Segno di questo degrado è, secondo chi contesta la riforma, il taglio di circa 6 milioni di euro, dipendente anche dallo scivolamento dei due nostri atenei verso gli ultimi posti della classifica italiana. Per quanto mi riguarda, mi impegno a verificare che i criteri usati per stilare la graduatoria siano oggettivi e tengano conto della condizione socio-culturale della nostra Isola. “È bene che i nostri deputati e senatori tutelino i valori dell’insularità” ha detto il professor Mastino ai giornalisti.
Ebbene, a me sembra che “l'insularità” c'entri ben poco con la questione dei criteri usati, vedremo poi concretamente come, per mettere l'Università di Cagliari al 41° posto nei 60 atenei considerati e Sassari al 50 posto. C'entra molto di più il fatto che la Sardegna è sede della più numerosa minoranza linguistica della Repubblica e che le università di questa condizione speciale si siano costantemente dimenticate.
Lo Stato, secondo le cifre fornite dal passato governo regionale, ha, per esempio, erogato ai due atenei 713.100 euro perché li utilizzassero per corsi di formazione insegnanti e funzionari, come prevede la legge 482 che detta norme per la tutela delle lingue delle minoranze, fra cui, appunto, il sardo. Di questi fondi, le due università hanno speso appena il 25% e dovuto restituire il 75 per cento. Dico fra parentesi che questa della restituzione di soldi destinati alla lingua sarda non è una prerogativa delle università: la Provincia di Cagliari che molto ha gridato e poco fatto per la lingua ha dovuto restituire allo Stato quasi 500.000 euro non spesi. Ma di questo sarà il caso di riparlare.
Anche dei soldi ricevuti dalla Regione sarda per la tutela della lingua e della cultura della Sardegna, le università hanno fatto un uso decisamente criticabile. Dei 3.564.000 euro ricevuti fra il 2002 e il 2007, l'Università di Cagliari ha speso appena il 39 per cento, quella di Sassari, che aveva ricevuto la stessa cifra ha utilizzato il 98 per cento dei soldi.
Un'ottima percentuale, si dirà. Molto meno commendevole è l'uso che ne è stato fatto a favore della lingua per la quale è stato impiegato appena il 27 per cento; tutto il resto è andato alle aree disciplinari geografica, antropologica, storica, artistica, giuridica ed ecologico-ambientale. Molto peggio è avvenuto a Cagliari che per l'area linguistica ha speso solo il 10 per cento. Deprimente l'uso dei denari pubblici per l'uso veicolare della lingua, per l'insegnamento in sardo, cioè, delle altre materie. A Cagliari è stato impiegato lo 0,5 per cento degli oltre 3 milioni e mezzo, a Sassari lo 0 per cento.
Anche di qui, penso, la decisione dell'attuale governo sardo di affidare alle università 500.000 euro con la condizione che siano utilizzati per la lingua sarda.
La serie di numeri e di percentuali può apparire noiosa e difficile da seguire. Ma è utile a far capire e a capire due cose credo importanti: la prima è che non è elegante lamentarsi per la diminuzione degli stanziamenti, quando in certi casi o non sono stati utilizzati o sono stati mal utilizzati; la seconda è che le università sarde farebbero meglio a rivendicare la loro specialità e peculiarità non sulla base di ragioni geografiche (la insularità) ma sui motivi culturali e linguistici che dovrebbero fare di loro e della Sardegna davvero una regione speciale.
Detto questo, che mi sembra onesto far conoscere, il grido di allarme che si leva dagli atenei sardi non può non essere raccolto e io lo raccolgo. Con la speranza che gli odierni motivi di apprensione inducano per il futuro a considerare che la peculiarità della Sardegna non è solo di ordine economico e geografico.
PS – Ad oggi, scaduti già i termini per la presentazione degli emendamenti, non è arrivata né alla mia casella in Senato, né al mio indirizzo di casa, né alla mia posta elettronica, né ai telefoni del mio ufficio a Cagliari, né al telefono di casa (pubblicato nell'elenco telefonico, unico dei parlamentari sardi) alcuna lettera di sensibilizzazione al problema sollevato dai rettori delle università sarde. D'altra parte, quale sia l'ordine del giorno dei lavori del Senato è facilmente leggibile nel sito istituzionale di Palazzo Madama. Il rettore Mastino avrebbe agevolmente visto che se voleva inviare la lettera annunciata sui giornali doveva fare molto presto e non pensare che un annuncio sui media costituisca di per sé proposta di emendamenti alla legge che è già in discussione. Non vorrei che da questo annuncio non seguito da fatti, qualcuno traesse la conclusione di insensibilità mia o di altri colleghi a buoni motivi che ancora non conosco se non per una frase sui quotidiani.
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