La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo non ha violato il diritto internazionale: così ha deciso la Corte internazionale di giustizia, rispondendo a un quesito postole dal segretario dell'Onu. È cioè in regola con le leggi che regolano due diritti che apparentemente sono in contrasto: quello dei popoli all'autodeterminazione e quello degli stati alla propria integrità territoriale. Ricordo, perché sia più chiaro, l'oggetto in discussione. L'atto finale di Helsinki (1975) sancisce questi due principi:
- In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale;
- Gli Stati partecipanti rispettano l'integrità territoriale di ciascuno degli Stati partecipanti. Di conseguenza, si astengono da qualsiasi azione incompatibile con i fini e i principi dello Statuto delle Nazioni Unite contro l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o l'unità di qualsiasi Stato partecipante, e in particolare da qualsiasi azione del genere che costituisca minaccia o uso della forza.
Perché, dunque, quell'atto del parlamento kosovaro non viola questo secondo principio? Dopo due anni di discussione, questa la sentenza dei giudici della Corte dell'Aja: “La portata del principio dell'integrità territoriale è … limitata alla sfera delle relazioni interstatuali”. Impedisce insomma ad uno stato di aggredirne un altro o di minarne l'integrità territoriale. Un popolo, il kosovaro in questo caso, ha il diritto di uscire da uno stato per costituire il suo.
Benché sia una sentenza dirompente (ma – hanno detto i giudici – non è compito nostro preoccuparci delle conseguenze), il lungo documento reso pubblico qualche giorno fa non ha sollevato, in Italia almeno, il dibattito che meritava. Quasi bastasse ignorarlo per nasconderne l'esistenza. Su questo blog ho spesso affrontato, da spirito libero, la questione dell'indipendenza posta da movimenti e da partiti sardi. Ero convinto prima, e lo sono a maggior ragione ora dopo il pronunciamento dell'Aja, che l'indipendenza della Sardegna non è una questione di legittimità, ma di fattibilità e di opportunità.
Si porrebbe fuori del diritto internazionale, insomma, chi si illudesse di impedire con la forza il diritto dei sardi all'autodeterminazione e alla conseguente possibilità che i cittadini sardi scelgano l'indipendenza. Detto questo – io non sono mai stato uno struzzo e non aspiro ad esserlo – credo che sia diritto mio e di quanti la pensano come me battermi perché ciò non accada. La Sardegna, come succederebbe se avessimo la capacità e la volontà di darci uno Statuto del tipo di quello da me proposto, potrebbe avere tutta la sovranità di cui ha bisogno senza rompere l'unità della Repubblica italiana. Ci sono certo ragioni sentimentali, culturali, storiche per salvare questa unità e niente hanno a che fare con la retorica giacobina. Ma ce ne sono soprattutto economiche. Sarei lieto di discuterne, con pacatezza, con chiunque sia interessato ad un dibattito sulle prospettive sarde della sentenza della Corte internazionale di giustizia.
18 commenti:
Bene, mi sembra un ottimo punto di partenza. Eliminati inesistenti o poco probabili scenari di isolamento internazionale, guerre, morti e distruzioni, si può iniziare a parlare di cose concrete.
Ovviamente non sono d'accordo sul fatto che ci siano ragioni culturali e storiche (sentimentali nemmeno a parlarne... dal mio punto di vista) che giustifichino l'apparteneza della Sardegna all'Italia, non più di quante ve ne siano per giustificare un'eventuale appartenenza a Spagna o addirittura Francia.
Per quanto riguarda le ragioni economiche invece sono curioso di sentirle... Lei sostiene che se non fosse stato per l'Italia oggi veramente ci troveremmo in una situazione peggiore rispetto a quella attuale? Io immagino solo quello che avrebbe potuto creare (e cosa ancora potebbe creare) la valorizzazione dell'immenso patrimonio archeologico della Sardegna in termini di ricerca, con il coinvolgimento di ricercatori e istituti internazionale, e di turismo... Sassari non sarebbe stata male con un castello in piazza castello al posto dell'orribile caserma La Marmora.
Dal punto di vista economico è fondamentale staccarsi dal monolinguismo italiano, per il quale tanti giovani, me compreso (ma sto provvedendo), non parlano e capiscono poco la lingua della propria nazione e a scuola imparano praticamente solo 1 delle 3 o 4 lingue che, proprio per necessità economiche, sarebbero stati spronati a imparare.
