La mia adesione a su Comitadu pro sa limba sarda ha suscitato reazioni positive e negative su questo blog e nella mia pagina su Facebook, come è naturale e giusto che sia. Sul blog ho risposto a “Claudio” e a Antonimaria Pala che ho ringraziato per l’apprezzamento dato alla mia adesione.
Ci sono, in Facebook, insieme a valutazioni positive una serie di considerazioni che partono da timori comprensibili, ma a mio parere non fondati, sulle sorti della lingua italiana. L’italiano vive, è vero, un processo di anglicizzazione spesso inutile, quasi sempre frutto di mode esterofile molto provinciali e assai poco cosmopolite. Ma come pensare che responsabile di questo processo sia la lingua sarda? Le due lingue, l’italiano e il sardo, non dovrebbero mai essere considerate antagoniste, anche se è la seconda ad aver subito per secoli un assalto ingiustificabile da parte della prima. Tant’è che la Costituzione italiana, nel suo articolo 6, s’impegna a tutelare le lingue di minoranza (compreso il sardo) come riparazione ai torti da esse subiti sia durante il fascismo sia nei decenni precedenti. Vero è che questa previsione costituzionale ha dovuto attendere mezzo secolo per essere attuata, ma ora lo è.
Dicevo dei timori di alcuni miei interlocutori, come quello di chi invita a insegnare meglio l’italiano prima del sardo. Francamente non capisco questa gerarchia di lingue: il cervello riesce, per nostra fortuna, a imparare una grande quantità di lingue e le dispone sullo stesso piano. Conosco giovani che insieme all’italiano parlano correntemente il sardo, l’inglese, lo spagnolo, l’arabo, il francese e passano dall’una lingua all’altra con assoluta naturalezza, senza sentirsi abitante di una Torre di Babele e rifuggendo dall’idea di un’unica lingua massificante. Usare una lingua che, come dice una gentile interlocutrice, ci unisca nel Mondo è, del resto, un desiderio suicida, visto che la realizzazione di questo sogno comporterebbe la scomparsa anche dell’italiano, parlato si e no da centomilioni di persone contro i miliardi che usano l’inglese. Molto più giusto conoscere l’inglese e insieme a questa lingua internazionale tutte le lingue possibili, compresi il sardo e l’italiano.
“I dialetti per me rimangono dialetti... ma non una lingua” dice un’altra signora. Mi verrebbe di rispondere con il linguista secondo cui “una lingua è un dialetto con alle spalle un esercito”, per significare che quasi sempre nella storia dell’umanità un “dialetto” è diventato “lingua” non per ragioni interne alla parlata ma per ragioni di potere. Ma c’è, per fortuna, qualcosa di meno greve a definire lo status di una lingua. Quella sarda lo è perché tale la sente il 90 per cento dei sardi (inchiesta sociolinguistica delle Università di Cagliari e di Sassari) e perché la comunità scientifica la definisce lingua neolatina, fra l’altro cugina dell’italiano. D’altra parte è noto a tutti che i sardi sono considerati quelli che meglio parlano l’italiano come capita a chi deve imparare una lingua diversa dalla propria.
Due ultime considerazioni, suggerite dagli amici che mi hanno onorato del loro interesse. La prima: in Sardegna si parlano cinque lingue autoctone, il sardo, il gallurese, il tabarchino, il sassarese, il catalano d’Alghero e, per quanto riguarda il sardo, molte varietà, pressoché una per paese. Sono una enorme ricchezza che va tutelata, promossa, aiutata a radicarsi. Ognuna di queste parlate locali è degna di essere parlata, scritta e normalizzata. E insegnata a scuola, anche per contenere la dispersione scolastica tipica delle aree a bilinguismo negato o osteggiato.
La seconda: il fatto che la lingua sarda sia una non impedisce (ci mancherebbe altro) che ciascuno di noi parli il dialetto del proprio paese o della propria città, il cagliaritano i cagliaritani, l’iglesiente a Iglesias, il laconese a Laconi, il bittese a Bitti e così via. Senza forzature e incrostazioni di obblighi, come suggerisce un altro amico, ma con spontaneità. E, mi si permetta l’aggiunta, con studio.
3 commenti:
iscusidi onerevoli,
deu apu çeti nau ca est cosa bona torra custu comitau. ma apu nau ca est sa centesima borta ca si fait una cosa de aici. no furries is fueddus cumenti oleis.
apu puru nau ca bosatrus dapeis essi is primus a imperai su sardu in totue. e fustei sighit a chistioni e a scriri in italianu.apu nau puru ca su dinai ca su guvernu ca est cussu de fustei est pagu meda, est pagu meda torra, una tera borta.
apu çeti nau ca s'idea est nobili, nobili cumenti cussas de doxi annus fait. toccat a da poi in pratica, a d'imperai su sardu no a çeti a si preni sa 'ucca...
claudio
La gerarchia di lingue è un'idiozia concettuale che lo stato italiano ha perpetuato per costringere i sardi (e non solo) ad abbandonare la propria lingua a vantaggio della loro.
La Repubblica è riuscita lì dove il fascismo aveva fallito. Il tentativo di repressione dei fascismi infatti non è riuscito ad intaccare l'orgoglio locale che ha tutelato la propria lingua; la Repubblica invece, attraverso gli insegnanti (erano solo degli ingenui strumenti nel suo piano criminale) ha usato il terrorismo psicologico: quante maestre buone e premurose hanno "consigliato" ai genitori di parlare in italiano ai propri figli con la scusa che il sardo li avrebbe danneggiati. Hanno fatto passare il messaggio che la conoscenza di un'altra lingua sarebbe stato un danno, un handicap, non una ricchezza. Si diceva che l'italiano era importante, mentre il sardo non serviva. Questo messaggio si è rivelato oltremodo controproducente anche per l'apprendimento di altre lingue come l'inglese, lo spagnolo o il francese... a noi serve solo l'italiano, le altre lingue sono un ostacolo all'apprendimento della lingua pura. Ora che il danno è stato fatto si cerca di rimediare, ma si fa finta di ignorarne le cause.
La considerazione secondo cui la conoscenza della lingua sarda danneggerebbe la conoscenza di quella italiana non è altro che una superstizione basata su una interpretazione errata della situazione linguistica attuale e dei decenni scorsi.
Statisticamente chi parla correntemente il sardo ha più problemi con la lingua italiana, questo è un dato di fatto, ma ciò è dovuto semplicemente al fatto che la lingua di cultura a livello scolastico sia l' italiano.
Tecnicamente parlando gli stessi problemi dovrebbe crearli l' apprendimento dell' inglese e/o del francese: è evidente che non sia così.
In realtà è vero l' esatto contrario: insegnare contemporaneamente lingua sarda ed italiana porterebbe ad un MIGLIORAMENTO della lingua italiana parlata in Sardegna, abituando gli alunni al confronto tra i due diversi codici e diminuendo i frammischiamenti tra un codice e l' altro che costituiscono un danno per entrambe le lingue.
Posta un commento