Ci sono aspetti, nel trasferimento dei beni demaniali dallo Stato alla Regione, che riguardano il puntuale rispetto dello Statuto sardo e sono stati, opportunamente, ricordati in tutti gli schieramenti politici. Anche i “doni” (che poi doni non sono, ma tardivo riconoscimento di un diritto) devono essere regolati secondo il nostro Statuto che, all'articolo 14, sancisce: “La Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo”. Questo articolo, sostengono giustamente i vari schieramenti ha bisogno di norme attuative, che non ci sono.
C'è però, in molte reazioni e non solo in Sardegna, un aspetto in cui si intrecciano paure strumentali e statolatria. Delle prime vale solo la pena di dire che sono guidate dal sacro furore di chi va da tempo gridando ai quattro venti che il centrodestra sardo ha in testa di vendere tutto, dalle coste ai monti al futuro patrimonio demaniale. È, naturalmente, una solenne sciocchezza, del tutto infondata e soprattutto alimentata dall'odio politico contro gli antropologicamente diversi. Più intrigante è il secondo aspetto che è frutto di un concetto idealistico dello Stato e figlio di profonda diffidenza nei confronti dell'Autonomia regionale e di quella dei Comuni.
I portatori di statolatria, di quella idea, cioè, che fa dello Stato il momento massimo della concretizzazione dell'etica, pensano che solo lo Stato ha il potere e la volontà di rendere morali i comportamenti collettivi. Di qui il sospetto con cui questa pericolosa cultura politica guarda ai comuni e alle regioni, portati – dicono – per loro stessa natura a svendere tutto, terre pubbliche, pubbliche coste, pubblici monti, vuoi per biechi interessi personali degli amministratori, vuoi per fare cassa, vuoi perché incapaci di resistere alle pressioni, vuoi per carenze culturali.
È vero, e le cronache ne hanno dato spesso conto, che in certe regioni sono nati ecomostri, che si è aperto alla speculazione forsennata sulle coste, che sindaci hanno consentito a privati di impadronirsi illegittimamente di terreni comunali e così via delinquendo. Ma si tratta, appunto, di reati, non di comportamenti amorali. Reati che devono, o avrebbero dovuto, essere puniti dalla legge, commessi anche molto prima che nascessero, per esempio, le regioni ordinarie. Se questo non è, a volte, accaduto la responsabilità è degli organi dello Stato che è molto meno etico di quanto le vestali del centralismo pensino. E per fortuna.
In fondo in fondo, la bestia nera di chi così pensa è l'autonomia, che è sì garantita dalla Costituzione, ma che è guardata con una diffidenza estrema. Uno degli articoli meno frequentati della Carta è il 114: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Lo Stato, cioè, è posto sullo stesso piano degli altri elementi della Repubblica e di distingue solo per le sue competenze, non per la sua eticità, diversa dalla a-moralità degli altri. Figurarsi la diffidenza nutrita nei confronti del federalismo. È da questo sospetto che, pur lasciando da parte i furori strumentali di cui dicevo, si alimenta la paura tutta ideologica per il trasferimento dei beni dello Stato. Bisognerà riparlarne, soprattutto ora che pare avviata in Sardegna la stagione delle riforme, in testa alle quali è quella del nuovo Statuto.
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