicura che sia evidente anche a lei come in una logica autonomista il rapporto con l’Italia ci veda e ci vedrà sempre funzionali ad un interesse che sta altrove. Per questo l’unico statuto che può risolvere questo impasse è quello mirato a diventare costituzione statale, mettendo alla base di qualunque riscrittura la sovranità e il diritto all’autodeterminazione del popolo sardo. Confido che questo divenga obiettivo politico trasversale, fuori dagli steccati di destra e sinistra, e che in un futuro prossimo ci ponga davanti alle nostre scelte semplicemente come sardi.



Gentilissima signora Murgia
sono io a ringraziarla per il tono della sua risposta: dovrebbe essere usuale fra persone che, parzialmente o in toto, sono in disaccordo e purtroppo, invece, non lo è. Le sue e le mie tesi in materia di energia nucleare ci sono reciprocamente chiare e chiara è la distanza fra di esse. Su una cosa, però, siamo d'accordo: le centrali nucleari non hanno posto in Sardegna. Così come, mi pare, siamo d'accordo sul fatto che “nessun sardo sarebbe contrario a stoccare sull’isola i rifiuti ospedalieri radiattivi provenienti dai nostri ospedali”.
Forse non sono stato chiaro nel mio articolo ed è meglio precisare la questione: quando io dico che ho in mente un modello di sviluppo economico alternativo all'esistente e che per questo ritengo inutile l'impianto di una centrale nucleare ho in mente anche un conseguente no allo stoccaggio di scorie, salvo quelle prodotte in Sardegna che sono egualmente inquinanti.
Possiamo continuare a dissentire, ma sulla base della conoscenza delle reciproche posizioni. La mia è quella espressa anche qui, senza retropensieri, tatticismi o altro. È vero che il professor Rubbia dice ciò che lei riporta, ma tenga conto che molti altri scienziati dissentono radicalmente da lui e non credo utile alla discussione citare solo coloro i quali sono d'accordo con noi. Quanto alla enegia solare, credo che lei sappia bene come essa sia oggi a relativamente buon mercato solo perché gode di imponenti finanziamenti degli stati, altrimenti non lo sarebbe. I finanziamenti sono finalizzati a dare impulso alla ricerca e al know out, di modo che in un futuro non proprio prossimo questa fonte di energia sia conveniente e utile al raggiungimento dell'obiettivo della produzione di un 20% di energia rinnovabile. Oggi non è sicuramente un'alternativa.
Mi interessa decisamente di più il suo discorso sullo Statuto sardo. A lei uno Statuto di autonomia non basta e lo capisco: mi pare di vedere che per lei la sovranità e il diritto all'autodeterminazione del popolo sardo coincidono con la costituzione dello Stato sardo. Per me, come si può capire dalla proposta di Statuto speciale del Comitato per lo Statuto che ho fatto mia e trasformata in Disegno di legge, sovranità e autodeterminazione non coincidono con la creazione di un nuovo stato, entrambe si possono raggiungere ed esercitare all'interno della Repubblica italiana e dell'Unione europea.
Ci consente di farlo il diritto internazionale e, particolarmente, l'Atto finale di Helsinki e la Carta di Parigi: “In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale”. L'esercizio di questo diritto non ha bisogno di contemplare la creazione di un nuovo stato, cosa che, del resto, lo stesso Atto finale esclude.
A me sembra che questo sia l'optimum per il popolo sardo, raggiungibile pur da dentro la Repubblica italiana. Non sarà né facile né senza opposizioni. Il dramma è che le opposizioni cominciano dentro la Sardegna, da parte di chi scioccamente ritiene “separatista” uno Statuto che non incide sull'unità della Repubblica e da parte di chi, invece, lo ritiene poco avanzato. Una cosa massimamente temo: che la rincorsa al meglio renda impossibile il bene
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lunedì 29 marzo 2010

Michela Murgia, il nucleare ed io

Nel suo sito, la scrittrice Michela Murgia si occupa delle mie posizioni di assoluta contrarietà alla installazione di una centrale nucleare in Sardegna. Fautrice di un successo di iRS alle prossime elezioni per la Provincia di Cagliari, non ha un atteggiamento prevenuto (come lo hanno invece alcuni suoi interlocutori duri e puri) nei confronti del mio no. Ed è, questo, un buon segno di disponibilità a ragionare sulle cose. Le do atto che questo suo approccio alla questione apre interessanti prospettive a quella unità del popolo sardo che è la sola strada possibile per coalizzare il no al nucleare in Sardegna.
Le leggi regionali di contrasto sono pura e semplice demagogia perché, essendo sospette di incostituzionalità, non possono non essere impugnate da qualsiasi governo sappia quali siano le competenze dello Stato e delle Regioni, dopo l'improvvida approvazione del nuovo Titolo V fatta, con soli 4 voti di maggioranza, dal centrosinistra nel 2001. E così sarà fino a quando la Sardegna non si doterà di un Nuovo Statuto speciale di autogoverno come quello che, per esempio, è nel mio disegno di legge al Senato. Oggi come oggi, solo l'unità delle forze politiche, di quelle sociali, di quelle culturali e delle istituzioni può segnalare un no credibile.
Dopo il riconoscimento, dovuto, dell'approccio non pregiudiziale al problema che vedo nell'articolo della signora Murgia, devo anche dire che, comunque, vi aleggia il sospetto di una mia doppiezza che, invece, non esiste. Correttamente fornisce ai suoi lettori il testo del mio intervento al Senato in cui affermavo, fra l'altro, che “è inutile continuare a fare il sacrificio di non aprire centrali nucleari in Italia, tra l'altro di ultima generazione e dunque particolarmente sicure, per paura del nucleare, quando molti Paesi confinanti, quali Francia e Svizzera le hanno già costruite”. Meno correttamente, la signora Murgia, interpreta questo mio pensiero come adesione al nucleare in Sardegna, quando è invece trasparente (e comunque detto e ridetto anche in questo blog) ciò di cui sono convinto.
Cerco di dirlo ancora una volta nella maniera più chiara: la polemica antinucleare fondata sulla pericolosità delle centrali ha, soprattutto oggi con lo sviluppo della tecnologia, una valenza solo ideologica e di schieramento politico; io non sono contrario al nucleare in Sardegna per fanciulleschi timori che la scienza dimostra infondati, lo sono perché ho del modello di sviluppo della mia Isola un'idea diversa dal foraggiamento di industrie energivore; non sono e non posso essere contrario alla decisione di quelle regioni che volessero impiantare centrali nucleari o che si convincessero a farlo sulla base di un ragionamento intorno a costi e benefici di un tale impianto. In me, il rispetto delle autonomie regionali non è una bandiera da agitare o da nascondere a convenienza.
Afferma ancora la scrittrice sarda di non “voler sindacare qui quale sia lo sviluppo che ha in mente il PdL per la Sardegna – sul quale dirò in altro post”. Lo attendo con ansia, perché sono curioso di sapere da altri che cosa io pensi. Così come sono curioso di capire come si possa stravolgere, ad uso polemico, una considerazione assai semplice che ho fatto, sia nel mio intervento al Senato sia in tutte le altre occasioni. Stiamo attenti a dire un no assoluto allo smaltimento delle scorie nucleari, perché questo potrebbe ritorcersi contro di noi. In Sardegna noi produciamo scorie nucleari, per esempio negli ospedali. Dire no (per legge, ad esempio) allo smaltimento di esse in Sardegna equivarrebbe a dire che altri hanno l'onere di smaltire i nostri rifiuti.
Qualcuno sostiene, nel sito di Michela Murgia, che io avrei, così assimilato le scorie delle centrali nucleari a quelle da noi prodotte. Sarei in diritto di indignarmi per un tanto palese esercizio di malafede, preferisco assicurare che no, scorie di centrali e scorie prodotte per quelle “analisi tiroidee” che hanno acceso l'immaginazione prevenuta non sono la stessa cosa. Ma dovremmo metterci nell'ordine delle idee che prima o poi saremmo costretti a smaltircele per conto nostro. E i proclami sulla indisponibilità della Sardegna allo smaltimento delle scorie radioattive sono, appunto, solo proclami senza molto senso.
Così come trovo sconcertante l'idea, avanzata in quel dibattito al Senato da uno di quegli strenui difensori dei diritti dei popoli del Terzo mondo, di spedire nel Sahara le scorie prodotte in Italia. Per aiutare le economie di quei popoli, disse il collega, senza neppure arrossire. Sarà perché della solidarietà ho un concetto diverso, ma trovo inquietante quella proposta che, la signora Murgia può verificare, è riportata nei verbali della discussione parlamentare.

