Cento anni fa nasceva a Cagliari Ennio Porrino che non solo è il più grande compositore sardo ma è uno dei più importanti della sua epoca. La sua opera “Sardegna” - ha scritto il grande Leopold Stokowski che la diresse a New York - “è una grande musica e nello stesso tempo un'intensa espressione del sentimento della vera Sardegna”. Da noi rischia di essere solo l'autore della sigla del vecchio “Gazzetino sardo”. La solita storia del “nessuno è profeta in patria”? Forse, ma c'è di peggio: c'è la solita storia dell'inguaribile provincialismo della cultura sarda, troppo a lungo egemonizzata dal “cosmopolitismo” di sinistra.
Del resto, questa negazione di rilievo a ciò che nasce nella nostra Terra non è fenomeno sconosciuto. Lo straordinario “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta rimase a lungo sconosciuto, almeno fino a quando ad accorgersi del capolavoro sattiano non fu il critico letterario di un importante settimanale italiano. Dal giorno dopo, il romanzo entrò nel mondo dei “cosmopoliti” di casa nostra. Paragonato a Bela Bartok, elogiato dal musicologo tedesco Karlinger, oltre che dai direttori di orchestra che diressero “Sardegna”, “I Shardana”, “Il processo di Cristo” e altre composizioni, Ennio Porrino – ricorda lo studioso Giovanni Masala – ricevette in vita poche critiche negative per lo più ideologiche per le scelte politiche del compositore sardo. «I Shardana pare aver imboccato la strada giusta per diventare l’opera nazionale sarda per eccellenza» scrisse il musicologo tedesco. Ahimè, no.
Se il “cosmopolitismo” di sinistra non lo calcolò, anche noi che provinciali non siamo e che di sinistra non siamo non abbiamo avuto la capacità di valorizzare questo grande figlio della Sardegna. A febbraio sarà eseguita a Cagliari l'opera “I Shardana”, ma solo in forma concertistica, quasi non valesse la pena di rappresentare l'opera come all'estero si è fatto. Mi sembra che sia poco, troppo poco.
Nella foto: Ennio Porrino
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