L'idea del ministro dell'Agricoltura, Luca Zaia, di affidare a giovani agricoltori le terre demaniali dello Stato non è per niente male. Tanto non è male che anche noi in Sardegna potremmo farci un pensiero, naturalmente con la prudenza suggerita dal fatto che nella nostra Isola esistono vastissime estensioni di terre comunitarie regolate da usi e costumi millenari e che molte di esse sono protette da usi civici. Questi diritti costituzionali delle comunità sono stati sospesi, con l'accordo delle popolazioni, per dar modo alla Forestale di creare cantieri di rimboschimento che occupano molte centinaia di persone e, a volte, lo sono stati per affidare le terre a cooperative locali.
A queste aree si aggiungono quelle di proprietà del Demanio regionale, anch'esse interessate a lavori di forestazione e di conservazione. Questo per dire che non è facile prevedere in Sardegna quel processo di occupazione di giovani nel Demanio regionale che ha ispirato la proposta del ministro Zaia. Non facile, ma non impossibile, visto che niente vieta la coesistenza sugli stessi terreni di attività forestali e attività agricole. Del resto, nelle foreste demaniali il pascolo è consentito.
Quel che è, però, più interessante è la disponibilità di molti giovani ad occuparsi nuovamente di agricoltura, anche lasciando posti di lavoro e reinventadosi un nuovo mestiere, secondo quanto risulta da diverse inchieste giornalistiche. Segno che la sbronza industrialista sta lentamente passando, pur se è difficilissimo capire con quale velocità o lentezza. Da noi, le terre comunali (tali non perché delle amministrazioni comunali, ma perché delle comunità) sono prevalentemente sulle montagne, poco interessate alla privatizzazione perfetta successiva all'Editto delle Chiudende o difese da insurrezioni popolari. Nel passato furono utilizzate dai pastori che, salvo non molti casi, ne sono fuggiti principalmente per due ordini di motivi: il primo riguarda l'enorme disagio non commisurato al reddito che vi si poteva produrre; il secondo riguarda un eccesso di protezionismo ambientale che ha impedito anche le minime trasformazioni che, senza deturpare l'ambiente, avrebbero consentito condizioni di lavoro più umane.
Un ripristino non invasivo delle strade di penetrazione, una elettrificazione anch'essa non invasiva degli ovili e delle altre attività possibili sui monti, la cattura delle acque, il riconoscimento del plusvalore della qualità dei prodotti, insieme alla incentivazione al ritorno sui monti di giovani con buone idee progettuali, tutto questo produrrebbe, ne sono convinto, non solo nuovi redditi ma anche una riantropizzazione dei nostri monti. Una giusta miscela di tutela ambientale, presenza umana, possibilità di produzioni pregiate e redditi potrebbe dare ai nostri monti, quasi tutti beni comunitari o demaniali, la caratteristica di produttori di prosperità.
1 commento:
Quelli in agricoltura sono lavori di fatica. Credo che sia questo il principale ostacolo per i giovani d'oggi. Sono poco avvezzi al sacrificio.
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