venerdì 26 marzo 2010

Santoro e le barzellette hard: che bella opposizione

Qualcuno dev'essere rimasto affascinato dalla rafinatissima metafora di tal Luttazzi secondo cui il popolo italiano, al pari di una donna, a furia di essere sodomizzato da Berlusconi, ora provi orgasmo e, per questo, continui a votarlo. Il tono del comizio multimediale di Santoro, ieri a Bologna e ovunque grazie ad una tv privata, è ben rappresentato dall'intervento del guitto, consapevole che barzellette sporche, pernacchie, meteorismi rumorosi e rutti tirano.
Se questi sono i maitre à penser della sinistra, riunita in un rito autoconsolatorio, ho profonda pena per quella parte dell'opposizione che vorrebbe sforzarsi di diventare moderna, propositiva e riformista. È vero che non sempre ci si può scegliere i compagni di viaggio, ma è anche vero che, se non ce se ne discosta, sono loro a guidare il cammino, come purtroppo sta succedendo al Pd. Conosco bene e stimo molti amici del centrosinistra e davvero non meritano di essere rappresentati da Santoro & C.
Il comizio elettorale del capocomico, credo lo sappiate, non è stato organizzato per consentire ai guitti di raccontare barzellette hard. Lo scopo era quello di difendere la libertà di stampa che, come è noto, è oggi in pericolo: i giornali dell'opposizione sono chiusi; Santoro, strapagato con i soldi di tutti gli abbonati Rai, è stato privato della parola e, ieri, ha dovuto recitare in clandestinità. Di qui la decisione del martire di paragonare Berlusconi a Mussolini, mostrando sì un coraggio da leoni, ma anche un sublime sprezzo del ridicolo.
E pensare che la decisione della Rai di impedire i comizi a senso unico e senza contradditorio in campagna elettorale è figlia di quella legge sulla par condicio che la sinistra ha voluto e imposto, che il centrodestra vorrebbe modificare alla radice e che la sinistra continua a difendere come baluardo della libertà. C'è, cari amici, qualcosa di schizoide nel comportamento di certi giornalisti di sinistra: vorrebbero una par condicio a patto che si applichi solo agli avversari e mai a loro.
Ho visto arrossire di vergogna molti amici del centrosinistra, oggi. Hanno confidato che con gente simile non c'è affatto bisogno di Berlusconi per far perdere loro le elezioni.

giovedì 25 marzo 2010

Caro Stracquadanio, no, qui il nucleare non lo vogliamo

Non sono d'accordo con il mio caro amico Giorgio Stracquadanio, deputato lombardo del mio partito, secondo cui la Sardegna sarebbe luogo adatto per la installazione di una centrale nucleare. Del perché io sia contrario a quella ipotesi ho lungamente scritto e non mi ripeto. Più interessante e intrigante è il suo ragionamento, fatto durante un dibattito televisivo. “In Sardegna” ha detto “abbiamo avuto un problema, di recente. C’è stata la crisi dell’Alcoa, un’industria fondamentale per l’isola. Il Governo sta trattando con grande determinazione per mantenere i posti di lavoro. Ma la produzione di un’industria che lavora l’alluminio richiede un alto consumo di energia. Quindi, se possiamo avere la produzione dell’energia lì vicino è meglio. In più le centrali hanno anche necessità di grandi quantità d’acqua, quindi l’ideale sarebbe mettere la centrale lì vicino”.
Come dire che la soluzione trovata (e speriamo presto applicata) per l'Alcoa non è e non può essere per sempre. Sempre, invece, la produzione di alluminio avrà bisogno di grandi quantità di energia. E l'energia va trovata. Il no al nucleare in Sardegna è una scelta condivisa dalla stragrande maggioranza dei sardi ed è diventato un punto d'onore sia per il governo sardo sia per la gran parte delle forze politiche e sociali. Il motivo è, fondamentalmente, uno: il nucleare confligge con lo sviluppo che abbiamo in mente.
Ma c'è nel variegato mondo della Anonima indignati in servizio permanente e effettivo una il prevalere della “cultura del no”: no alla installazione dei parchi eolici in mare, e figuriamoci se non siamo d'accordo, purché il no a “lì” si trasformi in un “sì” qui, e invece questo sì stenta a conquistare l'Anonima indignati; e poi c'è il no al passaggio del gas del Maghreb, e poi c'è il no al carbone, e poi c'è il no al fotovoltaico industriale, e poi... basta seguire i giornali per aver sentore dei no. Di solito, questa Anonima è, allo stesso tempo, per salvare l'Alcoa e l'Euralluminia, per dar loro tutta l'energia di cui hanno bisogno e per impedire che le fonti di energia siano collocate nel giardino di casa.
Qualche tempo fa, in maniera paradossale, avevo scritto: “Io intravedo il rischio che, non so con quale inconsapevolezza, questo fronte del No a tutto prepari le condizioni perché disoccupati, lavoratori a rischio e loro famiglie, per disperazione invochino la costruzione di una centrale nucleare, sicura fonte di energia abbondante”. Il ragionamento dell'amico Stracquadanio (le cui conclusioni, è bene ripeterlo, non condivido) sta a dimostrare, fra l'altro, che quel paradosso rischia di essere dietro l'angolo.

