Confesso di provare una fastidiosa sensazione di trovarmi davanti a luoghi comuni e a frasi fatte, quanto sento parlare di “federalismo egoista” e del suo contrario “federalismo solidale”. Come tutti gli stereotipi, esibiti come se fossero il riflesso logico della Verità, anche questi sono orticanti. Lontani come siamo dalla ripresa piena dell'attività politica e della conseguente ripresa della polemica dei “solidaristi”, forse è il caso di ragionarci su, senza richiami alle certezze assolute.
Intendiamoci, nessun con buon senso può pensare ad una organizzazione della Repubblica in cui le entità economicamente più forti e demograficamente più consistenti facciano carne di porco delle entità più deboli. Del resto, neppure i rapporti fra stati all'interno dell'Europa sono improntati a una concezione tanto aberrante. Esistono meccanismi per cui la ricca Germania non si può disinteressare della più povera Lituania, senza che questo comporti per l'Europa il gravame dell'appellativo “solidarista” che una cultura politica comunista ha trasformato da pratica religiosa, individuale e collettiva, in ideologia politica.
Esistono, anche all'interno della legge sul federalismo fiscale, meccanismi che vanno naturalmente sperimentati ma che sono in grado di assicurare una equità di base alle parti del nuovo stato federale che si va lentamente creando. Sta a queste parti utilizzare con intelligenza le condizioni di base e le loro potenzialità per far sì che le nuove competenze federali creino ricchezza; e spetta alle loro classi dirigenti complessivamente intese, la politica, la sindacale, l'imprenditoriale, la culturale, l'amministrativa, di trasformarsi da dipendenti in capaci di autogoverno.
Per quanto riguarda la nostra Terra, il federalismo già alle viste e quello che risulterà da un profondo rinnovamento del nostro Statuto possono essere un'occasione straordinaria per la screscita economica, sociale e culturale della Sardegna. Si tratta, fondamentalmente, di aggredire il paradosso per cui un'isola appena più piccola della Sicilia e con un quarto di abitanti supera appena di un migliaio di euro annui pro capite il Pil dell'isola più grande. Nessuno di noi può dire di aver fatto tutto il possibile per sconfiggere quel paradosso, pur se tutti noi possiamo accampare la giustificazione che la Sardegna, intesa come entità istituzionale, non ha avuto tutti i poteri e le competenze necessari ad incidere con forza sulle cause dell'arretratezza.
Adesso attraverso la legge sul federalismo e, poi, attraverso un nuovo Statuto coraggioso e rispettoso del patto costituzionale ci avviciniamo al momento in cui non avremo più scuse. La sconfitta del clientelismo e dell'assistenzialismo dovrà essere la prima dimostrazione che la Sardegna è capace di contare sulle proprie forze, sotto la protezione non di un paternalistico solidarismo ma di leggi costituzionali, prima fra tutta quella di approvazione della carta costituzionale sarda che saremo capaci di darci.
1 commento:
Noto, forse con ritardo, che nel suo nuovo sito web, accanto al testo che riprende questo post, campeggia l'albero verde.
Il simbolo è ripreso nella stilizzazione di iRS a sua volta ricalcata su una delle tante esistenti. Nondimeno, si tratta di un emblema con un significato chiaro e univoco: indipendenza nazionale dei sardi. È appunto quella che le fonti catalane, nel corso della lunga guerra contro i sardi giudicali, chiamavano "la bandiera dei sardi".
L'accostamento a concetti come autonomia e federalismo è perciò una notevole forzatura, se non proprio un totale fraintendimento. O forse si tratta di un semplice errore.
Glielo segnalo per correttezza storica e politica, in modo che possa riconsiderarne l'uso, ovvero dare le giuste spiegazioni a chi la segue e corre il rischio di confondere principi e prospettive politiche alquanto distanti.
Distinti saluti,
Omar Onnis
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