Dal punto di vista economico i fondi europei destinati alle infrastrutture non si sarebbero arenati a Roma, in mezzo a promesse da marinaio e prese in giro puntualmente coperte dai politici locali legati alle segreterie romane, e la Sassari-Olbia magari avrebbe smesso da tempo di mietere vittime e i politici nostrani sarebbero meno impegnati a elemosinare con tanto di pellegrinaggi dove i sindaci sfoderano tutto il loro orgoglio... "dateci i soldi perche noi siamo italiani speciali".
E poi proprio non riesco a capire, anche dal punto di vista economico, i vantaggi di considerarsi "la regione più periferica dell'Italia" e non la nazione più centrale del Mediterraneo ocidentale. Lo si capisce che, proprio dal punto di vista delle prospettive economiche, la cosa cambia enormemente?
Comunque aspetto di sentire le sue ragioni e la ringrazio per continuare a offrire spunti di discussione interessanti.
Daniele Addis
http://www.libreidee.org/2010/07/lupi-nella-nebbia-usa-kosovo-limpero-delleroina/
spero proprio che non c'entri con uno stato creato in questo modo
@ Vale4x4
Ha idea delle copertine e dei servizi di giornali tedeschi e inglesi che definiscono l'Italia uno stato in preda alla mafia? Ricordo anche l'aiuto che la stampa, soprattutto italiana, ha dato a Putin per sterminare i ceceni, anche essi dipinti come un popolo di mafiosi dediti allo spaccio della droga. Lei si accontentata di queste definizioni approssimative e insultanti? Crede che i giudici della Corte dell'Aja si sarebbero espressi come si sono espressi, se fosse vero quel che quattro scalzacani di giacobini scrivono sul Kosovo? E prima della Cecenia e anche del Montenegro. E' un po' lunga e complessa, ma le consiglio di leggere quella sentenza.
@ Daniele
Il tuo ragionamento, va da sé, è di altro calibro e merita un discorso più approfondito. Che, se il nostro ospite consente, mi proverò a fare.
Caro Piergiorgio Massidda il suo artioclo è senz'altro stimolante.
Lei è ormai da 16 anni un parlamentare della repubblica italiana.
Lei propone che la miglior soluzione possibile per i sardi sia un forte autonomismo piuttosto che l'indipendenza.
Le chiedo dunque quanto , secondo lei, potrebbe essere penalizzante , dal punto di vista economico , una scelta indipendentista.
cordialmente
mauro peppino
Non la prendano a male Massidda e gli altri interlocutori, ma credo che non abbia alcun senso oggi discutere sul "la Sardegna ce la fa-non ce la fa". Si tratta di teorizzazioni future e che chiaramente richiedono di essere valutate in corso d'opera ed anche a seguito di una re-strutturazione delle istituzioni e dell'economia regionale. Sia autonomisti che indipendentisti (a prescindere dal fine ultimo) oggi dovrebbero avere lo scopo di creare quelle condizioni politiche, sociali e legislative entro le quali l'economia può potenzialmente svilupparsi. Il resto si valuterà in seguito a tali condizioni. Ma stare oggi a tergiversare sul campo delle probabilità o giudicando un sistema attuale che notoriamente non funziona a dovere...è una cosa che lascia il tempo che trova. Perché se andasse tutto bene, mi pare ovvio che non ci sarebbe bisogno nè di autonomismo e né di indipendentismo. Perché dolersi? E' chiaro invece che ci sono problemi che attengono alla sfera dell'identità e dell'economia Sarda, e vanno affrontati senza impantanarsi in cose che allo stato attuale non possono essere stabilite. Oggi c'è solo bisogno di unità e di riforme. Il resto arriverà. - Bomboi Adriano
Adriano ma che dici? mi sembri un prete che dice stai tranquilo che esiste il paradiso! o un vetero marxista che dice : basta fare una rivoluzione , eliminare i borghesi, accettare il governo degli illuminati, e ci sarà il benssere per tutti senza sfruttati e sfruttatori!
Ti assicuro che se non si spiega ai sardi per filo e per segno quali saranno i benefici economici dell'indipendenza , i sardi non voteranno mai in modo significativo per dei partiti indipendentisti.
Caro Adriano,
gli italiani e i sardi giò da tempo hanno dimostrato che seguono il motto: al governo meglio un liberale indagato che un comunista "onesto". Gli italiani e i sardi ritengono che un un liberale indagato (e non mi riferisco solo alla cosiddetta seconda repubblica , ma anche alla prima) è sempre meglio di un comunista "onesto".
