Durante una manifestazione a Porto Marghera nel maggio scorso, i sindacalisti hanno spiegato così le ragioni del corteo dei lavoratori: “Vogliamo evitare che Porto Marghera perda 5500 posti di lavoro e che diventi una nuova Bagnoli”. Non tutti, forse, ricordano il dramma dell’Italsider di Bagnoli agli inizi degli anni Ottanta. La crisi internazionale dell’acciaio si fece incontenibile, l’Unione europea quote di produzione e Bagnoli chiuse, nonostante le rassicurazioni dell’allora ministro De Michelis: andò a Napoli per annunciare la chiusura dell’altoforno ma disse che, comunque, nulla era perduto.
Storia diversa dalla chimica, storia diversa dall’alluminio, storia diversa dalle miniere. Ma a me la crisi internazionale della siderurgia ricorda i fattori che oggi mettono in crisi la chimica. La politica, le istituzioni statali e internazionali, come il Parlamento europeo, sono intervenuti più volte con l’effetto, a volte, di allungarne l’agonia. Si tratta di interventi doverosi, mirati a salvare il più possibile di posti di lavoro. Ma nessun governo in uno stato democratico può sostituirsi ai meccanismi di mercato; li può guidare, regolare, non sostituirsi ad essi.
Di fronte a tutti i cittadini, naturalmente, ma soprattutto di fronte alle classi dirigenti sarde, politica, sindacale, imprenditoriale, culturale, con la crisi della chimica che sta investendo particolarmente la Sardegna e il Veneto, si aprono oggi due strade: la prima è quella di illuderci che basti l’intervento dello Stato per risolverla, la seconda è quella di prendere atto della situazione e uscirne con un modello di sviluppo diverso, un nuovo modello di civiltà centrato sulle risorse materiali e umane della Sardegna.
Non solo dalla politica, ma anche all’interno del sindacato si levano voci che invitano a ripensare una crescita fondata sulla chimica. Il percorso verso questo nuovo modello di civiltà parte dalla difesa strenua dei posti di lavoro oggi in pericolo: c’è da bonificare i luoghi di insediamento chimico, c’è da mettere in sicurezza gli impianti, c’è soprattutto da salvare dalla miseria migliaia di famiglie, tutte cose che dobbiamo avere la forza di imporre a chi da questi impianti ha tratto profitto. Deve essere l’Eni a pagare tutte queste operazioni che non saranno di rapido compimento e che hanno bisogno di tutti i lavoratori che oggi sono a rischio di licenziamento.
Nessuno di noi sa come progettare un modello di sviluppo che prenda atto della situazione della chimica sarda e che lo superi assicurando prosperità alla Sardegna. Ma, ne sono convinto, questa è la sfida che le classi dirigenti sarde devono raccogliere, ciascuno prospettando idee e progetti. Io ne ho, senza pensare, va da sé, di avere una bacchetta magica che del resto oggi nessuno ha. Siamo tutti facilitati dalla considerazione che è proprio nei momenti di crisi acuta, una crisi che parte da molto lontano e che non risparmierà la nostra isola, che classi dirigenti responsabili dimostrano le proprie capacità e si legittimano come punto di riferimento di una società.
Forze politiche e forze sociali, nell’inspiegabile silenzio dell’intellettualità sarda, stanno dando mostra della loro unitarietà, pur nelle differenze di ispirazione ideale, politica, di ruolo. Si tratta di una unità raggiunta per resistere a pericoli esterni, per difendere l’esistente. Io credo che questa stessa disponibilità all’unione di fronte al pericolo possa essere messa in campo per disegnare il futuro della Sardegna anche dopo che questo ciclo industriale sarà esaurito.
Il mio non è, con tutta evidenza, un appello a mettere da parte diverse visioni del mondo, diverse sensibilità, diverse identità politiche e culturali. Ci mancherebbe altro. Ma credo che noi tutti dobbiamo al popolo sardo uno sforzo per aprire un confronto franco ma produttivo, se il caso anche acceso ma finalizzato al bene comune della nazione sarda.
