venerdì 21 agosto 2009

Patto di cittadinanza sì, ma anche patto fra diverse nazionalità

Il presidente della Camera ha lanciato in un suo articolo la necessità di “rilanciare un patto di cittadinanza fra gli italiani”. Quello di Gianfranco Fini è, ovviamente, un intervento assai più articolato di quanto possa far pensare una singola frase, ma è questa che mi suggerisce più di altre qualche considerazione che spero utile a un dibattito. Credo un buon titolo della discussione possa essere “Patto di cittadinanza fra gli italiani nel rispetto delle nazionalità degli italiani”. Tanto per segnalare che è utile a tutti e all'unità della Repubblica riconoscere che una cosa è la cittadinanza, altra cosa è la nazionalità.
Una paura di origine giacobina, di cui si è preda a sinistra come a destra come al centro, nega fino alla mistificazione la possibilità che all'interno dello stesso Stato possano convivere nazionalità diverse (e insieme ad esse le rispettive lingue e dialetti). Ma è un paura che ha solo fondamenti ideologici, tant'è che stati di origine non giacobina come la Spagna e l'Inghilterra non solo non hanno timore di riconoscere nazionalità diverse al loro interno, ma le promuovono. In Spagna esistono anche le nazionalità catalana, basca, gallega, nel Regno unito quelle scozzese, irlandese, gallese.
In Italia esiste, insieme ad altre, la nazionalità sarda. Fino a non molto tempo fa, quando ad essere egemone era la cultura giacobina della sinistra e di suoi inconsapevoli alleati “egemonizzati”, il riconosimento della nazionalità sarda era patrimonio di non molti intellettuali, pochi dei quali indipendentisti, che hanno dato il via ad un dibattito culturale di grande rilievo, pur se osteggiati dalla gran parte della politica social-comunista. In realtà, questi intellettuali interpretavano un sentimento molto diffuso fra i sardi che pure hanno sempre votato, all'80-85 per cento, per partiti per niente indipendentisti o separatisti.
Da tempo, l'espressione “nazione sarda” è entrata nel lessico della politica che, è onesto riconoscerlo, su questo si è dimostrata capace di interpretare il sentimento della maggioranza dei sardi molto di più e meglio dei ceti intellettuali e sociali dipendenti, per cultura e per rendita di posizione, dallo statalismo e dal quella “idea di Patria – come scrive Fini – dalle degenerazioni nazionalistiche e razziste che hanno funestato la storia del Novecento”. La cosa singolare, sia detto per inciso, è che gran parte di quei ceti intellettuali rifiutavano il concetto di “nazione sarda” non in nome della Patria (che anzi li infastidiva) ma di quello di un internazionalismo variamente coniugato: proletario, cosmopolita, antilocalistico, etc.
Dicevo dell'ingresso di “nazione sarda” nel lessico della politica e del governo. Se ne parla nel programma con cui Ugo Cappellacci ha vinto le elezioni e poi in due suoi alti discorsi per Sa die de sa Sardigna e per il Sessantesimo del Consiglio regionale, ne ha parlato più volte la presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo. Ne parlano nella loro proposta di nuovo Statuto speciale intellettuali come Francesco Cesare Casula, Gianfranco Pintore, Mario Carboni, Gherardo Gherardini, Massimo Delogu, Rita Dedola e molti altri. Hanno sottoscritto questa impostazione tutti i capigruppo del centro destra nella passata legislatura insieme a deputati e senatori. Io stesso ho condiviso questa Carta de Logu nova de sa Natzione sarda che ho presentato in Senato come disegno di legge.
Nessuno di noi è separatista né vuole la rottura dell'unità della Repubblica: “La Regione autonoma è parte della Repubblica Italiana e dell’Unione Europea” è sancito nella proposta di Statuto”. Questo per dire che non esiste alcuna contraddizione fra l'essere di nazionalità sarda e di cittadinanza italiana, fra l'essere parte della Nazione sarda ed esser parte della Repubblica italiana. Solo un vecchio e obsoleto nazionalismo negatore delle diversità può pensare che “un patto di cittadinanza fra gli italiani” debba comportare l'annullamento delle diversità nazionali. Sì, dunque, al patto proposto da Gianfranco Fini, purché contempli le diversità che, del resto, il cammino intrapreso verso uno stato federale inevitabilmente dovrà promuovere. Con saggezza ma senza paure ottocentesche.

4 commenti:

Daniele Addis ha detto...

La Sardegna è una nazione; i sardi sono un popolo dotato di storia a cultura proprie; il sardo è una lingua che con l'italiano ha poco a che fare (non piú di francese o spagnolo); la Sardegna è un'isola pressoché equidistante da Italia, Francia, Nord Africa e Spagna.

Come si giustifica allora l'appartenenza della Sardegna allo stato italiano per di piú in dondizione subordinata?

piergiorgio massidda ha detto...

Caro Addis,

le potrei rispondere con il prof Casula che, in realtà, è l'Italia ad appartenere alla Sardegna e che comunque è appartenuta al Regno di Sardegna fino al 17 marzo 1861, quando lo stato sardo cambiò il nome in italiano. Ma vorrei ribadirle quel che ho scritto e che sollecita la sua domanda: l'appartenenza ad uno stato esula dalla condizione nostra di nazionalità. Resto dell'idea che di questo dobbiamo rivendicare, con un nuovo Statuto, il riconoscimento come chiave di volta per autogovernarci.

Anonimo ha detto...

Scommetto che ha letto il sito di Pintore ehe! Un saluto. Bomboi Adriano

Daniele Addis ha detto...

" la Sardegna non presenta quasi nessun altro vantaggio per il principe (di Savoia) che quello di procurargli il titolo di re". (La storia di Sardegna di F.C.Casula)

Vede, senatore, che il Regno d'Italia sia nominalmente un'emanazione del Regno di Sardegna nulla toglie al fatto che Sardegna e Italia costituiscano due entità culturalmente, linguisticamente e geograficamente distinte.

Io non troverei la cosa logica e giusta nemmeno se i rapporti di forza fossero invertiti, cioè se effettivamente fosse l'Italia ad appartenere alla Sardegna perché rimarrebbero sempre e comunque entità culturalmente, linguisticamente e geograficamente distinte.
I casi di Catalogna e Scozia sono diversi perché lì diverse nazionalità condividono uno stesso territorio, il che avvantaggia non poco la convivenza all'interno di un unico Stato (sempre che siano riconosciuti i diritti delle diverse nazionalità). Se il fatto di essere entità geografica separata e distinta dal resto dello stato contasse poco o nulla da questo punto di vista probabilmente Irlanda (più vicina all'Inghilterra di quanto non lo sia la Sardegna all'Italia) e Malta farebbero ancora parte del Regno Unito, invece sono stati indipendenti.

Il fatto che il riconoscimento debba passare dall'approvazione del governo è umiliante per chi si definisce nazione; se poi l'appartenenza ad uno stato esulasse dalla condizione di nazionalità il progetto dell'Europa unita sarebbe realtà già da tempo e non troverebbe tante difficoltà.

Cardiali saluti,

Daniele