Che gli italiani della prima repubblica nel votare gli italiani indagati invece dei "comunisti onesti" siano stati immensamente saggi (pensa un po se fossimo finiti come la Jugoslavia o la Romania) è un dato di fatto.
Non penso proprio che i sardi daranno il consenso agli indipendentisti a scatola chiusa! Sono assai più vispi di quanto comunemente si pensi.
Dunque se vuoi l'indipendenza iniszia a spiegare loro cosa vuoi fare per assicurare loro il benessere!!
Intervengo ora solo marginalmente alla discussione che, credo, qui e altrove si svilupperà soprattutto in Sardegna e nella altre nazioni senza stato dell'Europa. Lo faccio per rivendicare il mio diritto ai sentimenti e quello ad avere una doppia identità: sarda e italiana. Del resto, pure quello indipendentista è anche un sentimento, al quale riconosco nobiltà, a patto che sia considerato nobile e legittimo il mio.
Io non credo che la questione sia solo di ordine economico e forse non lo è neppure principalmente. Allo stato attuale, ogni analisi economica di convenienza o di non convenienza mi pare assai fragile. Tiene conto di un sistema delle entrate fiscali che è datato all'oggi e non testa un sistema quale quello previsto nel Nuovo Statuto che io vorrei: la Sardegna riscuote le tasse e le imposte e partecipa alle spese dello Stato nelle materie di sua competenza in quota parte secondo la percentuale di sua popolazione in rapporto a quella della Repubblica. In mancanza di un stress test, del tipo di quello fatto per le banche europee, ogni analisi porta a un risultato o al suo contrario.
È però vero che sull'indipendenza andrebbe fatto un discorso di convenienza economica così come si fa per la attuazione del federalismo fiscale, con più onestà intellettuale – sento di dover dire – di quello che l'opposizione trasversale al federalismo oggi fa. Non vanno convinte le élite, ma, nell'un caso e nell'altro, i cittadini nella loro grandissima maggioranza, pena il doversi rassegnare ad avere delle posizioni illuministe.
Difficilmente, allo stato attuale, io riuscirei a convincere un indipendentista a non esserlo ed è vero il reciproco, pur volendo entrambi il bene della Sardegna e il suo diritto al pieno autogoverno. Quel che mi chiedo è se non sia possibile trovarsi su questo terreno mediano fra le aspirazioni al massimo e la paura (giacobina e trasversale) persino di una autonomia avanzata. Altre volte mi è stato detto: fatte, tentate questa strada e noi non saremo di ostacolo. L'ho detto e lo ripeto: mi pare un atteggiamento sbagliato. Quella strada va costruita insieme, almeno fino a quando non è ben tracciata e percorribile.
@ Vale6x6
Non ho alcuna difficoltà nel pubblicare i commenti di chiunque, purché esprimano un personale pensiero compiuto e non si limitino ad una sfilza di link ad articoli o studi altrui dai quali, al massimo, verrei a sapere cosa questi pensano, non che cosa pensi lei. E purché non si tenti di dirottare una discussione verso altre questioni – quella di Falluja, per esempio – che c'entrano nulla con l'oggetto del dibattito. Se un argomento non è di mio gradimento, lo ignoro, non cerco di deviarlo verso uno che a me piace. Non è solo questione di etichetta, Vale6x6.
Balle!
Lo sa benissimo quale fosse il mio pensiero e infatti ha cancellato tutto anche il post sui radar militari oltre ai link che rimandavo alla Base di Camp Bondsteel e alle inchieste di Carla del Ponte e di Natalie Nougayrède.
Il suo concetto di sovranità senza vedere davvero che cosa succede in Kosovo è appiccicato a sputo.
