Sono sempre stato dell’idea che un movimento nasca per contribuire a risolvere un problema e non per fare esercizi muscolari o, anche, solo per comparire. E sono convinto che, avviato a soluzione il problema, il movimento esaurisca la sua funzione, riservandosi di rimettersi in azione il giorno in cui dovesse accorgersi che soluzione non c’è stata. Per questo, sono stato parte attiva in quell’azione unitaria dei parlamentari sardi che mirava ad assicurare alla Sardegna una più equa distribuzione di risorse fra le regioni dello Stato.
Una volta che la maggioranza ha impegnato il governo a finanziare in Sardegna quattro grandi opere (la strada Sassari-Olbia, il completamento della 131, la Dorsale sarda e il tunnel di Cagliari) ho ritenuto che il movimento unitario di cui dicevo avesse raggiunto il suo scopo. E il voto negativo che mi apprestavo a dare si è trasformato in un sì al Dfef. Lascio ai parlamentari dell’opposizione coltivare il mito del movimento come esibizione di muscoli.
Mi ha stupito, così, leggere di qualcuno che si è lamentato per l’assenza dei parlamentari di centro destra all’incontro ieri a Cagliari promosso dai sindacati. I parlamentari di centrodestra erano al loro posto di lavoro per tentare (con successo) di impegnare tutta la maggioranza a presentare e far approvare il documento di cui dicevo. È chiaro, o dovrebbe esserlo, che questa operazione politica a favore della Sardegna aveva priorità rispetto ad un incontro, pur importantissimo, promosso dai sindacati proprio mentre in Parlamento si cercava di risolvere questioni che non sono certo indifferenti per gli stessi sindacati. È bene che tutti ci rendiamo conto che un molto ipotetico diniego del governo andrebbe contro la sua maggioranza, oltre che contro la Sardegna.
Detto questo, e sempre pronto a ricredermi nel caso in cui il governo disattendesse la richiesta della sua maggioranza, quel che è successo con l’annuncio delle cifre del Dpef mostra a mio parere che ancora non c’è una cognizione precisa di che cosa significhi il percorso federalistico appena cominciato. La Lega nord, con l’unitarietà di intenti creata intorno agli interessi del Nord, ha semplicemente fatto il proprio dovere. Così come l’ha fatto il Movimento delle autonomie a favore della Sicilia.
In uno Stato che si avvia ad essere federale, al governo centrale spetterà sempre più di mediare e ricondurre ad unità gli interessi delle regioni federate. Ma questo può avvenire solo se le Regioni saranno capaci di prospettare con forza ed unitarietà questi loro interessi.
Con la forte mobilitazione unitaria a difesa del Petrolchimico di Porto Torres, partiti e forze sociali uniti hanno dato una dimostrazione del possibile. Una società unita è capace di prospettare al governo centrale una soluzione possibile dei problemi; una società divisa in contrastanti pulsioni politiche e sociali no, mettendo, fra l’altro, in imbarazzo un governo circa la soluzione da dare a un problema dato.
Classi dirigenti responsabili e radicate nelle terre che vogliono rappresentare non hanno bisogno di piagnucolanti vittimismi nei confronti dell’Italia matrigna: hanno (o devono avere) la capacità di avanzare con la dovuta forza unitaria richieste al governo centrale. Governo centrale che non può essere ritenuto responsabile per il mancato accoglimento di disegni e progetti e proposte credibili che non ci sono. Gli interessi della mia terra, la Sardegna, si possono difendere solo con l’unità delle sue classi dirigenti e di queste con il popolo che rappresentano. Se così succede, non c’è bisogno di partiti territoriali nuovi, oltre a quelli storicamente insediati, che, fra l’altro, rischiano di rappresentare interessi fra loro contrastanti, come potrebbe accadere con il ventilato Partito del Sud, il quale, detto per inciso, non potrebbe rappresentare la mia Sardegna, che del Meridione non fa parte.
Certo, se mai dovesse capitare che il governo centrale non si dimostrasse capace di mediare gli interessi, di essere portato a privilegiare le aree più forti e più popolate o di mantenere le promesse, la nascita di un forte partito autonomista territoriale sarebbe inevitabile.
7 commenti:
Putroppo devo constatare che non concordo neanche lontanamente con quanto da Lei scritto in questo post.
Secondo Lei i sardi ed i vostri elettori vi dovrebbero credere? Non per altro, ma i fantastici impegni "aggiunti" nel dpef sono piú o meno gli stessi proclamati da Berlusconi in campagna elettorale 5 mesi fa
http://www.youtube.com/watch?v=2RIfW3MvvjY
Il governo si impegna periodicamente sempre sulle stesse cose e voi parlamentari, non so quanto inconsciamente, gli date man forte a discapito dei sardi. I milioni 18 erano e 18 sono rimasti, quindi non avete ottenuto un bel niente, se non l'ennesima fregatura.
Ah, non sia mai che in Sardegna ci sia bisogno di un "forte partito autonomista territoriale", molto meglio tenerci i nostri debolissimi politici "autonomisti" che sanno farsi rispettare, caspita se lo sanno fare.
con gli impegni si fanno un sacco di cose, come prendere voti.
con i documenti ufficiali e con i finanziamenti ufficiali si fanno le opere.
con 18 milioni in 3 anni...... ma scusi onorevole, parliamo di euro o di vecchie lire?
