lunedì 12 luglio 2010

Se un colonnello della Finanza rispetta e ama il sardo

“Casteddu - Sos militares de su G.I.C.O. de su Nùcleu de Politzia Tributària de sa Guàrdia de Finàntzia ant secuestradu prus de 10 chilos de cocaina e arrestadu a sos 7 cumponentes de s'organizatzione criminale italoibèrica. Sa droga fiat cuada...”. È uno dei comunicati stampa in sardo firmati dal colonnello Giovanni Casadidio, comandante della Guardia di finanza di Sassari, da ieri trasferito a Bergamo. Quasi quotidianamente, il colonnello “Domodedeus” ha per molto tempo ha dato informazioni bilingui ai giornali e ai siti di tutta la Sardegna, parlando della attività dei suoi uomini.
Non era, come purtroppo a volte è stata colta, una maniera folcloristica e pittoresca di comunicare con i media e, attraverso loro, con i cittadini. Ma, molto più semplicemente, la presa di coscienza che viveva e operava in una società bilingue, nella quale entrambe le lingue usate dai cittadini hanno pari dignità e pari diritto di essere usate non solo come lessico familiare, ma anche come lessico ufficiale. Quel che è apparso a molti, a troppi, un atto rivoluzionario e curioso, è stato semplicemente una presa d'atto che una legge dello Stato, la 482, riconosce al sardo lo status di “lingua di minoranza storica” (lingua di minoranza nazionale la chiama più propriamente la Convenzione europea sulle lingue) da tutelare.
Ho esitato nel passato a parlare dell'iniziativa del colonnello per non correre il pericolo di strascinarlo nella molto provinciale temperie politica di questa nostra Sardegna in cui tutto è a rischio di strumentalità. Ma ha perfettamente ragione, il colonnello Casadidio: “La Sardegna può piacere o meno a chi qui è nato; i sardi di adozione la amano invece in maniera particolare” ha detto salutando. Ed ha concluso come concludeva i suoi comunicati: “Forza Paris e Salude e trigu”.
Da quando ha cominciato ad emanare i suoi comunicati bilingui, prendendo atto che esiste una lingua amministrativa scelta dalla Regione, questa ha scelto per scrivere. Non so se condividesse la scelta della Regione, se la trovasse perfetta o perfettibile, ma dai fatti si capisce che una cosa gli è stata chiara: la lingua di una minoranza storica, quando è scritta e soprattutto quando è usata da una amministrazione, è una.
Una lezione che, sono sicuro, Casadidio si è guardato bene da voler dare a chicchessia, ma che è nelle cose, nella pratica del fare.

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