Si tenga i paraocchi sulle servitù militari
Per Massidda e Zedda: Spiego meglio cosa intendo. L'economia è certamente il motore principale che dovrebbe muovere la propaganda dell'indipendentismo (unitariamente alle ragioni identitarie), con l'obiettivo di estendere la sua piattaforma di potenziali sostenitori. Ciò che intendevo dire è che non ha molto senso ragionare sulle capacità del presente, in quanto la capacità di sostentamento autonomo su tutti i settori della macchina pubblica (welfare, sicurezza, ecc) è viziata dalla situazione disagiata attuale ed è proprio il gradino di partenza della contestazione: la contestazione dello status quo ha lo scopo di condurre ad una ipotetica fase successiva (che sarebbe appunto, in una prima fase), quella dell'attuazione di un nuovo statuto autonomo (ad es. un perfezionamento ed un'applicazione, dopo un ipotetico iter dibattimentale, della proposta Massidda). Al di là del veto che comunque verrebbe apposto dalla Corte Costituzionale, ma immaginiamo anche di avere un testo che abbia serie chances di esser approvato. L'indipendentismo/autonomismo (ognuno poi in base alle sue finalità ultime) dovrebbe avere lo scopo di denunciare l'attuale situazione ed i potenziali benefici delle riforme da attuare, convergendo su un testo base che dovrebbe configurare un nuovo patto Sardegna-Italia. L'indipendentismo sarebbe una fase successiva ancora. E' proprio quì dunque che si rivela inutile recriminare, a condizioni correnti, che non ce la faremmo. Il Nazionalismo Sardo insomma deve battersi per superare lo status quo e nulla di più. Esso deve (appunto) spiegare che i potenziali benefici possono essere la risultante di un processo riformista. In parte questo si sta già facendo, ma in misura inefficace e disordinata. Le cause sono tante, tra cui questo dualismo identitario che anche Massidda descriveva e che sono il prodotto del tempo di convivenza della Sardegna con l'Italia. E' un retagio storico insomma su cui c'è poco da fare. L'autonomismo spesso (in ragione dell'assenza di una visione futura) si ferma alla valutazione del presente ("non ce la facciamo"), mentre l'indipendentismo (in ragione della retorica marxista da cui proviene) non ha ancora metabolizzato la comprensione di un processo veramente graduale che quindi non può eludere la fase autonomista. Si tratta insomma di diversi ritardi culturali e sociali che impediscono (almeno per adesso) alle due visioni di collaborare per un fattivo superamento dello status quo che tutti contestano. E' altrettanto chiaro che l'indipendentismo avrebbe maggiori chances di sviluppo politico-elettorale con un nuovo statuto autonomo, anche per via dell'applicazione nel tessuto sociale (pubblica istruzione, ma poi anche editoria e media in generale) della storia e della lingua sarda (anche se quest'ultima materia è oggetto di controversie varie). Per adesso comunque, lo scopo è quello di cercare di ridurre la frammnentazione politica del Nazionalismo Sardo, ecco perché l'idea di un PNS (ma non partito unico) deve essere rilanciata. - Bomboi Adriano (SANATZIONE.EU)
@ vale6x6
Ecco, appunto. I suoi commenti c'entrano nulla. Abbia pazienza, se non vuol discutere degli argomenti che interessano gli altri, lo faccia in altri spazi, che non mancano
Ma figuriamoci se non rispetto i sentimenti suoi o di chiunque altro, senatore, ma una cosa sono i sentimenti, un'altra sono i diritti dei popoli.
Non vedo chi o cosa le impedisca di avere 2, e, 4 o 5 identità. Lei è liberissimo come chiunque altro: a un tedesco che viene a vivere in Sardegna non gli si chiede di smettere di sentirsi tedesco, nè la sua identità viene in qualche modo non rispettata dal fatto che la Sardegna non appartenga alla Germania... lo stesso discorso vale anche per le altre nazioni.
Però, e qui il tasto dolente, delle sue due identità solo una è ufficialmente riconosciuta, insieme alla linguia e alla cultura che si porta; l'altra è di fatto una sub-identità, lasciata alla sfera personale e senza reale forza propria. Io non vedo cosa le potrebbe impedire di continuare a sentirsi italiano in una eventuale Sardegna indipendente. A me invece la scelta non viene nemmeno concessa: io devo essere italiano, legalmente, anche se non mi sento italiano. Si capisce la differenza? Penso di si, e allora mettiamo in disparte il discorso sui sentimenti e parliamo di cose concrete.
Sono d'accordo sul fatto che non si possa fare una dettagliata previsione economica di come starebbe la Sardegna indipendente, nè lo si può fare per qualla "autonoma", ma allora cadono pure tutti i discorsi che prevedono l'inevitabile tracollo dopo l'indipendenza (come sia possibile "tracollare" dall'infimo livello al quale siamo arrivati qualcuno me lo dovrà spiegare).
