domenica 9 agosto 2009

Crisi: senza un nuovo Statuto, vano pensare a soluzioni permanenti

Nel suo editoriale domenicale, il direttore dell’Unione sarda fa una analisi implacabile della crisi economica che ci attanaglia e delle responsabilità della politica, lenta nel pensare e nell’agire. Un’accusa, questa, che ha valore se rivolta all’intera classe dirigente sarda e quindi sì alla politica, ma anche ai sindacati, agli imprenditori, alla cultura, alle amministrazioni locali, altrimenti rischia di ridursi a una invettiva, cosa che sicuramente Paolo Figus non aveva in mente. La politica ha il dovere di governare i processi, ma in una società complessa come la nostra, in questi processi è coinvolta tutta la classe dirigente, con i suoi legittimi interessi fra di loro contrastanti.
Leggo altrove, per esempio, che in Gallura la sinistra sta capeggiando un “no” alla centrale del gasdotto che dovrà lì dovrà essere fatta. Non dico che il “il fronte del no” non possa essere, alla fine, indotto a dire “sì” e ad abbandonare l’idea del no nel mio giardino. Ma sarebbe ingeneroso addebitare alla politica di governo ritardi, maggiori prezzi, rallentamento nella crescita dell’occupazione. La difesa ideologica della chimica, la non disponibilità a prendere atto della sua crisi internazionale, la poca propensione a elaborare da subito un modello di sviluppo che renda il meno dolorosa possibile la fuoriuscita dal presente modello industriale, sono responsabilità della sola politica?
Ma mi interessa, nell’editoriale di Figus (che per altro largamente condivido) un aspetto che trovo inquietante e che mi ricorda l’eterno ritornello economicista di una cultura politica che, credo, non appartiene al direttore dell’Unione: alle riforme non economiche si potrà pensare solo dopo che siano risolte le questioni economiche. Come non ricordare i tempi del dibattito sulla Rinascita, largamente egemonizzato dalla sinistra socialcomunista e democristiana, quando lo sviluppo economico era condizionato alla messa in mora della identità sarda e delle leggi per il suo radicamento?
Potrei continuare a lungo, mostrando come, a mio parere, sia l’intera classe dirigente ad essere coinvolta. Prendersela con la politica di governo, che ha molte responsabilità ma non tutte, è una troppo facile soluzione. Il problema vero è che la società sarda e le sue classi dirigenti non hanno, dato lo Statuto vigente, tutte le competenze e i poteri necessari ad affrontare e risolvere le questioni economiche, sociali, culturali che la presente crisi pone e che porranno le crisi avvenire.
Scrive il direttore dell’Unione sarda: “In questi giorni, tra le altre cose, abbiamo anche sentito parlare di questioni legate all'autodeterminazione dei sardi, alla possibilità di fare da soli. Parole sante, giuste, firmate dal presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo. [...] di quale autodeterminazione possono parlare i poveri? Raramente le disquisizioni teoriche e la filosofia hanno dato da mangiare ai disoccupati”. Eccola qui la questione, mutuata da un vetusto economicismo. Ma quelli della capacità e possibilità dei sardi di autodeterminarsi non sono un ragionare di filosofia e un abbandonarsi a “disquisizioni teoriche”. Ma cose che “danno da mangiare ai disoccupati”.
Disegnare un quadro costituzionale entro cui i problemi economici e sociali trovino gli strumenti giusti per essere affrontati e risolti è l’unica maniera per non essere in balia degli eventi economici. Tutti si aspettano regali dalla propria lista di nozze, ma senza nozze, è chiaro, nessun regalo. La metafora di un importante politico europeo si applica bene al rapporto che esiste fra i benefici economici e sociali e un nuovo quadro costituzionale per la Sardegna: senza il secondo è quasi inutile sperare nei primi. Altro che filosofeggiare. A meno che qualcuno, ma non mi pare questo il senso dell’editoriale di Figus, non fondi tutto sulla speranza che lo Stato sia generoso e magnanimo con noi.

7 commenti:

Daniele Addis ha detto...

Ah, il benaltrismo ha assunto oramai le dimensioni di una pandemia. Oramai non si può parlare di niente che subito trovi chi ti rimprovera di non considerare "problemi ben più gravi" evitando accuratamente di confutare quanto da te espresso. Ecco che quindi il direttore dell'Unità non dice che dare maggiori poteri e responsabilità (che si possono riassumere in libertà) ai sardi sia sbagliato, dice solo che esistono problemi ben più gravi, di queste quisquilie si potrà parlare più in là. Esiste sempre un problema più grande per cui la risoluzione del più piccolo può essere rinviata... ho visto che sul web questo atteggiamento è oramai la norma per attaccare a destra e a manca il "nemico" di turno senza confutarne gli argomenti. Il giornalismo italiano è maestro in questo.

Per quanto riguarda il nuovo statuto di autonomia c'è una cosa che continuo a non capire: se ne parla tanto, gli inviti arrivano da pià parti (Lombardo, sindacati, MPA, PD, PDL), ma si continua a non fare nulla... perché? Cosa si sta aspettando se sono tutti d'accordo? Si parla di elezioni dell'assemblea costituente, cosa si aspetta per mettere in moto la macchina organizzativa?
Io sono indipendentista, ma di certo non metterò i bastoni tra le ruote a chi agisce nel senso di dare maggiori libertà al popolo sardo. Continuerò anche a non capire come una libertà "limitata" possa essere meglio di una libertà piena e completa, ma spero comunque che riusciate a dare ai sardi questo "assaggio" confindando nella bontà del detto "l'appetito vien mangiando".

