mercoledì 22 aprile 2009

Porto Torres: lo Stato non può essere sempre la soluzione

L’Eni afferma di aver riallineato al mercato i prezzi delle materie prime, l’imprenditore trevigiano che ha rilevato il Petrolchimico di Porto Torres sostiene che questi nuovi prezzi sono per lui insostenibili. E la questione della grande fabbrica chimica ritorna drammaticamente all’ordine del giorno della politica e, soprattutto, dei dipendenti e delle loro famiglie. Lo spettro della disoccupazione e della desertificazione industriale si agita di nuovo, insomma, sul nord della nostra Isola.
Il governo italiano e la giunta regionale faranno tutto il possibile per evitare questa sciagura. Sanno entrambi che sullo sfondo del rimpallo di responsabilità ci sono esseri umani che non solo non vogliono rassegnarsi a un futuro di disoccupazione, ma che non portano alcuna responsabilità di scelte politiche errate. La scelta di una monocultura petrolchimica non era ineluttabile. A renderla possibile e poi reale concorse un dannoso impasto di ideologia industrialista, estremismo operaista, debolezza autonomista delle nostre classi dirigenti, di tutte, non solo di quella politica. E, a ombrello di tutto questo, la insana idea che lo Stato potesse per sempre sostituirsi al mercato.
Secondo i vertici dell’Eni (che ha quasi raddoppiato il prezzo del dicloretano usato anche a Porto Torres) questa decisione era inevitabile visto che il prezzo all’epoca concordato con l’ex proprietario della fabbrica, era frutto di un accordo “politico” e non economico. Chi, come una parte del centrosinistra e del sindacato ad esso vicino, va oggi dicendo che va rilanciata la chimica in Sardegna, gioca con i sentimenti e le speranze di migliaia di persone.
Se anche la politica dovesse allontanare nell’immediato il disastro di Porto Torres, le ragioni del mercato non sarebbero per questo vinte. Ci sono strumenti economici, come la Zona franca, che avrebbero potuto favorire l’abbattimento di molti costi industriali. “Sarebbe un regalo fatto ai padroni” tuonava il Pci contro il progetto di Zona franca che negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso interessò tutta la società sarda. E anche il passato governo regionale, che pure aveva la possibilità di creare nove Zone franche, non fece alcunché di serio in questa direzione.
In questo lungo periodo di crisi del Petrolchimico di Porto Torres, i promotori della mobilitazione popolare, sacrosanta naturalmente e alla quale ho aderito con convinzione, si sono limitati a chiedere l’intervento dello Stato e del Governo. Non vorrei avessero la convinzione che il Governo potesse ritagliare questa fetta di Sardegna dai meccanismi del mercato. E magari ripetere, antistoricamente, le scelte che intorno agli anni Settanta furono fatte a Porto Torres, ad Assemini, a Ottana e Bolotana, nel Sarcidano, nella Valle del Sologo.

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