Però già il solo fatto di non vedere l'80% delle decisioni prese sul proprio ordinamento sociale/economico/ambientale filtrate da un'altra nazione, ma in completa liberà a seconda delle proprie esigenze sarebbe potenzialmente un enorme passo in avanti.
Dopo tutto è la storia a dimostrare come l'appendice sacrificabile dello stato italiano sia la Sardegna, dalla guerra dei dazi con la Francia all'imposizione della maggio parte delle servitù militare. E la colpa è dei sardi e della mentalità autocastrante che vede la possibilità di ripresa solo in base ad un aiuto esterno.
Io capisco che a Lei sembri un atteggiamento sbagliato quello di coloro che non le vengono dietro, ma se sullo statuto non è in grado di farsi ascoltare nemmeno dal suo partito, come può pretendere che siano gli indipendentisti a fare la parte degli autonomisti? Sembra lo stesso discorso che ha fatto Soru a S.Cristina (mi sembra) quando ha chiesto di "dargli una mano"... sempre cercando di vendere un discorso di tipo autonomista.
La verità è che, sentimenti a parte, la pretesa di tenere i piedi in due staffe (sardi sardissimi + italiani speciali) non ha portato e non porterà da nessuna parte. Che poi è sempre così: uno fa una proposta che stabilisce arbitrariamente essere rivoluzionaria; pretende che gli altri gli diano carta bianca e lo seguano; quando gli altri rifiutano inizia a strillare la litania del "pocos, locos y mal unidos" dando la colpa a destra e a manca.
Cerchi di coinvolgere la società invece, i suoi elettori ad esempio, che mi sembrano i primi ad essere vittime di quel tipo di mentalità autocastrante per cui è pericoloso anche solo parlare di autonomia, figuriamoci di indipendenza. È ovvio che è più difficile la "vendita" di uno statuto speciale che garantisce ampia autonomia se si parte da un presupposto che l'indipendenza la esclude sempre e comunque.
Daniele
Ma figuriamoci se non rispetto i sentimenti suoi o di chiunque altro, senatore, ma una cosa sono i sentimenti, un'altra sono i diritti dei popoli.
Non vedo chi o cosa le impedisca di avere 2, e, 4 o 5 identità. Lei è liberissimo come chiunque altro: a un tedesco che viene a vivere in Sardegna non gli si chiede di smettere di sentirsi tedesco, nè la sua identità viene in qualche modo non rispettata dal fatto che la Sardegna non appartenga alla Germania... lo stesso discorso vale anche per le altre nazioni.
Però, e qui il tasto dolente, delle sue due identità solo una è ufficialmente riconosciuta, insieme alla linguia e alla cultura che si porta; l'altra è di fatto una sub-identità, lasciata alla sfera personale e senza reale forza propria. Io non vedo cosa le potrebbe impedire di continuare a sentirsi italiano in una eventuale Sardegna indipendente. A me invece la scelta non viene nemmeno concessa: io devo essere italiano, legalmente, anche se non mi sento italiano. Si capisce la differenza? Penso di si, e allora mettiamo in disparte il discorso sui sentimenti e parliamo di cose concrete.
Sono d'accordo sul fatto che non si possa fare una dettagliata previsione economica di come starebbe la Sardegna indipendente, nè lo si può fare per qualla "autonoma", ma allora cadono pure tutti i discorsi che prevedono l'inevitabile tracollo dopo l'indipendenza (come sia possibile "tracollare" dall'infimo livello al quale siamo arrivati qualcuno me lo dovrà spiegare).
Però già il solo fatto di non vedere l'80% delle decisioni prese sul proprio ordinamento sociale/economico/ambientale filtrate da un'altra nazione, ma in completa liberà a seconda delle proprie esigenze sarebbe potenzialmente un enorme passo in avanti.
Dopo tutto è la storia a dimostrare come l'appendice sacrificabile dello stato italiano sia la Sardegna, dalla guerra dei dazi con la Francia all'imposizione della maggio parte delle servitù militare. E la colpa è dei sardi e della mentalità autocastrante che vede la possibilità di ripresa solo in base ad un aiuto esterno.
Io capisco che a Lei sembri un atteggiamento sbagliato quello di coloro che non le vengono dietro, ma se sullo statuto non è in grado di farsi ascoltare nemmeno dal suo partito, come può pretendere che siano gli indipendentisti a fare la parte degli autonomisti? Sembra lo stesso discorso che ha fatto Soru a S.Cristina (mi sembra) quando ha chiesto di "dargli una mano"... sempre cercando di vendere un discorso di tipo autonomista.
