venerdì 24 luglio 2009

Unità anche per il dopo chimica

Dopo il passo indietro dell’Eni, l’unità delle forze politiche e sociali tiene, malgrado qualche distinguo che tale sembra più per esigenze mediatiche che per la sostanza. Ma, come era da prevedersi, le falle del sistema industriale sardo continuano a manifestarsi e segnalano come la provvisoria soluzione della questione di Porto Torres sia una vittoria locale, non riguarda l’intera Sardegna.
Da Ottana, i sindacati protestano contro le rispettive centrali col denunciare la messa in ombra della questione che riguarda quella zona industriale; dal Sulcis si leva l’allarme per seimila posti a rischio; ad Assemini altri operai sono in agitazione. L’unità raggiunta intorno alla minacciata chiusura del Petrolchimico di Porto Torres è stata certamente una dimostrazione di che cosa possa lo stare insieme ed è, anche, un precedente da seguire.
Ma per fare che cosa? Questo è il problema che solo in pochi ci poniamo, a stare alle dichiarazioni pubbliche. Vale la pena, credo, ribadire sempre che il problema prioritario è quello di salvare i posti di lavoro in pericolo e di assicurare salvezza economica a coloro che sentono la disoccupazione alle porte. La salvezza della chimica, sempre che sia possibile, viene in secondo piano, non se ne può fare una bandiera ideologica che, in più, rischia di coprire responsabilità di passate scelte sbagliate. Le timide voci che anche all’interno del sindacato si levano (“È comunque necessario pensare a eventuali alternative” come ha detto un sindacalista di Porto Torres) sono sommerse da altre che vorrebbero una politica governativa dirigista, capace di sostituirsi alle leggi di mercato. Uno Stato imprenditore in grado di risolvere le cento crisi apertesi in Sardegna (e quindi le mille in atto nell’intera Repubblica) è un non senso.
Al governo dovremmo semmai chiedere che accompagni con buoni provvedimenti un piano di sviluppo che solo noi sardi possiamo e dobbiamo elaborare, alternativo a quello, in parte fallito e in parte fallimentare, che ci è stato imposto non per ragioni economiche ma per “combattere il banditismo”. Se lo trovate ancora, leggete “Il golpe di Ottana” di Giovanni Columbu e molti scenari saranno chiari. Per quest’autunno, Cgil, Cisl e Uil hanno convocato il Congresso del popolo sardo per discutere anche intorno al nuovo Statuto speciale.
Questa sarebbe una occasione eccellente per ragionare dei due temi che vanno di pari passo: l’autogoverno della società sarda e l’autogoverno della sua economia.

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