mercoledì 24 marzo 2010

Ma che bella eredità ha lasciato la giunta Soru

Le statistiche sull'andamento dell'economia in Sardegna, pubblicate oggi da La Nuova Sardegna, sono preoccupanti, non c'è dubbio. Oggi stesso, ho sentito voci di amici del centrosinistra ammiccanti per il colpo che questi numeri darebbero al governo. Il fatto è che dovrebbero essere letti meglio, perché dalla loro lettura viene un consiglio ad essere molto prudenti nel gioirne troppo: vi emerge, infatti, con grande chiarezza che la Giunta Cappellacci ha ricevuto dalla passata amministrazione di centrosinistra una pesantissima eredità.
Vediamoli questi dati. Al 31 dicembre del 2009 (dopo otto mesi di nuovo governo) i lavoratori in cassa integrazione erano 9.714 e quelli in mobilità 2.908; il tasso di disoccupazione (dopo un paio di mesi di vigenza della Giunta Cappellacci) era del 12,7 per cento e 87.000 erano le persone in cerca di occupazione. Nel 2008 (ultimo anno di Giunta Soru) il tasso di disoccupazione giovanile era del 36,8 per cento (21,3 in Italia), il reddito medio pro capite dei sardi era di 16.200 euro contro i 17.839 in Italia, il Pil pro capite di 20.627 (26.276 in Italia), il Pil ai prezzi di base era diminuito di 430 milioni di euro. Gli effetti della politica di centrosinistra hanno fatto sì che l'anno scorso 350 mila famiglie si trovassero sotto la soglia della povertà e che le esportazioni siano diminuite del 42,9 per cento.
A queste cifre, fredde come tutti i numeri, vanno aggiunte le vicende umane e i drammi di migliaia di lavoratori (da Alcoa a Vinyls, da Euroallumia a Rockwool) che ancora non sanno quale sarà la loro sorte e che sono vittime di scelte fatte nel passato più o meno prossimo. È questa mole impressionante di problemi che il governo sardo ha ereditato e che tenta di affrontare e di risolvere. Con una novità importantissima: intorno alle questioni aperte si è creata, e resiste non ostante la ricerca spasmodica di visibilità mediatica da parte di alcuni oppositori, una grande unità di intenti.
Io credo che questa unità vada coltivata come bene prezioso, anche lasciando da parte la considerazione che i dati economici a nostra disposizione certificano di una inconsistenza progettuale della giunta di centrosinistra, dimessasi improvvisamente alla fine del 2009, quasi una confessione di insufficienza. I dati economici, come quelli che ho citato, sappiamo leggerli anche noi e dicono cose molto diverse da quelle che vi leggono certi avversari del governo sardo. Senso di responsabilità vorrebbe che la loro conoscenza servisse a tutti per superare, in unità, i gravi problemi che sono oggi sul tavolo. Usare quelle cifre in maniera impropria si ritorcerebbe contro chi lo fa.

lunedì 22 marzo 2010

Pluralità e unità: questo il problema del sardo ignorato da Milia

Ringrazio sentitamente gli amici che sono intervenuti sul mio articolo “Norma campidanese” in salsa elettorale. Con sensibilità e toni diversi hanno dimostrato (come del resto succede in questi giorni in altri blog, forum, discussioni in Facebook) che la questione della lingua è un tema sensibile, molto più rilevante di quanto la politica e i mass media danno a intendere. Per conto mio, apprezzo chiunque applichi la sua dedizione alla ricerca di soluzioni e ne rispetto i risultati.
Devo rilevare che, per quanto ne so, solo Sardigna natzione e Irs hanno preso parte alla discussione sulle questioni della lingua sarda sollevate dalla delibera con cui il Consiglio provinciale di Cagliari ha adottato come lingua amministrativa le norme elaborate da un gruppo di appassionati. Con l'ovvio risultato che, all'apparenza, nell'immaginario collettivo del popolo sardo la politica linguistica è solamente nell'interesse o dei movimenti indipendentisti o del governo sardo. A quest'ultimo, infatti, si deve non solo lo stanziamento di fondi per la tutela e la valorizzazione del sardo ma, soprattutto, la menzione della lingua quale motore di sviluppo in un documento di programmazione economica qual è il Piano regionale di sviluppo. È la prima volta che ciò accade nella storia dell'autonomia sarda.
Ho scritto, e lo ribadisco, che la decisione della Giunta Milia di adottare come proprie le “Arrègulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddàriu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua Sarda” è sbagliata per due ordini di motivi. Il primo è che tale adozione piega a ragioni elettorali la elaborazione di un gruppo di studiosi, con l'evidente scopo di far dimenticare agli elettori la sua incapacità di spendere i soldi stanziati dallo Stato proprio per la valorizzazione della lingua. Il secondo è che, con questo atto, anche al di là della volontà di chi le norme ha elaborato, si divide il sardo in due corpi fra loro non comunicanti.
Chi, come me, ha lavorato con passione alla elaborazione di quella che nel 1999 diventerà la legge 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche) aveva in mente qualcosa di diverso dalla suddivisione del sardo in tronconi. E, infatti, nella legge non si parla di due lingue sarde ma di una. Forse è bene ricordare che cosa dica l'articolo 2 della legge: “In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo”.
Come ho già scritto, io non mi occupo di linguistica ma di politica e, in questo caso, di politica linguistica. Capisco che nelle comunità, giustamente gelose e orgogliose della identità e diversità del proprio dialetto parlato e, spesso, scritto, possano sorgere delle resistenze alla rappresentazione grafica unitaria della lingua sarda nella sua unitarietà. Non è la prima volta che ciò succede nelle varie nazionalità senza stato in Europa e altrove. Amici che si occupano di politica linguistica mi dicono che questo è successo in Catalogna, in Friuli, nel Paese basco, in Corsica e che capitò anche in Norvegia.
Francamente non so se la Limba sarda comuna risponde totalmente o in parte alla necessità di uno standard scritto. Quel che so è che la legge parla di “minoranze linguistiche storiche” e che quella della Sardegna è una storia unitaria, non frantumata, e che fra le contraddizioni della Nazione sarda non c'è quella del sentirsi luogo di etnie diverse e contrastanti. Sono convinto che una seria politica linguistica da questo dato debba partire, con l'aiuto di tutti, linguisti compresi. D'altra parte, da legislatore ho ben presente il rischio che lo stravolgimento della legge 482, che parla di lingua sarda e non di lingue sarde, ridia fiato al giacobinismo che mai si è rassegnato a considerare dannoso il riconoscimento delle lingue delle “minoranze storiche”.
Aggiungo, ma avremo modo di riparlarne, che non capisco l'operato del mio amico e avversario Graziano Milia. Mi pare una persona diversa da quella che nel 2001 scriveva: “Due cose certamente bisogna fare: alleggerire o eliminare del tutto l’elemento di conflittualità che ha fino ad ora caratterizzato la questione [dello standard, Nota mia] e aumentare gli spazi di confronto e dibattito trasparente e chiaro sulla questione”. Vedo, e mi dispiace, la tentazione di usare la questione delicata della nostra lingua solo a fini elettorali, in questo modo di sostenere, all’interno di una carriera politica, tutto e il contrario di tutto pur catturare qualche voto in più.

