“È stata oltrepassata una soglia” è il commento quasi unanime di fronte all'aggressione a Berlusconi. Quasi unanime e non solo per l'ovvia reazione di Di Pietro, pronto a passare dalle forche metaforiche a quelle fisicamente erette (a proposito, amico Palomba, come fai a stare insieme a simili persone?).
Penso piuttosto al clima fetido che ha avvolto nell'odio decine di migliaia di persone che in Facebook e nelle lettere ai giornali esprimono complice solidarietà all'aggressore, un povero psicolabile eletto maitre à penser. E penso anche al quotidiano-partito che ha fomentato l'odio politico e personale contro Berlusconi: accanto a poche parole di presa di distanza dall'aggressione, La Repubblica dà evidenza oggi ad un ennesimo gossip inglese riguardante il presidente del Consiglio, quasi a segnalare che Berlusconi, insomma, l'astio se lo sia carcato. Che vergogna.
Questo odio chiama odio in senso contrario in altri commenti di chi sostiene il premier e tutte insieme questi pronunciamenti dipingono a tinte fosche il futuro della coesistenza pacifica in Italia, tanto che a me sembra non destituito di fondamento l'allarme lanciato dagli osservatori più attenti: siamo vicini ad una guerra civile. Quando si leggono gli inviti di Di Pietro alla piazza perché si rovesci il governo, quando si legge del comunista Paolo Ferrero che, dopo una riunione a Cagliari con altri comunisti e con i Rosso mori, dice di Berlusconi: “Non può che essere definito fascista”, allora ci si rende conto perché una persona fragile di mente possa ferire il “mostro”.
Nei giorni scorsi, il presidente Cappellacci e il leader Pd Silvio Lai hanno preso a dialogare, segno che il bene comune della Sardegna ha, almeno nelle intenzioni, la meglio, dopo i continui tentativi della sinistra di deligittimare chi è stato eletto dal popolo sardo. E già si sono sentiti aleggiare le prime prese di distanza perché non del dialogo fra maggioranza e opposizione la Sardegna avrebbe bisogno. Certo, non basta una sana dialettica fra opposizione e maggioranza, è necessario il dialogo fra la politica e le forze sociali, imprenditoriali, culturali. Ma è preliminare a tutto disinquinare i pozzi avvelenati.
Non voglio farmi illusioni, ma se per una volta nella nostra storia autonomista fosse la Sardegna a contagiare beneficamente la politica in tutta Italia, si attuerebbe il sogno di normalità, caldeggiata dalle forze politiche e culturali più avvertite. E si aprirebbe la strada per la emarginazione e la sconfitta di chi sogna invece lo scontro fisico, nell'illusione che la violenza abbia la meglio sulla democrazia, sistema nel quale sono gli elettori a decidere chi governa e chi no fino alle elezioni successive. Un sistema, anche, in cui è il Parlamento a fare le leggi che tutti, magistrati compresi, devono osservare. Anche se incidono sui propri privilegi e sui propri furori ideologici.
2 commenti:
Secondo me, purtroppo, dalla Sardegna oggi non può partire nessun contagio di civiltà per il semplice motivo che noi sardi stentiamo ancora a riprendere le redini del nostro destino e dunque siamo perfettamente omogenei agli altri italiani.
Vorrei però proporre che a 20 anni dal crollo del muro e dopo il ferimento di Berlusconi, seguendo l'esempio polacco, si bandissero i simboli del comunismo anche in Italia. In quanto portatori di odio infinito. Dopo il male assoluto, sarebbe ora di fare i conti con "il male necessario" di cui parlò Papa Wojtyla.
Sarei orgoglioso che questa proposta partisse dalla Sardegna. Questo sarebbe un contagio di civiltà. Piero
@ Atzori
Non sono tanto pessimista quanto lo è lei. Sono, invece, fiducioso che, pur nel rispetto di una dialettica forte ed aspra, la via dell'unità del popolo sardo sia percorribile. Primi timidi ma importanti accenni già si vedono.
Quanto a ripetere qual che in Polonia è stato fatto contro i simboli del comunismo, per fortuna nostra non abbiamo subito quel che i polacchi hanno patito sotto la dittatura comunista. Francamente, per mio carattere tollerante, non trovo sia una buona idea, anche se quel rimasuglio di cultura comunista che fa tana in certi suoi epigoni definendo fascista chi la contrasta spinge alla violenza. Per ora, in fondo, si tratta di parole, sciagurate ma parole.
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