martedì 1 dicembre 2009

Assemblea del popolo sardo: un buon inizio anche se...

Forse c'è stato un surplus di enfasi nel definire “Assemblea del popolo sardo” quella che si è svolta ieri a Cagliari. Ma l'iniziativa di tre dei sindacati sardi, Cgil, Cisl e Uil, costituisce una svolta importante per l'aver saputo legare strettamente i temi del lavoro e dello sviluppo economico a quelli della riforma istituzionale più rilevante: quella dello Statuto speciale. E di questa svolta si deve dare atto ai tre sindacati.
Di fronte a ciò, diventa piccola cosa la contestazione scatenata da un gruppetto per l'assenza del presidente della Regione a letto con l'influenza, fischi che, invece, stando al titolo in prima pagina su un quotidiano, sarebbero l'avvenimento principale. Misteri del giornalismo militante. La coscienza che chiave di volta del possibile sviluppo sia la riscrittura dello Statuto, scontata per me, non lo è per tutti. Sia all'interno dei partiti sia all'interno delle forze sociali sia dentro il mondo della cultura sarda, assente non so se perché non invitato o se perché da troppo tempo si è estraniato dal dibattito sullo Statuto e da quello sui temi dell'identità.
Sintomo di questa assenza è, a ben vedere, lo scarso rilievo che i media hanno dato ai contenuti dell'assemblea, preferendo sottolineare i momenti di frizione (i fischi a Cappellacci e la protesta della presidente del Consiglio perché il parlamento sardo non è stato coinvolto) a quelli della unitarietà dei propositi riformatori. È come se, nei media ma anche altrove, non si comprenda a pieno la presa di distanza dei sindacati dall'economicismo quale unico contenitore dei processi sociali.
Fatto sta che la “Assemblea del popolo sardo” è stato un momento alto di proposizione di un cammino istituzionale, economico e sociale. Non solo, ma anche di rivendicazione del ruolo che il popolo sardo deve avere nella riscrittura della nostra carta fondamentale. Una riscrittura, si è sentito spesso dire, e non una semplice perifrasi dello Statuto esistente, fatta con qualche aggiustatina qua e là. Le fondamenta per un dibattito che coinvolga il popolo sardo e il suo Parlamento, a cui spetta l'ultima parola, sono state poste. A proposito del nostro Parlamento capisco e condivido le preoccupazioni espresse dalla presidente Lombardo: è stato un grave errore escludere dall'assemblea la massima istituzione della Sardegna anche per la considerazione che ad essa spetterà approvare lo Statuto.
Tutti abbiamo la consapevolezza che questo dibattito non sarà facile né piano: troppi conservatorismi politici, sindacali, culturali si sono messi e si metteranno di traverso. C'è un giacobinismo politico che permea la politica, ma ce ne è anche sindacale, accademico, imprenditoriale, culturale di quanti temono che uno Statuto davvero speciale comporti l'abbattimento di inutili sacche di centralismo. Non si può essere autonomi dallo Stato se poi ad una sua concezione centralista si voglia far ricorso per conservare privilegi e stereotipi organizzativi.
Il tempo ci dirà quanto si vorrà davvero per un nuovo Statuto. Quanto nel dibattito che si vuole aprire nel e con il popolo sardo, prevarranno la voglia di novità o il sicuro riparo della conservazione o anche il gattopardismo. Il problema è che non abbiamo moltissimo tempo e che rischiamo di dover subire uno Statuto concesso dallo Stato anziché conquistarcene uno a nostra misura.

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