venerdì 19 marzo 2010

Crisi risolte: per l'opposizione il governo non c'entra. Sarà la provvidenza?

Va bene che siamo in campagna elettorale e che, in queste occasioni, l'opposizione mira a negare che ci sia del buono in quanto fa il governo, statale o regionale fa lo stesso. Bersani e la Cgil lì a giurare che niente ha fatto il governo Barlusconi per l'economia e la difesa dell'occupazione; Pd sardo e Cgil sarda lì a ripetere che il governo Cappellacci è insensibile ai problemi del lavoro e addirittura responsabile della perdita di 28 mila posti.
Tutto nella norma, insomma. Chi sa se, dalle parti dell'opposizione, ci si pone la domanda: la soluzione trovata per l'Alcoa, quella alle viste per la Vinyls, la chiusura positiva della questione Equipolymers sono frutto della provvidenza o qualche merito i due governi lo hanno? Non oso neppure sperare che l'opposizione si guardi al proprio interno per interrogarsi su quale responsabilità abbiano Cappellacci e Berlusconi per il tipo di industrializzazione, chimica ed energivora, paracadutata in Sardegna.
Credo che questi regali abbiano altri donatori, che essi siano prevalentemente di ben altra provenienza e che, oggi, i due governi stiano faticando nel riparare ai guasti provocati, e spesso invocati, da chi oggi solleva la voce. Io so benissimo che se e quando ci sarà una soluzione positiva delle tante crisi dell'industria sarda, ciò si dovrà alla straordinaria unità di lavoratori, sindacati, forze politiche. Ma sarebbe bastata da sola, senza che il governo italiano e quello sardo avessero mostrato decisione e capacità di intervento?
Finite le elezioni, immagino che l'ipercricismo dell'opposizione si modererà e si tornerà a ragionare sulle cose fatte e su quelle da fare. Resta il fatto che tutto ciò lascerà nei cittadini l'impressione che una campagna elettorale non sia un momento di verità, ma un'occasione per catturare consensi con le grida.

PS – A proposito di grida, registro, come stonate, quelle del giustizialismo indigeno lanciate contro il mio amico ed avversario Graziano Milia, condannato per abuso d'ufficio, in attesa del terzo giudizio e quindi innocente. Vorrei sbagliarmi, ma andrà a finire che anche in Sardegna i dipietristi (i quali vorrebbero un altro candidato alla Presidenza della Provincia di Cagliari) detteranno legge al Pd, confermandosi i veri titolari dell'opposizione.

mercoledì 17 marzo 2010

"Norma campidanesa" in salsa elettorale

Il mio amico (nonché avversario politico) Graziano Milia presenta alla approvazione del Consiglio provinciale un documento che stabilisce “Arrègulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddàriu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua Sarda”. Non ne conosco il testo e non mi pronuncio, ovviamente, sull'operazione di politica linguistica fatta dal presidente della Provincia di Cagliari con il sussidio di esperti fra cui un docente di linguistica dell'Ateneo cagliaritano.
Quel che mi preme sottolineare è la singolarità dell'iniziativa elettoralistica, presa par di capire dall'amico Milia per far dimenticare ai suoi elettori di aver dovuto restituire allo Stato la bellezza di 546 mila euro, ricevuti per valorizzazione la lingua sarda e non spesi per la incapacità della Provincia di fare progetti a tutela della nostra lingua. Sempre meno dei due milioni di euro che l'Università ha restituito per la sua mancata volontà di spenderli per lo stesso fine, ma comunque una bella cifra, soprattutto considerate le lamentele per la supposta insensibilità del governo italiano.
C'è anche, in questa vicenda, il segno di una lacerazione profonda fra il presidente della Provincia di Cagliari e il suo compagno di partito, l'ex presidente della Regione, Soru, autore, val la pena di ricordare, della delibera con cui la Regione adottò come sua lingua ufficiale in uscita la Limba sarda comuna. La si poteva, come per ogni scelta politica, rimettere in discussione, con la coscienza che quella delibera è pur sempre un atto del governo della Sardegna. Si è preferito trascinare un patrimonio e un valore come la lingua sarda nella bolgia dei dissidi interni. Credo che anche di questo gli elettori della Provincia di Cagliari dovranno tener conto quando, questa primavera, saranno chiamati ad eleggere il nuovo presidente e il nuovo Consiglio provinciale.

