martedì 12 gennaio 2010

Non sprechiamo l'occasione di pensare ad un nuovo sviluppo

Con quelli dell'Alcoa, entrati ieri in cassa integrazione, sono oltre centomila i sardi che sono costretti ad “utilizzare tutta la gamma degli ammortizzatori sociali, dall’indennità di disoccupazione agli ammortizzatori in deroga”. La drammatica analisi è del segretario della Cisl sarda Mario Medde e fornisce un quadro complessivo di una crisi economica di proporzioni molto più che preoccupanti. È come se in Sardegna siano aperte contemporaneamente 50 questioni Alcoa, anche se non tutte hanno la forza simbolica della minacciata chiusura della fabbrica di Portovesme.
È chiaro a tutti che la difficile soluzione della questione Alcoa, per la quale è mobilitata l'intera Sardegna, non sarebbe affatto indifferente. Anzi sarebbe un importantissimo segnale di quanto possa l'unitarietà politica, sociale e culturale di una intera regione, oltre che una vittoria per centinaia e centinaia di lavoratori sottratti ai rischi della disoccupazione.
Ma sarebbe la soluzione di una vertenza, non la soluzione del complesso dei problemi denunciati da Medde. Resterebbe immutata la pesantezza delle cifre portate all'attenzione della politica e della società sarda. Con non moltissimi altri, da tempo sostengo anche su questo blog che è proprio nei periodi di crisi epocali come quella in cui siamo che si misura la qualità delle classi dirigenti, la loro capacità di uscire da un modello di sviluppo per entrare in un modello diverso, capace di mettere a profitto errori e scelte spesso prevalentemente ideologiche o dettate da poca lungimiranza.
Detto con franchezza, a me pare che, invece, siamo complessivamente tutti pronti a tappare i buchi delle emergenze, ma poco pronti a pensare a modelli di sviluppo diversi da quelli conosciuti. Il tutto all'interno di una scarsa capacità, prima di tutto dei sindacati, di fare autocritica sulle scelte fatte nel passato. Così, oggi c'è chi chiede di stabilizzare i Lavoratori socialmente utili nelle pubbliche amministrazioni, chi di utilizzare il carbone per produrre energia, chi è pronto a rilanciare la Sardegna centrale nell'avventura della petrolchimica.
Per carità, capisco ovviamente i buoni motivi di chi cerca comunque di tamponare le falle industriali, dentro le quali ci sono esseri umani e non ragionamenti su possibili modelli alternativi. Ma avverto il rischio che poi tutto si risolva nella soddisfazione per le tamponature, che comunque non potranno essere permanenti, fino a quando il mondo globalizzato permetterà spostamenti e trasferimenti di iniziative laddove il lavoro, l'energia, le materie prime costino di meno.
Noi abbiamo un sistema di welfare fra i migliori del mondo che comunque, anche in momenti di crisi acuta come quella che viviamo, assicura almeno la sussistenza a chi si trovi disoccupato. Ma mi trovo d'accordo con quanto scrive oggi su Il Corriere della Sera Pietro Ichino: “Se il trattamento offerto ai disoccupati consiste soltanto in un sostegno del loro reddito, questo rischia di produrre l'effetto di rallentare la ricerca del nuovo lavoro, allungando i periodi di disoccupazione”. Un circolo infernale in cui oggi, in Sardegna ma non solo, ci troviamo. Il reddito di tutti coloro i quali sono fra i centomila contati da Medde, va naturalmente assicurato, ma non perdiamo l'occasione che la crisi ci da di pensare a un nuovo modello di sviluppo che sia anche un nuovo modello di civiltà della nostra terra.

2 commenti:

elettra ha detto...

Sono dissenziente per quanto riguarda il carattere dei sardi, che io ammiro -nè ho sposato uno - ma i muretti a secco,la non riuscita delle cooperative mi conforta nella mia precedente opinione. Lo sviluppo che ipotizzo per la Sardegna, è un secondo master planing che vede impegnate tutte le risorse nel valorizzare ciò che si ha e non si vede. Il sole, il territorio, la isolarità! Dare sviluppo al turismo, incrementare la formazione, incrementare l'artigianato e porre un calmiere sui prezzi che dovranno essere competitivi, aumentare gli attrachi dei natanti con colonnine di rifornimento, cartelli stradali, immettere nuove rotte navali (mandar via la Tirrenia che tanto danno fa ai cagliaritani) aumentare e potenziare il porto canale. Mi sembra un progetto molto arduo forse in alcuni decenni potrà essere attuato. Grazie dell'attenzione prestatami

Anonimo ha detto...

Condivido stavolta, Onorevole Massidda, la sua opinione. Il mutare delle congiunture internazionali (che tolgono vantaggio alle economie "occidentali") e la recente crisi economica globale, sono i segnali tangibili che si sta concludendo un'epoca e se ne stà aprendo un'altra, nella quale buona parte del vantaggio economico di cui disponevamo, rispetto ad alcuni paesi in via di sviluppo (es. cina e india), lo abbiamo perso proprio in loro favore.
Del resto non ci si poteva illudere che andasse così all'infinito.
Ora, la nostra società con il suo sistema (parlo della Sardegna), che già prima di questi eventi era in svantaggio, è in grave sofferenza.
La nostra società, il nostro sistema, la nostra economia, deve essere capace di rielaborarsi. Dobbiamo essere capaci di rielaborarci noi, di concepire un modello sociale ed economico che si regga in piedi con le proprie gambe, nel quale i rapporti economici tra l'isola e l'esterno siano bilanciati.
Per fare questo è necessaria anche la rielaborazione del "pensare politico" e per questo è necessario e urgente una politica "in proprio". Non "subordinata".
Non possiamo illuderci di riuscire rielaborare la nostra "esistenza", affrontando la nuova realtà, con la vecchia mentalità. O peggio aspettare che la soluzione piova dal cielo.

MP