Con la soddisfazione di chi ha inventato l’acqua calda e si appresta a brevettarla, il ministro ombra di Veltroni ha ieri sostenuto che in Sardegna bisogna salvare i posti di lavoro e le industrie esistenti. Questa geniale intuizione, che gli deriva dalla sua conoscenza della Sardegna (“ho fatto il militare a Macomer”), Bersani l’ha manifestata, nel suo giro di propaganda, a chi, la cosa va confessata, mai ci avrebbe pensato.
Eppure, anche chi come me non ha la sua genialità, la pensa come lui: è necessario fare di tutto per salvare il salvabile dell’industria sarda. Difficile è assecondarlo nel resto del suo ragionamento che è, pressappoco, questo: siccome l’Italia è un paese industriale, dobbiamo continuare a industrializzare la Sardegna. Con tanti saluti al federalismo, all’autonomia della Sardegna nelle scelte del proprio futuro, a un minimo di autocritica dell’ideologia industrialista che la nostra Isola ha pagato a caro prezzo nel passato e continua a pagare nel presente.
È proprio in momenti di crisi come quello che viviamo, che una classe dirigente degna di rispetto (economica, politica, sociale, culturale) deve impegnarsi a progettare un futuro diverso, fondato sull’utilizzo delle risorse che la Sardegna ha. In primo luogo un ambiente unico in Europa e insieme a questo un’agricoltura e una pastorizia che nei secoli non hanno mai cessato di produrre grandi qualità. Soprattutto dovrebbe impegnarsi a non ripetere i gravi errori del passato, fatti soprattutto nell’idea vetero-marxista che con iniezioni di industrializzazioni forzate si potesse omologare e normalizzare lo spirito autonomo dei sardi.
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