martedì 16 marzo 2010

Da Trani un pericolo per lo Stato di diritto

Ho l'impressione che, al di là degli aspetti più propriamente politici, ci sia in giro una grave sottovalutazione di quanto è successo nella Procura di Trani, Tran come la chiamano i pugliesi. È probabile che ciò dipenda dal clima elettorale, ma sottovalutazione è. Soprattutto per un aspetto, le 18 intercettazioni del presidente del Consiglio, che danno il senso dello stravolgimento della Costituzione avvenuto ad opera di un pubblico ministero. Proprio di quella Costituzione che è in bocca di chi di giorno grida per la sua salvezza e di notte la mina alle fondamenta.
Vorrei ricordare che la Carta sancisce come “senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento” può essere arrestato o perquisito e che “analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni”. Tanto meno possono esserlo i membri del governo, per la semplice considerazione che ogni ministro è detentore di informazioni in linea di principio riservate. Penso a colloqui riguardanti la sicurezza dello Stato o delicate questioni economiche.
Le intercettazioni di cui si parla su tutti i giornali è di conversazioni private che persino ex magistrati come Casson ritengono penalmente irrilevanti e che al massimo rappresentano lo sfogo di uno dei milioni di cittadini irritati per l'uso partigiano che giornalisti alla Santoro fanno di uno strumento pubblico come la Rai. Sfogo che, comunque sia, non ha prodotto effetti. In definitiva si tratta, se davvero il fatto è capitato, di un comportamento. Temo, tutti dovremmo temere, il giorno in cui i magistrati dovessero occuparsi dei comportamenti anziché dei reati: sarebbe la fine dello stato di diritto e l'inizio dello stato etico.
Immaginate che cosa potrebbe succedere, con questo brutto andazzo, il giorno in cui un pm poco scrupoloso dovesse intercettare una comunicazione fra un diplomatico, per qualsiasi motivo sospettato di un qualcosa, e il ministro degli Esteri. La gran parte dei pubblici ministeri è scrupolosa nella propria attività, ne sono sicuro, e chi lo è non solo avrebbe avuto il dovere di distruggere la registrazione di quella conversazione riservata e magari vitale, ma avrebbe impedito ad ogni costo che dai suoi uffici uscissero sia testi trascritti sia la stessa notizia che intercettazione c'è stata. Se, puta caso, trovasse in ciò che dice il diplomatico una qualche notizia di reato, su questo indagherebbe e non tirerebbe in ballo il ministro e certamente non senza aver chiesto l'autorizzazione al Parlamento e senza essersi chiesto se sia competente a continuare la sua indagine.
È chiaro a tutti, credo, che cosa succederebbe se quella conversazione, invece di essere distrutta per le sue parti penalmente irrilevanti, approdasse sulle scrivanie di un qualche giornale. Ciò, purtroppo, è successo a Trani. Si è impunemente, almeno finora, intercettato il presidente del Consiglio su bagatelle, ma avrebbe potuto succedere su cose rilevanti per gli affari di governo della Repubblica. Quando i costituenti hanno previsto la non intercettabilità, senza autorizzazione, dei parlamentari e, a maggior ragione, dei membri del governo certamente non avevano in mente la deriva che avrebbe assunto il sistema di intercettazioni a tappeto, da vero stato di polizia. Ma avevano in mente che chi governa e chi legifera devono potersi scambiare notizie sensibili sia per gli affari di stato sia per la riservatezza di privati cittadini. È ciò che, per esempio, succede anche a me quando esercito la mia funzione di indagine e di ispezione su fatti riguardanti un cittadino o un gruppo di essi.
Quel che è successo e sta succedendo nella cittadina pugliese mi rende ancor più convinto di quanto lo fossi prima che è urgente regolare in maniera ferrea l'attività di chi per mezzo delle intercettazioni è in grado di incidere pesantemente sulla vita democratica. Sia nei suoi aspetti politici, sia, ancor di più, nei suoi aspetti sociali.

lunedì 15 marzo 2010

Furtei e le vittime dell'inganno dorato

Io spero vivamente che il governo regionale trovi le risorse necessarie a metter riparo ad un altro dei danni combinati nel passato dal centrosinistra. Disinnescare la “bomba ecologica di Santu Miali”, come è chiamato il bacino lasciato in eredità a Furtei non senza rispetto della realtà, è qualcosa che è dovuto non solo e non tanto alla quarantina di disoccupati, ma all'intera Sardegna.
Ancor più delle foto pubblicate in internet e sui giornali, una visita al laghetto di Santu Miali dà il segno della incoscienza con cui negli anni della giunta Palomba fu accettata l'apertura della miniera “d'oro” di Furtei. Non si poteva chiedere certo ai disoccupati della zona di informarsi su che cosa comportasse quella miniera in fatto di sconquasso ambientale e, soprattutto, in fatto di inquinamento. Ma il governo sardo che l'accettò, esso sì aveva l'obbligo di saperlo e di accertarlo. O non lo fece o non vigilò. Resta il fatto che lanciò nel futuro un ordigno pronto a scoppiare e ad avvelenare acque e terre.
Oggi siamo tutti solidali con gli operai di Furtei che rivendicano al proprio senso di responsabilità il controllo del lago avvelenato e che chiedono di poter essere essi a bonificarlo. Solidarietà piena e incondizionata. Ma nessuno può far finta di credere che quanto sta succedendo sia senza responsabilità precise. Rendersene conto e prenderne coscienza non serve solo a condannare gli apprendisti stregoni dei tempi passati, serve, soprattutto, a non ripetere qui ed altrove l'errore del voler accettare tutto ciò che promettono quelle che il grande poeta sardo Ciccitto Masala chiamò “fabbriche bugiarde”.

