domenica 6 settembre 2009

Scuola: quando dietro le statistiche c'è una persona

Una persona che perde il posto di lavoro è un dramma, diecimila che sono su quella strada rischiano di diventare un dato statistico. Ecco perché ho letto con inquietudine e partecipazione la bella intervista fatta con un quotidiano dalla signora Angelica Ladinetti, certa di perdere il posto di insegnante. La sua, appunto, è una storia, non una cifra in un titolo di giornale o in un comunicato sindacale: una storia fatta di attese per un futuro nella scuola che, almeno qust'anno, non ci sarà, ma anche di non rassegnazione: prenderà un'altra laurea e cercherà un altro lavoro.
Io mi auguro che le tante Angelica oggi in ansia o in disperazione non debbano rinunciare all'insegnamento, e da parlamentare sardo mi batterò perché questo non avvenga. Ma sono sempre più convinto che le possibilità future e immediate stiano in gran parte nella capacità collettiva nostra di mettere a frutto la specialità che la Costituzione e lo Statuto sardo ci riconosce. Quest'isola è sede di una storia originale e misconosciuta, di una cultura che si è teso a trasformare in folclore, di cinque lingue (il sardo, il gallurese, il sassarese, il catalano algherese, il tabarchino) anch'esse spesso non considerate o considerate un problema, invece che un'opportunità.
Ho letto nella mia pagina in Facebook e in altre che hanno ripreso un mio articolo, che anche fra miei cari amici su questa opportunità ci sono contrarietà, quasi che esista il pericolo di sostituire la lingua italiana con la lingua sarda, quando si tratta molto più semplicemente di considerare che la conoscenza di più lingue arricchisce le potenzialità degli individui. Chi sa parlare e scrive in italiano, in sardo, in inglese, in arabo, in francese, etc, ha per forza di cose più competenze di chi sa una sola lingua. La mente umana, soprattutto quella dei più giovani, è tanto elastica da contenere tutte le lingue che vuole e non è costretta a scegliere fra la tal lingua e la talaltra perché più di un tot numero non può contenere.
Le vicende storiche hanno fatto sì che in Sardegna esistano le cinque lingue di cui dicevo, parlate dal 68,4 per cento delle persone, la grandissima parte delle quali conosce bene anche l'italiano. Ma queste lingue non sono a scuola né materia di insegnamento (come avviene in altre regioni dell'Unione europee e della stessa Repubblica italiana) né veicolo per imparare altre materie. Abbiamo, insomma una miniera non utilizzata, potenzialità di crescita del lavoro e dell'economia lasciate perdere anche in momenti di crisi, come questo, in cui ci sono più richieste di lavoro di quante la normale gestione della scuola possa offrire.
C'è chi ha fatto un calcolo secondo il quale l'insegnamento del sardo e in sardo sarebbe capace di creare 1.500 nuovi posti di lavoro nella scuola. Nuovi, aggiuntivi, non confermativi dell'esistente. A questa opportunità si accompagna la legislazione dello Stato e della Regione che rende possibile trasformarla in realtà. Fuori di questo, ci sono solo o le lamentazioni o proposte, come quella che leggo oggi, del sindacalista della Uil Giuseppe Macioccu, secondo cui “non è pensabile che i soldi stanziati dalla Regione per i nostri operatori possano andare a chi viene dalla penisola: sarebbe un paradosso”.
Sarebbe interessante capire dal responsabile per la scuola della Uil come pensa di risolvere la palese incostituzionalità della proposta. La Regione dovrebbe discriminare un cittadino per via della sua città o regione di origine? Come si dice banalmente, è una proposta che non toccherebbe nemmeno terra. Cosa diversa, naturalmente, sarebbe scegliere sulla base delle competenze e delle conoscenze. In materia di lingua (tutelata dalla Costituzione e da leggi dello Stato e quindi riconosciuta), per esempio, e di storia e della geografia della Sardegna.
Un caro amico mi ha segnalato un libro di testo utilizzato in una scuola media della Sardegna. Il libro è: “Exploro – Sussidiario delle discipline”, di Tiziana Canali, edito da Mondadori nel 2006”. Vi si può leggere che la Sardegna ha una popolazione di 4.972.141 abitanti, che “la più vasta [pianura] è quella del Campidano che si estende tra il Gennargentu e l’lglesìente”, che la Sardegna fu colonizzata nell'ordine “dai Fenici, dai Greci e infine dai Romani nel III sec. AC”. Qui non è in discussione l'autonomia didattica né la provenienza dell'insegnante, ma solo il diritto dei nostri figli di avere insegnanti almeno informati.
Sarebbe un delitto pretendere che chi insegna in Sardegna almeno sappia il numero degli abitanti, che fra il Gennargentu e l'Iglesiente non c'è solo il Campidano, che i fenici e i greci non colonizzarono la Sardegna? I posti di lavoro non dovrebbero essere, infine, assegnati sulla base della conoscenza di storia e di geografia della terra? Non si potrebbe prevedere, visto che le leggi ci sono, l'inserimento nelle offerte formative cattedre di storia e di geografia della Sardegna e di lingua sarda. Non si tratta di pietire posti di lavoro, ma di crearli.

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