domenica 6 dicembre 2009

Giovanni Pusceddu: come fondare lo sviluppo sulla cultura

Mentre altrove, si pensava come inserire il proprio paese nella catena dello “sviluppo industriale” costasse quel che costasse, il sindaco di Villanovaforru pensava a come rendere la cultura e l'identità motore di un altro tipo di sviluppo economico. Ieri Giovanni Pusceddu se ne è andato, una trentina di anni dopo che il suo paese, destinato allo spopolamento, al degrado e a un lenta agonia, ha ripreso a vivere e a svilupparsi, grazie a un complesso nuragico di straordinaria bellezza.
Chi ha conosciuto Villanovaforru agli inizi degli anni Settanta, prima che il grande nuraghe di Genna Mara fosse stato scavato, stenta a riconoscerlo oggi, con il suo Museo, i suoi ristoranti, l'albergo, i B&B. E con attività, come il laboratorio di restauro, che allora, quando il paese perdeva censimento dopo censimento un centinaio di abitanti non erano pensabili. Quel che pareva una inarrestabile emorragia si è bloccata e da vent'anni il numero degli abitanti è stabile. Migliaia di visitatori del nuraghe e del Museo (e degli altri beni culturali del paese) portano ora ricchezza e occasioni di lavoro.
Questa intuizione di Giovanni Pusceddu e soprattutto i risultati dati dagli investimenti su cultura e identità hanno lentamente contagiato un'altra ventina di paesi, consorziati nell'altra sua creatura: Sa corona arrubina”. I risultati di questa volontà di puntare sulla cultura per innescare crescita economica stanno, per esempio, nei 150 mila visitatori della mostra sui dinosauri, e poi quelli che hanno visitato le mostre successive: sui pittori spagnoli, Leonardo, gli egiziani, i precolombiani, gli etruschi, i mammut.
Ecco un esempio di quanto da tempo vado sostenendo su questo blog: abbiamo bisogno di un modello di sviluppo diverso da quello fino ad oggi conosciuto nella nostra Isola. Certo sarebbe puerile cercare di copiare l'esempio di Villanovaforru e, che so?, ripetere questo schema ovunque esistano emergenze archeologiche. L'esempio di Pusceddu va colto nel suo significato più profondo: la Sardegna è terra di mille occasioni di sviluppo economico fondato sulla sua peculiarità. Sta alla nostra intelligenza farle emergere ed utilizzare sia nel campo del turismo culturale sia in quello della organizzazione dell'industria intorno alle nostre risorse, particolarmente quelle agroalimentari.
La grande crisi che ha colto in pieno l'industrializzazione della Sardegna, con la miriade di drammi individuali che vanno trasformandosi in dramma collettivo, non ci consente di pensare che i governi sardo e dello Stato, e insieme ad essi l'Europa, possano da un momento all'altro tirar fuori una bacchetta magica. Sta ad essi impedire la desertificazione industriale della Sardegna, con la riconversione e, soprattutto, con la salvezza dei posti di lavoro esistenti. A tutti noi, nel massimo di unità possibile, batterci perché ciò avvenga, ma contemporaneamente spetta mettere in moto tutte le nostre intelligenze per fare in modo che lo sviluppo futuro sia autocentrato, fundato cioè sulle nostre risorse ambientali, culturali, linguistiche e umane.

Nella foto: il complesso di Genna Mara

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