sabato 13 marzo 2010

Non criticate i faziosi: c'è chi potrebbe farvela pagare

Il Pd manifesta oggi, alla corte di Di Pietro, per il rispetto delle regole in democrazia. Ce ne è motivo, eccome. Bersani finge di prendersela con un decreto interpretativo della legge elettorale (come si è visto ininfluente sulle prossime elezioni regionali) che renda trasparenti i meccanismi di deposito delle liste, sottraendoli all'arbitrio di chiunque, cancellieri e giudici compresi. In realtà, il Pd ha in mente altro: il rispetto, per dire, della regola che impedisce ad un pm di utilizzare le intercettazioni di un capo di governo, senza la preventiva autorizzazione del Parlamento. È una norma della Costituzione, dettata più dal buon senso che dalla necessità di tutelare un parlamentare e di sottrarlo ai ghiribizzi di un magistrato. Ma anche la regola secondo cui gli uffici di una Procura devono tenere per loro e assolutamente segreti atti istruttori, per di più ancora agli inizi e anche quella secondo cui un pm che non ha competenza a indagare, si spoglia dell'inchiesta e la spedisce alla procura competente.
Sono convinto che Bersani abbia in testa questo rispetto delle regole per la sua protesta ospitata da quel integerrimo tutore delle “regole che gli fanno comodo” che è l'ex pm Di Pietro, eletto maitre à penser del Pd. Il suo mentore, tanto per esemplificare, è uno strenuo difensore della libertà di stampa quando pensa al suo programma di riferimento Annozero, ma solo di quella, perché vorrebbe cacciare “a pedate nel sedere” uno che, come il direttore del TG1, la pensa diversamente.
Questo, naturalmente, se davvero Bersani e il Pd tenessero alle regole e alle leggi, cose che, come si sa, in una certa cultura politica si rispettano solo se fruttano consensi: tra la rivoluzione e la verità – fu un motto di quella cultura – si sceglie sempre la rivoluzione. Eppure, il pm in questione o non ha rispettato le regole o non ha vigilato sul loro rispetto. Nei suoi uffici a Trani si sa benissimo che una intercettazione in cui compare un capo di governo o un parlamentare può essere usata a fini penali solo dietro autorizzazione del Parlamento, come ho dettoi. Lo si sa, ma prima che il procuratore della Repubblica autorizzi la trasmissione al Parlamento e prima che questo decida, passerebbero ben più dei quattordici giorni che ci separano dalle elezioni regionali.
Sarebbe inutile, troppo tempo ci vorrebbe perché la notizia bomba (“indagato Berlusconi”) abbia l'effetto voluto. Ed ecco, allora, che il testo delle intercettazioni (completo o parziale, chi lo sa?) approda sulle scrivanie di un giornalaccio scandalistico, tanto specializzato nel ventilare fango sul nemico da aver rimproverato Santoro di essere troppo e inutilmente “imparziale”. Nessuno sa, oggi, che consistenza abbiano quelle intercettazioni. E nessuno sa ancora se un giudice terzo considererà reato dire, in una telefonata privata, che della livida faziosità di Annozero se ne ha le scatole piene. Spero proprio di no, perché non vorrei che finissimo nei guai io e milioni di persone che la pensano allo stesso modo e che, a volte, lo dicono per telefono ai propri amici.

giovedì 11 marzo 2010

Quando si fanno buone leggi e sono ignorate

Leggendo la stampa e ascoltando i telegiornali, si ha una visione nera dell'attività parlamentare e più in generale di quella politica, in cui accadono solo contrasti e risse verbali. Questo costume, criticato più volte sia dal Papa sia dal presidente Napolitano, fa sì che i cittadini ignorino quanto di buono e di grandemente utile succede per la modernizzazione della società.
Non vorrei sbagliare, ma mi pare che nessuno abbia parlato della approvazione quasi unanime (due soli astenuti) avvenuta avantieri alla Camera della legge sulle cure palliative e sulle terapie del dolore. Si è trattato del voto definitivo sulla proposta che io avevo presentato al Senato e che è stata unificata con altre due avanzate da colleghi senatori. Il mio ddl era nato dopo una serrata consultazione delle categorie interessate e di giovani non laureati. L'Italia diventa, così, il primo stato a dotarsi di una legge che garantisce le cure palliative anche ai bambini e fra i pochi che abbiano norme tanto avanzate.
Obiettivo della legge è quello di creare una rete di hospice e strutture, partendo da quelle già esistenti sul territorio. Nel provvedimento, inoltre, vi sono importanti novità per la prescrizione dei farmaci antidolore, tra cui gli oppiacei: i medicinali diventano più facili da prescrivere e il ricettario ordinario prende il posto di quello speciale per oppioidi e cannabinoidi.
Credo sia chiara a tutti l'importanza sociale di questa legge, per assicurare dignità e lenimento delle sofferenze ai malati di cancro e di altre malattie particolarmente dolorose. Rappresenta sicuramente un ulteriore passo in avanti della sanità e della tutela della salute in Italia, già all'avanguardia nel mondo, se solo si pensa alle condizioni esistenti nel paese più avanzato dell'Occidente. E se solo si pensa alla battaglia che il presidente Obama conduce per arrivare a qualcosa che somigli alla situazione italiana.
Chi fa politica al bar o con proclami mediatici, tesi l'una e gli altri, a dipingere uno Stato allo sfascio, non gioirà certamente della dimostrazione del contrario. Ma temo troverà nella insensibilità dei mass media un prezioso alleato nell'opera di sfascismo condotta con incosciente disinvoltura. Questi irresponsabili presentano alla comunità internazionale una società malata pensando, così, di lucrare qualche voto in chi non conosce la realtà delle cose semplicemente perché non ne è informato.

mercoledì 10 marzo 2010

Garantista sempre, soprattutto con l'avversario

Neppure per un momento ho avuto la tentazione di vestire i panni di un giustizialista, difronte alla condanna del mio amico e avversario Graziano Milia. Il presidente della Provincia di Cagliari è stato ieri condannato per abuso di ufficio che, secondo i giudici della Corte d'appello, avrebbe commesso quando era sindaco di Quartu.
Non ho mai pensato, voglio dire, di utilizzare questa condanna nella prossima campagna elettorale che sta per cominciare in vista del rinnovo del Consiglio provinciale. Ma mi chiedo, e chiedo ai giustizialisti quale sarà il loro atteggiamento davanti a questa condanna. Si arruoleranno, per l'occasione, nell'armata dei garantisti, quelli che come me ritengono innocente chi non sia stato condannato nei tre gradi di giudizio, o insisteranno nelle loro voglia di giustizia sommaria, sempre agitata come una bandiera contro il nemico?
I precedenti depongono a favore di quest'ultima soluzione: chi ha gridato “Mai con De Luca, il plurinquisito” candidato Pd alla presidenza della Regione Campania, non ha avuto difficoltà a voltare gabbana e ad appoggiarlo con entusiasmo. Milia, insomma, credo possa contare sulla vocazione di Di Pietro allo strabismo e al giusitizialismo secondo convenienza. L'unica cosa che potrebbe temere è, semmai, la sete di potere di gente così: guai se si dovesse accorgere che la delegittimazione di Milia potrebbe aprire la strada a un candidato presidente fedele all'Idv.
Per quanto mi riguarda, lo ripeto, Milia non è colpevole perché condannato in uno dei tre gradi di giudizio. Le sue responsabilità sono altre e di ordine politico: quelle di avere amministrato molto male la Provincia di Cagliari. Del resto, i sondaggi fatti per conto del centrodestra e del centrosinistra, conosciuti credo anche da Milia, bocciano l'operato della Provincia di Cagliari alla quale si contesta assenza dai problemi reali dei cittadini e inadeguatezza.
I sondaggi contano quel contano in termini di cifre assolute, ma danno il segno di quale sia il pensiero dell'opinione pubblica. Graziano Milia è un amico personale ma anche un avversario politico al quale non farò sconti, soprattutto se dovessi esser candidato alla Presidenza della Provincia. Ripeto, per me, e così dovrebbe essere per tutte le persone civili, Milia è innocente e lo sarà fino a quando non dovesse essere condannato in tutti i tre gradi di giudizio. Durante la prossima campagna elettorale lo combatterò, ma sempre e solo politicamente, mai umanamente.

