Poiché i giustizialisti insistono a giudicare “scandalosa” una cena fra magistrati e politici, vorrei porre un paio di domande. Non ai giustizialisti, va da sé, nostalgici della “giustizia economica” come la chiamavano nell’Ottocento, ma alle persone normali che leggono senza gli occhiali a forma di forca. Non parlo di magistrati che, cessata o sospesa la professione, sono entrati in politica nello schieramento di centro destra e, perciò, sospettabili di essere dei poco di buono. Parlo di magistrati che hanno fatto la stessa scelta, ma con “i migliori”, i baciati dalla “diversità, i disinteressati, insomma con la sinistra o il centro sinistra. Per esempio Felice Casson, D’Ambrosio, Maritati e molti altri.
Gentiluomini come Luciano Violante, Giuseppe Ayala e pm come Luigi de Magistris sono o sono stati eletti al Parlamento chi con il Pci (Violante) chi con il Pds (Ayala) chi con i dipietristi (De Magistri). Questo è successo, va da sé, dopo che si erano dimessi o sospesi dalla magistratura. Ma, ecco la prima domanda, prima di candidarsi non sono andati a cena o a pranzo con qualche dirigente del partito che li voleva nelle liste? E sono bastati una sola cena o un solo pranzo per esser stati convinti a lasciare il posto di magistrato per una avventura politica dall’esito incerto? La leggenda dei giustizialisti racconta che il 17 marzo del 2009 (tre mesi prima delle europee), con un post sul blog di Antonio Di Pietro, Luigi De Magistris abbia annunciato il suo arrivo in politica. Pensare che ne abbia parlato con Di Pietro quando ancora era magistrato è passibile di pene corporali e quindi me ne astengo. Sarebbe come dubitare della befana. Nessun contatto, certo.
In uno Stato di diritto il faro del comportamento è e deve essere la legge. È la legge che dice cosa è legittimo e cosa legittimo non è. Le questioni ora sollevate circa l’opportunità e la inopportunità di un comportamento rischiano di piombarci in uno Stato etico, seducente per i seguaci di Hegel e di Savonarola, ma non cooptabile in uno stato laico e di diritto. Opportunità e inopportunità non appartengono all’oggettività: io posso giudicare inopportuna una cosa che ad altri appare opportuna. Ed è vero il contrario. È una fortuna per la democrazia, una iattura per i fanatici, che non siano questi concetti a governare la società.
Se io fossi un giustizialista con fame di “giustizia economica” e se non conoscessi la lealtà repubblicana di Violante e di Ayala, per esempio, mi verrebbe di fare una parodia della indignazione forcaiola circa la cena (“carbonara” l’ha definita Di Pietro con sublime sprezzo del ridicolo) fra due giudici, tre uomini politici e consorti. Chi può garantire che Violante e D’Ayala non siano stati candidati dietro la loro promessa di favorire in qualche modo le fortune giudiziarie dei loro nuovi partiti?
Con sospetti insultanti del genere si potrebbe fare il giro del mondo. Credo che gli amici si questo blog si rendano conto a quale grado di barbarie possa portare lo stile giustizialista di Di Pietro e compagni.
1 commento:
ma per favore...!!
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