Saluti

Anonimo ha detto...

Onorevole,
Vado fuori tema ma sono rimasto molto (ma molto) colpito dalle dichiarazioni riportate dull'Unione Sarda di oggi 12 agosto 2009 (http://giornaleonline.unionesarda.ilsole24ore.com/Articolo.aspx?Data=20090812&Categ=2&Voce=1&IdArticolo=2371978) a proposito di nucleare e di eventuale necessità di compromessi.
A rilasciare queste dichiarazioni è lo stesso onorevole Massidda che il 10 luglio scorso in questo stesso blog diceva che in Sardegna non ci sarebbe stato spazio per il nucleare? Forse mi sfugge qualcosa, sinceramente pensavo avesse dato la sua parola quel giorno.
Saluti,
Piero Fancello

Daniele Addis ha detto...

«Nessuno vuole il pericolo atomico sotto casa. Su questo non ci piove, Purtroppo, però, in certe situazioni bisogna fare dei compromessi»

A questo punto un bravo giornalista avrebbe chiesto cosa si intenda per "compromessi"... visto che il giornalista dell'Unione Sarda non l'ha fatto lo faccio io: Senatore, a quali "compromessi" fa riferimento?

Anonimo ha detto...

E' positivo Senatore che si inizi a ritenere la riforma dello Statuto regionale come un concreto passaggio per il trasferimento di competenze amministrative con cui dotare l'isola di maggiore sovranità e quindi campo di manovra in merito di programmazione economica. Cosa banalissima (persino non lontano da noi, in Catalogna) che evidentemente all'editorialista del quotidiano non è passata per la testa datosi che si è fermato al solo ambito culturale, denotando così parziale competenza nella materia che con l'articolo intedeva trattare. Purtroppo sul resto, non posso che unirmi ai dubbi di Addis e Fancello su comportamenti e dichiarazioni che spesso appaiono contrastanti se non addirittura paradossali. Tra le risposte del 12 agosto poste al giornalista nell'Unione Sarda vi è pure quella di vedere una pianificazione economica nell'auspicare l'intervento sul passaggio di Cagliari. Non so se questo sia tra le priorità dell'isola o se debba rientrare tra le opere urgenti da fare per limare il gap infrastrutturale, ma spero che alzi la voce anche con i suoi colleghi per avviare seriamente un nuovo processo di revisione statutaria dell'isola. Bisognerà pur passare alla prova dei fatti. - Bomboi Adriano

piergiorgio massidda ha detto...

Non ho affatto cambiato idea sul nuclerare in Sardegna: ero e sono dell'idea che "In Sardegna non c'è posto per il nucleare. Punto e basta", come ho scritto su questo blog il 10 luglio, ma anche precedentemente.
Nell'oltre un'ora di chiacchierata con il giornalista dell'Unione, in merito al nucleare ho parlato di "compromesso" in questi termini (cito naturalmente a memoria):
Se vogliamo continuare a sviluppare industrie a grande consumo di energia, dobbiamo sapere che di molta energia abbiamo bisogno. E allora non si può continuare a dire no all'energia eolica perché le pale deturpano il paesaggio; no all'installazione della centrale che consente il passaggio del gas dalla Sardegna al Continente; no al carbone perché inquina; no alle centrali solari perché occupano troppo spazio.
Va bene dire no al nucleare, ma qualche sì dovremo pur dirlo. Ecco il "compromesso" di cui parlavo e che il giornalista ha reso in forma molto sintetica.

Davide Corda ha detto...

Io dico sì alle centrali solari: per lo spazio si utilizza il poligono di Quirra e per finanziarle una parte dei 10 miliardi che lo Stato italiano deve alla Sardegna.
Troppo complicato o troppo ardito per farlo presente in Senato, signor Massidda?

Anonimo ha detto...

Gentile Senatore Massidda, ritengo doveroso ringraziarla per i chiarimenti relativi alla questione "nucleare", inerente il servizio giornalistico dell'unione sarda.
Anche il sottoscritto, come altri nel forum di irs aveva interpretato (senza malafede) il contenuto dell'intervista come un suo “riposizionamento” in merito alla possibilità “centrali nucleari” in Sardegna.
Del resto la sua risposta alla domanda del giornalista: Ma quali sono le alternative all'industria?
«L'industria paga il dazio dell'energia. Io non chiuderei le porte in faccia al nucleare», ha contribuito non poco al “fraintendimento”.
Non sono pregiudizialmente contrario alle altre fonti di energia, sopratutto rinnovabili, da lei menzionate, purché siano concepite e realizzate nel nostro interesse, per le nostre esigenze, possibilmente dalle nostre maestranze, secondo criteri irrinunciabili di: sicurezza; razionalità; compatibilità (ambientale, paesaggistica, sanitaria ed economica); ecc..............

Saluti
Marco Pinna