sabato 6 marzo 2010

La democrazia è salva, ma c'è chi nutre tentazioni golpiste

Quando qualcuno invoca l'intervento dei militari in questioni prettamente politiche dimostra come i propri riferimenti culturali siano gentaglia come Pinochet, Videla, i colonnelli greci. Se poi l'intervento delle forze armate viene invocato per rovesciare un decreto del governo (secondo me giusto, ma il discorso non cambierebbe se fosse sbagliato), firmato dal garante della Costituzione, diventa chiaro che il colpo di stato è nell'orizzonte politico di quel qualcuno. Antonio Di Pietro, lo avete capito.
Ormai, però, il capo dei giustizialisti è diventata una macchietta della politica, pericoloso ed eversore, ma pur sempre una caricatura dell'uomo politico. Quel che sconcerta è la reazione del Pd, il secondo partito dello Stato. Una reazione che, al di là del richiamo al rispetto delle norme, pare piuttosto quella, rabbiosa, di chi si vede sfuggire una vittoria quasi sicura per assenza di avversari sul campo di gioco. E mica una vittoria da poco: nella capitale della Repubblica e nella regione più ricca.
Chi ha seguito la vicenda della presentazione delle due liste, a Milano e a Roma, sa che la decisione del governo di varare un decreto interpretativo non è stata semplice né avventata, vista la costante consultazione con il presidente della Repubblica che ha firmato dopo che, con tutta evidenza, il governo ha accolto i suoi rilievi. C'erano in ballo due questioni di enorme portata: la prima è il rispetto delle regole, la seconda il diritto dei cittadini non solo a votare ma anche a poter scegliere. Entrambi principi di rilievo costituzionale, entrati in conflitto per ragioni sulle quali nessuno può con leggerezza esprimere certezze. Dilettantismo? Parzialità degli uffici? Pressioni fisiche?
Un giorno sapremo che cosa davvero è successo e allora avremo gli strumenti per giudicare e, se il caso, intervenire, anche con leggi che nel futuro evitino pagine simili, sintomo di debolezza degli strumenti e/o degli organi della democrazia italiana. Nell'immediato era necessario ripristinare la democrazia che consiste, direi soprattutto, nel permettere ai cittadini di scegliere programmi e donne e uomini chiamati ad attuarli. Io non so se, come dicono gli amici della Lombardia, la corte d'appello di Milano abbia usato due pesi e due misure davanti alle lista del Pdl e a quelle del Pd. Formigoni afferma che le prove ci sono e sono palesi. Anche questo sarà verificato, visto che esistono per fortuna giudici terzi. Ma il solo fatto che il comportamento della corte di appello abbia dato adito al sospetto di parzialità avrebbe dovuto indurre il Pd a prudenza e, soprattutto, al rispetto della decisione del presidente della Repubblica di firmare un decreto che ha il merito di aver riaperto le porte ad un corretto e democratico esercizio del diritto al voto di 14 milioni di cittadini.
Un'ultima considerazione: che cosa possiamo dire ai tanti giovani sardi della Brigata Sassari impiegati in Afghanistan e in altri teatri di guerra, aii giovani che rischiano la vita per difendere la libertà, la democrazia e il diritto degli afghani a scegliere con il voto chi li governerà? Come facciamo a raccontare loro che in Italia valgono più la burocrazia della democrazia?

Il valore simbolico dell'Asinara occupata dagli operai

L'occupazione dell'Asinara da parte di lavoratori della Vinyls, con i quali sono solidale non da ora, ha certo una valenza sindacale per la difesa di un posto di lavoro a rischio. Ne ha anche una simbolica credo di notevole importanza. I venti cassintegrati non hanno contotto la loro protesta dentro una fabbrica, su una strada, in un porto o in un aeroporto, luoghi classici delle manifestazioni dei lavoratori in agitazione. La stanno conducendo in un luogo, un parco naturale, che è in sé l'immagine di un progetto di sviluppo alternativo a quello fondato sulla industria chimica, per di più in crisi.
Un cassintegrato della Vinyls ha detto a uno degli operai dell'Alcoa andati all'Asinara per esprimere solidarietà: “All’occupazione non è seguita neppure una riga di solidarietà” da parte dei sindacati. Si vede che “sanno come questa partita andrà a finire”. Può darsi che abbia ragione quel lavoratore e che i sindacati non se la sentano di dare false speranze ai 130 della Vinyls. Ma continuo a credere che, sullo sfondo del mancato appoggio, ci sia una presa d'atto che i sindacati, non solo loro certo, ma sicuramente anche loro, hanno per anni difeso un modello di sviluppo insostenibile, anche quando era chiara ed inevitabile la sua crisi. E non hanno spinto se stessi e la politica verso soluzioni diverse dal modello ormai agonizzante.
All'Asinara, proclamata isola dei cassintegrati, è in atto, pur con molte difficoltà, uno sviluppo diverso, fondato sull'utilizzo dell'ambiente per creare economia e occupazione. Un luogo di pena e di patimenti è oggi meta di turismo, lì vi lavorano ex pastori oggi forestali, vi sono e vi saranno attività tese a rendere fruibile l'isola. Insomma, economia, ambiente e occupazione vi convivono e con più forza vi potranno convivere una volta (ma questo è un altro discorso) che saranno un ricordo la burocrazia e gli ideologismi che stanno dietro al modo in cui il Parco fu concepito.
Io non so se i venti cassintegrati oggi sull'isola abbiano avuto consapevolezza della simbologia della loro pacifica occupazione, so che c'è ed è forte.