Caro Daniele,
io credo che un movimento politico che pretende di modificare lo status del popolo sardo (che inutile nascondercelo si percepisce nella stragrande maggioranza come sardo e italiano insieme) dovrebbe spiegare quale sarà il PIL del futuro Stato sardo.
Adriano mi ha risposto dicendo che l'indipendenza non è dietro l'angolo ma un processo ....
Tu da buon indipendentista dovresti, se vuoi che i sardi vi seguano, spiegare per filo e per segno come si articolerà l'economia sarda.
Vedi io appartengo a quei 4 sardi su 100 che votano indipendentista, lo faccio per tenere la fiammella accesa (penso che sia importante), ma se volete che quei 4 diventini 60 o 100 dovete dare risposta al mio quesito!
Oggi in iRS forse esistono le persone che studiando la cosa potrebbero dare la risposta.
il problema di iRS non credo sia, nella qualità dei suoi aderenti quanto piuttosto nel non fare chiarezza a riguardo del modello socioculturale a cui mirano.
Ora dopo essere riuscita ad essere il luogo in cui sono andati i voti di una parte rilevante dell'elettorato indipendentista deve dire cosa vuol fare da grande, se grande vuol diventare!
PS: Caro Senatore, nessun dubbio sul fatto che il suo pensiero sia nobile e legittimo quanto quello di qualsiasi altro!
Caro Mauro Peppino,
io, da indipendentista, vorrei proprio estirpare quella mentalità che porta molti ad aspettare passivamente che qualcun altro decida per loro, che sia un governo che si trova oltre il mare o una classe autoeletta di fantomatici indipendentisti poco mi importa. Le prese in giro di quei politici che, con il sorriso, ti invitano ad avere fiducia, considerando automaticamente il cittanino come un incapace non in grado di capire le cose, la considero una dei peggiori cancri della società.
Lo dico chiaramente: se si cercano leader illuminati con la ricetta pronta (io li definisco ciarlatani) per risolvere tutti i problemi, iRS non è il movimento giusto. Se una società vuole maturare e raggiungere il benessere deve partecipare e deve essere messa nelle condizioni di farlo.
Per fare un esempre la sola sburocratizzazione porterebbe potenzialmente enormi vantaggi in termini economici e di libera iniziativa. Un sistema tributario tipo quello inglese (anche il tedesco e il francese non sono male, anche se li giudico un po' troppo pesanti per uno stato piccolo) in cui si fa la dichiarazione dei redditi al telefono o al computer in pochi minuti sarebbe pure una manna per i cittadini (non per i commercialisti, lo ammetto).
La bacchetta magica per cambiarti la società da un giorno all'altro non ce l'ha nessuno e chi dice di averla è un ciarlatano.
Per quanto riguarda i sardi che si sentono anche italiani, nessuno glielo vieta. Si cerca solo di farli riflettere sulla convenienza di questa dicotomia, che io personalmente considero semplicemente illogica. Ma è un provesso che richiede costante impegno e pratica sul campo. Si può anche fallire, ma credo che valga la pena provare.
Sono uno dei, ahimè non moltissimi, reduci dal Congresso del Psd'az di Portotorres, dove, dopo una battaglia non facile, si riuscì a far inserire la parola indipendenza nel primo articolo dello Statuto. Sono passati trent'anni, con la nascita di nuovi stati e persino con la sentenza della Corte dell'Aja che il nostro ospite ha evocato, ma di cui pare ci siamo dimenticati. Continuo a pensare che l'indipendenza sia un diritto storico e internazionalmente garantito.
Ma il nostro ospite pone un problema che non si può eludere. En attendant Godot (o anche, Zedda e Addis, preparando la strada per Godot), non è possibile che si sia d'accordo per conquistare il massimo di sovranità possibile sic stantibus rebus?
Tutte le questioni di sovranità, nella lingua, nella cultura, nell'economia poste qui sono risolvibili con una Carta come quella che sta a cuore a Massidda e a me.