Nessuno ci farà regali, sta a noi sardi il dovere morale di disegnare un nuovo modello di civiltà per la nostra terra. So che la crisi internazionale porterà altre emergenze e una classe dirigente responsabile, nel rispetto delle diverse sensibilità politiche e culturali, deve saperle affrontare con concordia, ma pensando ad un modello di sviluppo autocentrato. Oggi più che mai Forza Paris.
4 commenti:
Cosa ci dice rispetto al "grandioso risultato" ottenuto dal nostro governatore nell'incontro con gli 11... 9?...7? .... 5? ... 4 "importantissimi" ministri?
Ora abbiamo addirittura un "comitato permanente" con sede a Roma!! Wow, non è eccitante? Non sará troppo? Dica a Cappellacci e al governo di andarci piano, tutte queste soluzioni in una volta sola posso turbare i sardi che non c'erano abituati.
La prossima settimana ci saranno tanti tavoli... speriamo che saranno tutti produttivi come questo!
Meno male che almeno Maninchedda sta iniziando ad accorgersi dell'immensa presa in giro, ma dubito che il "mite governatore" alzerá la voce... lui risolve tutto con la "pacatezza"... si è visto, no?
Ho imparato ad apprezzarla e non ho però capito quale sarebbe, per lei, l’alternativa alla pacatezza. Non credo pensi all’insurrezione generale o ad altre manifestazioni violente. A che cosa dunque? Perché, vede?, la politica (e allo stato non riesco a vedere altri strumenti capaci di governare società e situazioni complesso) è fatta anche delle cose che lei dileggia: incontri per cercare soluzioni, comitati permanenti, a volte pacatezza, a volte alzate di voce.
Il “grandioso risultato” né c’è stato, né è stato annunciato, né poteva esserci: doveva essere una ricognizione delle questioni aperte in Sardegna. Io credo che i ministri sapessero anche prima di ieri quali fossero i loro impegni istituzionali e avrebbero fatto molto meglio a dirlo prima che fosse annunciato l’incontro a Undici. La responsabilità davanti ai sardi è, comunque, degli assenti, non dei sardi né dei ministri che all’incontro c’erano.
L'acternativa alla "pacatezza" (tra virgolette perché, pur essendo definita cosí, si tratta di pura e semplice remissivitá, almeno sino ad ora... si attendono insperati sviluppi) è la fermezza.
Come ha detto (meno male che almeno lui se ne è accorto, ma quante figuracce ci sono volute?) giustamente Maninchedda: "Mettiamocelo in testa: o si predispongono i meccanismi di reazione o è meglio non sedersi al tavolo con gli italiani, sono troppo portati a non prendere sul serio niente che non possa rappresentare per loro un costo serio, un danno, un impegno."
Nessuna manifestazione violenta (che farebbe molto piacere al governo italiano per etichettare chi lo contrasta come "violento" e "antidemocratico"). Io non dileggio gli incontri per cercare soluzioni, dileggio l'atteggiamento stupidamente remissivo di chi aspetta che le soluzioni vengano stabilite, accettate e vagliate dal governo. A quegli incontri si va per comunicare al governo le proprie soluzioni, non a mendicare un intevento riparatorio.
Se sono stati annunciati 11 ministri e se ne sono presentati 3, la responsabilitá è degli 8 che hanno dato buca, ma la figura di m---- ce la fa il governatore comunque. Avrebbe dovuto cogliere quell'occasione per alzare la voce ed imporre la sua linea, quella decisa dal consiglio. Ha preferito stamparsi in faccia il suo sorriso ed ingoiare il rospo.
Lo so che Lei o non lo puó ammettere o la pensa semplicemente in modo diverso, ma quello che è successo ieri è VERGOGNOSO.
Saluti
mi chiedo se il presidente cappellacci e la sua giunta siano pronti a dimettersi in massa in caso di mancato accordo con l'eni proprio come hanno annunciato oggi i sindaci di Porto Torres, Alghero e Sassari....
oppure visto che si è creato ad hoc il tavolino con sede a roma aspetteremo ancora che la situazione precipiti continuamente fino a quando?
saluti
claudio
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