giovedì 4 marzo 2010

Pale eoliche: non c'è un contrario più contrario degli altri

Concordo con quanto ha detto il presidente Cappellacci circa la minacciata installazione di un muro di pale eoliche nel Golfo degli Angeli: “Su queste battaglie dobbiamo essere uniti. Non si può far finta di non sentire per innescare una disputa senza senso per dimostrare chi è più contrario alle pale off-shore”. Si tratta di una questione che riguarda tutta la Sardegna, non questo o quello schieramento, questo o quell'oppositore alla maggioranza che governa l'Isola.
Esistono meccanismi legali e istituzionali da usare per rendere impossibile agli speculatori di fare il buono e il cattivo tempo, fidando su un dato per oggi incontrovertibile: il mare prospiciente la Sardegna è demanio dello Stato ed è a questo che, chi vuole, si rivolge per chiedere e ottenere le autorizzazioni necessarie. Chi ha seguito e segue le discussioni di questi giorni, sa quante proposte siano state avanzate per resistere alla decisione dei cosiddetti “signori del vento”.
Probabilmente, sarà in una di queste proposte che, nell'immediato, sarà possibile allontanare il pericolo di guasti per l'ambiente e per la sostanza stessa dell'autonomia speciale della Sardegna. Però, vorrei che tutti avessimo piena consapevolezza del fatto che, come già è successo nel Sinis, così giochiamo in difesa e non esercitiamo un potere. Tutti dovremmo sapere che il problema vero, in questo e in moltissimi altri casi, sta, insomma, nella Carta di competenze e di poteri che si chiama Statuto speciale.
Siamo tutti in ritardo, tanto più grave quanto più complessi sono i problemi che ci pone la mondializzazione dell'economia in tutti i suoi aspetti, compreso quello dell'urgenza di studiare una fuoriuscita dalla dipendenza dal petrolio verso le fonti di energia rinnovabili. In questa complessità due sono le alternative: essere governati dall'esterno o autogovernarsi. Nella proposta di Nuovo Statuto elaborata dall'apposito Comitato, che io ho fatto mia e presentata al Senato (il quale l'ha inviata al Consiglio regionale per il parere), le questioni dell'autogoverno sono centrali.
Non solo questa vicenda del mostruoso muro di pale eoliche davanti al mare, ma sicuramente anche questa vicenda, vi trova una soluzione congrua, rispettosa della unità della Repubblica e dei diritti storici del popolo sardo. Se questa proposta non va, in tutto o in parte, se ne contrapponga un'altra, ma subito. La questione delle pale eoliche in mezzo al mare, che sta turbando tutti, è lì a dimostrare che un Nuovo Statuto di autonomia speciale non è lo sfizio di un ristretto gruppo di intellettuali.

lunedì 1 marzo 2010

Non tutto, per fortuna, è odio e disprezzo

Seguo con interesse, per quanto il lavoro me ne lasci il tempo, blog e siti di amici e avversari, soprattutto questi ultimi, perché sono in grado di fornirmi spunti importanti di riflessione sull'altra faccia della medaglia. Fra questi siti, confesso, quello che più frequento è il forum di Irs per la capacità che ha di offrirmi elementi di conoscenza di un mondo che, normalmente, sfugge alla contrapposizione destra/sinistra, quella che meglio conosco.
Dico “normalmente”, perché, come nel caso che mi ha sfiorato per via della intercettazione di una telefonata personale e non politica, alcuni dei partecipanti al forum si sono lasciati andare a giudizi personali e politici che ripercorrono le strade del più vieto giustizialismo dipietrista che, naturalmente, non metto in conto. Vorrei segnalare – lo avrei fatto direttamente nel forum se mi fosse stato consentito di partecipare – invece due commenti improntati alla civiltà. Il primo è di un membro dell'esecutivo del movimento, Omar Onnis un cui intervento ho avuto il piacere di ospitare nel settembre dell'anno scorso. “iRS non odia e non disprezza nessuno, come Movimento. Non fa parte dei nostri principi” scrive in risposta a chi invece mi odia e disprezza.
L'altro è di Daniele Addis, che qui spesso ha scritto da fiero ma corretto avversario, il quale ha fatto conoscere ai suoi amici quale fosse la mia versione dei fatti (di cui conoscevano solo quella inutilmente insinuante di un giornale). E oggi ha scritto: “Io, ripeto, questa cosa continuo a vederla poco chiara: non conosco fisicamente quella zona di Cagliari e non sono riuscito a reperire l'accordo di programma tra regione, comune e privati del 2000, almeno per avere una base da cui partire.
“Dall'intercettazione tra Cualbu e Massidda emerge che l'imprenditore stava facendo pressioni affiché il tutto si risolvesse in modo a lui favorevole. HA offerto un appartamento a Massidda a prezzi favorevoli, ma non se ne è fatto niente (a quanto pare). Il collegamento tra la telefonata e quello che ha scritto sul blog 2 mesi dopo mi sembra abbastanza una forzatura e oltretutto lui e la sua parte politica quella posizione su Tuvixeddu l'hanno sempre avuta. Seguire la sinistra italiana e attaccarsi alle intercettazioni per accusare l'avversario non porta a niente. La posizione ufficiale del PDL, credo, è che si debba rispettare l'accordo del 2000 e quella va criticata nel merito.
Partendo da questo si deve dimostrare inequivocabilmente, o quasi, che quel progetto distruggerebbe gran parte del patrimonio archeologico.
Domando: È dimostrato inequivocabilmente che Cualbu sta costruendo sulle o eccessivamente vicino alle tombe? Prima di approvare il progetto l'area destinata a Cualbu è stata controllata da esperti (sia del comune-regione che indipendenti) per verificare che sotto non ci fossero dei reperti o altre tombe?
In ultimo il centro sinistra, dopo aver attaccato Maninchedda, presenta una proposta identica alla sua: l'acquisto dei terreni da parte della regione
!"
Ci sono imprecisioni (nessuno ha fatto pressioni su di me, tanto meno risulta dalla intercettazione), ma quel che mi interessa segnalare, è che, quanto meno, si possa essere in contrasto di opinioni, nel rispetto reciproco.