La strada del referendum di autodeterminazione (il Québec insegna) non solo è difficilissima, ma irta di grandi insidie anche internazionali e, soprattutto, non sicura. Quella della conquista di quote sempre maggiori di sovranità è più praticabile. Se si legge il bel Manifesto dei sindacati si vedrà che le questioni dell'autogoverno sostanziale hanno conquistato terreni prima inesplorati e molto credibili. Personalmente sono convinto che la piena soggettività internazionale della Sardegna in Europa è problema alla lunga ineludibile. Ma la "piccola sovranità" prevista dal Nuovo Statuto è mille miglia più avanzata della subalternità odierna. Ecco perché sono d'accordo che valga la pena di stare tutti insieme, e non come spettatori, in un processo di acquisizione del massimo possibile.
Caro Daniele,
certamente conoscerai il pensiero di Gramsci e la sua teoria del partito=principe.
Stai tranquillo che sono d'accordo con te sul fatto che bisogna stare alla larga dai conducador!
Ma io credo che non si possa fare a meno di un partito (principe) che sia espressione della società (nel senso che deve esssere democratico e aperto) e che comunque la diriga, ovviamente in rapporto dialettico con gli altri partiti.
Ora se iRS non chiarisce quale sarà lo sviluppo economico di una Sardegna indipendente, ritengo che non avrà mai un consenso che andrà al di là della mera rappresentanza.
In attesa che iRS risponda alla questione che ho posto, ha senz'altro ragione Zuanne Franciscu, nel dire che nel mentre che aspettiamo Godot sarebbe meglio prendere quel che è possibile cioè acquisire quel pezzo di sovranità che pare poter essere colto.
Essere dentro una Italia federale a sua volta parte di una Europa Federale , potrebbe non essere male.
Se si riuscisse ad essere Sardi in Europa, non perdendo i vantaggi che ci provengono dall'essere parte della seconda potenza industriale del continente non sarebbe male.
Caro Daniele mi dirai che sono lontano anni luce da chi nel vostro movimento propaganda la "decrescita felice"! Si lo sono! e penso anche che molte delle persone che fanno parte di iRS non siano d'accordo con chi decanta gli ipotetici vantaggi che darebbe la cosiddetta "decrescita felice".
In Addis trovo sempre la solita osservazione: "Perché noi indipendentisti dovremmo fare gli autonomisti"? Poi guardo altre realtà internazionali e mi chiedo: "Ma perché quì in Sardegna dobbiamo continuare con certi complessi"? Questa divisione tra autonomismo e indipedentismo ha il suo apice proprio quì in Sardegna (ed anche la frammentazione di sigle è connessa al discorso). Il problema dell'indipendentismo Sardo è che ha ripreso in toto alcuni modelli culturali del marxismo e di terzi partiti internazionali (come ERC). Un approccio che deriva a sua volta dal '68 italiano da cui provengono i vecchi dirigenti indipendentisti (vedere Sale e Cumpostu). Pur avendo superato nominalmente certe etichette, i comportamenti sono pressoché invariati. Nel Marxismo non esisteva l'aproccio graduale e riformista, c'era solo l'ipotesi rivoluzionaria. Ed in quella visione c'era ovviamente la guerra ai moderati ed ai "gradualisti"...in Sardegna costoro non sono i "socialdemocratici" come da tradizione ma sono il Sardismo. Il PSIS degli anni '80 contestò (non a torto, per molti aspetti) il PSD'AZ. Sardigna Natzione proseguì l'opera, ed infine tale componente si è moltiplicata nell'attuale IRS. Di quel retaggio storico (e forse culturale) è rimasta la contestazione all'antico nemico. Il filone è sempre quello. Ma, cosa ben più grave, si è emulata ERC al punto che si pensa che anche in Sardegna vi sia una coscienza territoriale diffusa. Invece esiste questo dualismo identitario Sardegna-Italia che impedisce una condivisione politica degli strumenti da adottare. L'autonomismo quindi viene spinto verso le solite logiche della politica italiana mentre l'indipendentismo rimane ai margini della vita politica per crescere periodicamente nei soli periodi di protesta. Io credo non sia di alcuna utilità stare a rimarcare "noi siamo indipendentisti, gli altri autonomisti", sarebbe piuttosto di utilità il fatto di collaborare alla promozione di una stagione di riforme che di sicuro, aspettando solo i comodi della politica centralista, difficilmente vedremo presto. Il casus belli insomma è tutto ideologico e se superato porterebbe nuova energia nella politica Sarda. Non ho dubbi sul fatto che succederà, ma ho dei dubbi sul quando succederà...- Bomboi Adriano (SANATZIONE.EU)
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