Antonio Di Pietro è dunque indagato per una brutta storia di truffa e, come tutti gli indagati, la prima cosa che ha detto è che è tranquillo, che la cosa è stata chiarita e che comunque la chiarirà ai magistrati. Perfetto e sacrosanto; non ostante il principe dei giustizialisti non se lo meriti, il mio garantismo arriva ad augurargli che sia così e che convinca i magistrati oltre ai suoi fans.
Mi resta una qualche curiosità da soddisfare: chi chiede dimissioni ad ogni avviso di garanzia, chi non manifesta dubbi sul fatto che un uomo politico non debba neppur essere sfiorato dal sospetto, ecco uno così ha pensato di dimettersi, non dico da deputato e da leader di partito, ma almeno da capo condominio? So che è una domanda retorica: chi ha fatto del tagliar teste la ragione della propria vita non ama sentirsi ricordare che anche lui ha una testa. Diventa nervoso come quando qualcuno parla di corda in casa dell'impiccato. Tanto nervoso da annunciare querela contro il suo vecchio compagno di partito che lo accusa di aver dirottato soldi provenienti dal finanziamento pubblico dei partiti.
Che caduta di stile. Uno come lui, galantuomo e innocente per definizione, quasi una tautologia dell'uomo probo, querelare qualcuno anziché rimettersi ai giudici. Che mondo curioso quello del giustizialismo: innalza forche su forche e teme che l'ombra di una lo possa sfiorare. Buona fortuna, on De Pietro.
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