sabato 28 marzo 2009

Dalla crisi industriale una nuova idea di sviluppo

Sullo stesso quotidiano, nelle cronache dal Sulcis, sono comparse qualche giorno fa due notizie che danno il senso della complessità e contraddittorietà della situazione economica e occupativa di quella regione della Sardegna. L’una riguarda il disastro industriale a cui non possiamo né vogliamo abituarci; l’altra riguarda il successo economico e occupazionale di una piccola industria alimentare a cui, invece, vorremmo poter fare l’abitudine.
Ho detto e scritto più volte che un ceto politico e classi dirigenti che si rispettino hanno il dovere di battersi con tutte le forze per salvare tutto ciò che è salvabile dell’industria nata nei decenni passati in maniera scriteriata. I lavoratori non devono pagare con la disoccupazione e le famiglie con la disperazione scelte fatte in un clima di ubriacatura industrialista, più ideologica che economica. La legge finanziaria proposta dal governo regionale di Ugo Cappellacci va in questo senso e non è senza motivo che le parti sociali sarde abbiano apprezzato l’impostazione data dall’amico Giorgio La Spisa.
Ma è l’altra notizia che impone una riflessione attenta sul futuro possibile modello di sviluppo dell’economia e dell’occupazione nel Sulcis e, in genere, in tutta la Sardegna. Riguarda due imprenditori sulcitani che con il loro pastificio hanno non solo “sfondato” nel mercato internazionale con i loro prodotti ma hanno assicurato a sedici persone un posto di lavoro. La Sardegna è piena di piccoli e medi imprenditori che, fondando la loro attività sull’utilizzo delle risorse locali, assicurano reddito e occupazione a migliaia di persone.
Sono imprese che pesano in maniera contenuta sulla bolletta energetica della Sardegna e dell’intera Repubblica, non inquinano, pagano nell’Isola le tasse e le imposte, non hanno bisogno di investimenti pubblici di enormi dimensioni, contribuiscono a creare un sistema economico non dipendente e comunque interedipendente. Il sillogismo dell’ex ministro dell’Ulivo Bersani: l’Italia è un Paese industriale, la Sardegna è in Italia, ergo la Sardegna deve reindustrializzarsi non solo sconta lo scarso amore della sinistra per l’Autonomia sarda, rappresenta la ripetizione (molto ideologica) dell’errore.
Certo non sarà facile coniugare la strenua difesa dell’esistente con la progettazione di un nuovo modello di sviluppo economico. Ma la posta in gioco merita gli sforzi che in questa direzione vanno fatti.

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