La decisione dell'Agcom di escludere programmaticamente le tv locali nei primi nove pulsanti del telecomando del digitale ha ricevuto la reazione che meritava. Sono del tutto d'accordo con i colleghi parlamentari che, in queste settimane, condotto la battaglia per ridurre alla ragione l'Agenzia per le garanzie nelle comunicazioni, Agcom, appunto. Per ora hanno vinto l'arroganza e la burocrazia che, anche ai livelli alti di una Autorità, mostra di saper agire solo fuori del buon senso.
Pur avendo condiviso fin dall'inizio la battaglia, ho preferito non sovrapporre la mia alle voci di chi per primi hanno sollevato la questione. Che è molto semplice, nella sua ottusità: l'Agcom ha deciso di far programmare i telecomandi della tv digitale, assegnando i primi 9 posti – quelli immediatamente raggiungibili con un solo click – alle televisioni a diffusione statale. Naturalmente, ci mancherebbe anche questo, l'Agcom non impedisce ai cittadini di riprogrammare il loro telecomando, assegnando i pulsanti alle tv preferite, quelle sarde nel nostro caso. Ma la cosa è complicata e non di facile comprensione per chi ha scarsa dimestichezza con la tecnologia. E si tratta, comunque, di un atto di imperio, in quanto tale intollerabile.
Tecnologia e arroganza a parte, c'è un aspetto che a me riesce ancor più insopportabile, perché da conto della distanza esistente fra l'ottusità burocratica e la cultura federalista che si sta sviluppando nella Repubblica e che ha, o dovrebbe avere, il massimo rispetto delle minoranze. Ecco come l'Agcom descrive la formazione della sua decisione: “Al fine di verificare attitudini e preferenze del pubblico è stato inoltre effettuato un sondaggio condotto da una società specializzata, che ha evidenziato, nella sintonizzazione dei canali del sistema digitale, la prevalenza nelle prime posizioni del telecomando (numeri da 1 a 9) delle emittenti televisive nazionali ex analogiche. Ciò conferma la correttezza dell’ipotesi posta in consultazione, in merito alla quale si sono dichiarate favorevoli le principali associazioni delle emittenti”.
In poche parole, l'Agenzia ha fatto prevalere le abitudini della grande maggioranza degli utenti della Penisola, escludendo le preferenze di grandi minoranze come quella sarda che, fra l'altro, essendo circondata dal mare non avrebbe potuto ledere le scelte della maggioranza. È come se l'Autorità avesse chiesto ai 60 milioni di italiani se (tanto per non parlare sempre di Sardegna) preferissero l'uso dell'italiano o del tedesco parlato in Sud Tirolo. Spetterebbe ai sudtirolesi decidere quale lingua usare nella loro regione, non vi pare? L'ottusità burocratica non sarebbe d'accordo: troppo complicato. E così, mutatis mutandi, è successo in questa vicenda, dimostrando che più che un ufficio di garanzia, l'Agcom è agenzia per la complicazione delle cose semplici.
È in gioco, qui davvero, la libertà e il pluralismo dell'informazione, un pluralismo che in Sardegna si chiama anche e soprattutto difesa dell'identità del popolo sardo. Fa perciò impressione il silenzio, appena rotto da qualche frettolosa presa di posizione, adottato dal sindacato dei giornalisti, molto impegnato e ideologicamente indignato in una difesa di casta a difesa dell'abuso nelle intercettazioni e distratto quando si tratta di battersi per il diritto dei cittadini ad essere informati, possibilmente al di fuori del pensiero unico.
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