Chi confonde la difesa della Costituzione con la intangibilità della Costituzione può esser mosso da motivi diversi e non tutti nobili. Fra questi ultimi, il meno commendevole è di ordine partitico, di schieramento, e si racchiude in questo ragionamento pregiudiziale: solo “noi” possiamo modificarla, gli “altri” vogliono solo “fare un golpe” e “noi” dobbiamo starne fuori, pronti alla Resistenza (con la R maiuscola, naturalmente).
Quando fu al governo, il centrosinistra modificò, con una maggioranza di soli 4 voti, un intero Titolo della Costituzione, il Quinto. Si chiuse completamente al dialogo con chi, come me e i colleghi dell'opposizione, tentarono di emendare il testo, bocciando anche una serie di proposte che io avanzai per rendere più agevole la strada del nuovo Statuto sardo. Un referendum confermativo sottoscrisse la modifica. Anche il centrodestra approvò una modifica costituzionale, quella, per capirci, che cercò di introdurre la cosiddetta devolution. Il centrosinistra ebbe buon gioco nello sfruttare sia le incertezze del centrodestra sia la sua egemonia sul sistema mediatico per scatenare una campagna di disinformazione credo senza precedenti. Punto di forza fu l'accusa rivolta al centrodestra di voler sfasciare l'unità della Repubblica. E vinse.
Oggi la parte riformista del centrosinistra ha atteggiamenti più riflessivi ed è la sua ala estremista e giustizialista a giocare cinicamente la carta dell'allarmismo: si vuole minare l'unità della Repubblica e – dicono i più esagitati – fare un “golpe democratatico”. Questo oltranzismo ha solo apparentemente lo scopo di difendere l'idea moderna e nobile di una Carta che fissi regole condivise di convivenza frai cittadini.
Il fine vero è quello di imbalsamare un concetto di stato accentratore e invasivo, interventista in economia e cultura. Uno stato, in più, in cui la divisione dei poteri rischia sempre di più di essere solo formale, come dimostrano le tentazioni di una piccola parte della magistratura di supplenza della politica e, anche, del Parlamento.
C'è un aspetto, in questo clima di allarmismo, che riguarda molto da vicino noi sardi e la necessità urgente che la Sardegna si doti di un nuovo Statuto speciale. Nel momento in cui presenteremo al Parlamento il progetto sardo di Statuto, staremo chiedendo ad esso di modificare la Costituzione. E di modificare certo la sua seconda parte, ma anche, forse, la prima. Una Costituzione rispettosa delle autonomie non per forza è rispettosa delle nazionalità e, per dire, nel mio disegno di legge per il nuovo Statuto la Sardegna è una Nazione, distinta dall'italiana all'interno della Repubblica.
Le vestali, per la verità di non difficili costumi, della Costituzione hanno in questi giorni gridato allo scandalo perché il ministro Brunetta ha introdotto la legittima proposta di modifica dell'articolo 1. Qualcuno può davvero vedere lo sfascio dell'unità della Repubblica, se la si definisce fondata sulla democrazia e la libertà, anziché sul lavoro, come il Pci pretese parafrasando la Costituzione sovietica? Il diritto alla democrazia e alla libertà è esigibile da tutti coloro che firmano il patto costituzionale; quel del lavoro è solo una espressione enfatica. Senza democrazia e libertà nessuna costituzione moderna si tiene; senza il lavoro per tutti, sì, come purtroppo vediamo in questa temperie economica.
Siamo seri. Forse è inopportuno cambiare il primo articolo, ma certo un suo cambio non intacca il principio fondamentale dell'unità della Repubblica. Così come non sarebbe un attentato ad essa se dalla scrittura dello Statuto sardo risulterà, per dire, che alla buona fortuna della Sardegna è necessario assicurare alla Regione competenza primaria sui beni culturali lasciatici dai nostri antichi.
3 commenti:
Tutto giusto, ma attenti a non fare dell'isola un'isola! Non perdiamo di vista la globarità del territorio e l'univesalità dell'uomo. I Sardi tendono a chiudersi( io non sono sarda, per cui osservo i comportamenti) E' giusto avere uno statuto appropriato ed operante ma....!
La Sardegna deve aprirsi al mondo. Attenzione chi non è sardo ha difficoltà a muoversi nel territorio per mancanza di cartelli stradali. e questo è sintomo oltre che di chiusura, ma anche di paura verso i turisti.
Appunto, la Sardegna deve aprirsi al mondo e per farlo deve rompere gli schemi imposti a partire da quelli costituzionali.
Il rischio di chiusura maggiore è certamente quello relativo all'accettazione della chiusura imposta dall'esterno. Non a caso la continuità territoriale, che è solo di ieri, ce la vogliono far pagare a noi. Non a caso si cerca di porre limiti a Ryanair per cercare di farci tornare al 2001 quando Alghero-Roma e rit. ci costava Lire 500.000. Con i non a caso si potrebbe continuare per giorni.
Comunque buona la critica sulla mancanza di cartelli stradali.
Condivido le vostre critiche all'assenza o scarsità di segnali stradali. Ma starei attento a ricavare da questo fatto di ordinaria sciatteria amministrativa il carattere di un popolo. La Sardegna, cara anonima, non è mai stata chiusa: pensi a quanti popoli sono entrati in contatto (non sempre amichevolmente) con i sardi e pensi ai processi di reciproca acculturazione avvenuti nei millenni. Quella della “chiusura dei sardi” è una fola. E sono d'accordo con l'amico Atzori: è la chiusura imposta quella più pericolosa, perché gioca sulla legittima difesa di chi si sente preda di processi di omologazione.
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