giovedì 17 dicembre 2009

Una lucida follia politica che spinge alla violenza

“Sì alla politica, No alla violenza” è il titolo dell'incontro che ho organizzato per sabato prossimo nel THotel di Cagliari, in via dei Giudicati. Cominciamo alle 9.30 e al dibattito parteciperanno il presidente della Regione Ugo Cappellacci e il magistrato Mario Marchetti, oltre a me.
C'è un urgente bisogno, soprattutto dopo l'aggressione subita da Silvio Berlusconi, di guardarci in faccia, cittadini, politici, magistrati, giornalisti non solo per chiederci perché si sia arrivati a questo punto di degrado, ma soprattutto per capire come uscire da questa spirale che sembra incontrollabile. Che sia un dovere della politica arrestarla ed uscire dal processo di imbarbarimento è ovvio ed urgente. Ma è un dovere anche dei cittadini contribuire al contrasto dei preoccupanti segni di barbarie che si sono visti in Internet subito dopo il ferimento del presidente del Consiglio. Si è cominciato con l'apologia dell'aggressione, si è continuato con l'invito a fare una sottoscrizione per assoldare un killer e queste istigazioni hanno suscitato reazioni altrettanto becere con dichiarazioni di odio nei confronti di Di Pietro fino a chiedere la firma sotto un proclama astioso contro i sardi conterranei di Tartaglia. Una spirale che neppure l'amministratore di Facebook può bloccare se non con la cancellazione dei messaggi più violenti. Né basta, a salvare la coscienza individuale, il dire che siamo tutti vittime del clima avvelenato.
È proprio questo clima che va bonificato. C'è chi, come l'ambasciatore Sergio Romano, facendo proprio il senso più profondo degli appelli del presidente della Repubblica, afferma che è necessario non chiedersi chi ha cominciato ma decidere interrompere istantaneamente l'escalation della violenza verbale. Personalmente sono d'accordo: fermiamoci prima che sia troppo tardi. E cominciamo dalle reciproche legittimazioni, dal riconoscimento che la minoranza ha il diritto di opporsi e la maggioranza diritto di governare.
Ci sono, in giro, barlumi di risipiscenza nell'incontro fra Silvio Lai e Ugo Cappellacci, ce ne sono nella visita di Bersani a Berlusconi. Ho già scritto su questo blog che dalla Sardegna potrebbe partire un benefico contaggio per la politica italiana e bisogna lavorare seriamente perché ciò avvenga.
C'è, però, un problema, per ora di limitate dimensioni ma destinato a crescere con la chiamata a raccolta nel futuro, come è capitato altrove in Europa, degli istinti forcaioli che purtroppo ancora perdurano in alcuni strati della popolazione. Istinti che trovano nelle parole di Antonio Di Pietro un terreno di coltura e, al contrario, in quelle di Napolitano un inopportuno richiamo a ragionare con la mente e non con i visceri. Ieri mi è capitato di sentire Di Pietro evocare due periodi della storia non solo italiana: la Sacra alleanza e il Comitato di liberazione nazionale.
Immaginando che il capo del giustizialismo conosca bene ciò che evoca, credo egli sappia bene che la Santa Alleanza passa per essere il momento più importante della restaurazione del potere assoluto. E credo, anche, che sappia come il Cnl sia stato il governo della società italiana uscita dalla Resistenza al fascismo e al nazismo. Temo che egli sia assolutamente cosciente del senso delle sue parole e che voglia da un lato, con la Santa Alleanza, restaurare il potere suo e di quanti considera suoi pari, e dall'altro, con un Comitato di liberazione nazionale, guidare una guerra contro il nemico. Martedì fa ho citato il preoccupante accostamento, fatto da un giornalista del gruppo editoriale La Repubblica-L'Espresso, fra l'aggressione a Berlusconi e l'incendio del Reichstad che, com'è noto, aprì la strada al nazismo. Un ottimo terreno, questo del pericolo nazista, per innescare una guerra di liberazione.
Siamo, si comprende, ad una pericolosa e lucida follia politica. Questa sì da contrastare con una alleanza fra le forze politiche democratiche che, al di là dei contrasti legittimi, contrastino la deriva dipietrista, violenta al momento solo a parole, ma non si sa fino a quando. E' bene che chi crede alla democrazia non sottovaluti questo pericolo.

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