Il buon risultato l'hanno portato a casa i soliti siciliani gentile signor Massidda. I suoi discorsi invece danno l'idea ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, della distanza tra voi "amministratori" e la gente della "vostra" terra.
Ma Sen.Massidda, sembra che lei non si sia accorto che stiamo subendo il gioco delle tre carte. D'accordo per l'unione delle forze - ci mancherebbe - io non condivido le critiche di Soru, che dimostrano solo la sua incapacità e il suo spirito di divisione, ma non mi farei incantare dalle promesse fatte, dimenticate, rifatte... Se i siciliani minacciano la costituzione di un partito del Sud, Lei dovrebbe farsi paladino di un partito territoriale sardo, al Senato di questa repubblica. Se pensa l psd'az, faccia finta che non ci sia!
Carissimi amici, vi chiedo scusa, intanto, per il ritardo con cui vi rispondo
vedo prevalere in tutti voi lo scetticismo e francamente non mi sento di dirvi che non ha fondamento. Ho dichiarato pubblicamente che anche io “da buon sardo nutro diffidenza”. Ma se come privato cittadino posso anche indulgere al pessimismo, come rappresentate dei sardi al Senato non posso permettermi altro che ottimismo.
Quel che è successo qualche giorno fa al Senato è politicamente importante: tutta la maggioranza ha impegnato il governo a finanziare quattro grandi opere in Sardegna. Un impegno disatteso andrebbe contro la maggioranza che lo sostiene. Non è cosa di poco conto. Il Dpef è strumento del tutto inefficace, tant’è che quello appena approvato sarà l’ultimo visto che, fra l’altro, impegna solo formalmente il governo. Il documento approvato sia alla Camera sia al Senato è di tutt’altro rilievo. Prova ne sia che parlamentari di altre regioni hanno protestato per il “trattamento riservato alla sola Sardegna”.
La politica è questo: governare i processi e raggiungere risultati. Per il “tutto e subito” la politica non serve, ci vogliono strumenti che in una democrazia non sono accettabili. Quanto alla Sicilia, certo che ha ottenuto risultati immediati per due ragioni: il suo progetto per la spesa dei loro Fas era fatto molto bene, l’unità che riesce a raggiungere la Sicilia è sempre più forte di quella che, a volte, raggiungiamo noi che, spesso, vediamo prevalere il conflitto sull’unitarietà d’intenti.
Mentre tutto il centrodestra sardo era impegnato in Parlamento a raggiungere un risultato secondo me buono, per martedì la Cgil ha convocato a Cagliari i parlamentari sardi, ben sapendo che fin da lunedì dovevano essere tutti in Parlamento. Attività nobilissima, va da sé, quella degli incontri, ma queste questioni si affrontano e, se si può, si risolvono in Parlamento, non in riunioni che inevitabilmente si trasformano in doglianze e, a volte, in vittimismo. È singolare che, poi, la stessa Cgil lamenti l’assenza dei parlamentari di centodestra, pur sapendo che cosa in quel momento erano impegnati a decidere. Questo dà il senso di fragilità nella coesione delle forze politiche e sociali sarde e non c’è da stupirsi, poi, se a prevalere è la coesione dei parlamentari siciliani.
Io sono convinto che il governo rispetterà la decisione della maggioranza che lo sostiene, ma se così non fosse, sarebbe il caso che i parlamentari sardi si uniscano lasciando da parte conflitti che quasi sempre nascono e si alimentano intorno a problemi che con la Sardegna hanno nulla a che fare. Un partito territoriale sardo, propone P. Atzori. Più che un partito (benché non ne escluda la necessità in futuro), io sarei per una forza coesa e unitaria sia in Parlamento sia nella società sarda per esercitare la nostra “specialità” in tutti i campi di interesse comune.
Non è un pateracchio che ho in mente, ma un processo di formazione di progetti comuni all’interno del quale, naturalmente, si affrontino e anche si scontrino le diverse sensibilità politiche e culturali, con lealtà e franchezza. Ma una volta raggiunto l’accordo, il progetto dovrà essere sostenuto da tutte le forze, senza se e senza ma. Il “partito dei sardi” in Parlamento, in definitiva, non è detto che lo debba essere anche in Sardegna.
Gentile Sen. Massidda, apprezzo la sua risposta lineare e non esito a credere vera la denuncia che fa a proposito della CGIL, che convoca per martedi i deputati già impegnati a Roma in difesa degli interessi dell'isola. Tuttavia lo scetticismo rimane. Voglio sperare che il centrodestra apra un cammino di affermazione della sovranità del popolo sardo. Buon lavoro. Piero
Sen. Massidda, un osservazione, se permette, io la farei sull'espressione: "piagnucolanti vittimismi nei confronti dell’Italia matrigna", che lei usa e che tanto tempo fa veniva resa con "sardi queruli". Tale espressione anche sostituendo matrigna con madre,dimostrerebbe una certa sudditanza psicologica in chi la usa. Francesco Cesare Casula insegna che semmai l'Italia è figlia della Sardegna e forse anche, aggiungo io, snaturata, visto che non onora la sua propria madre Sardegna. Da qui non semplici "richieste al governo" andrebbero avanzate, ma vere e proprie perentorie pretese, diktat, ultimatum. Questo è l'atteggiamento giusto in considerazione del futuro dei nostri figli. Se no non andateci neppure a perdere tempo a Roma. Per troppo tempo a Roma sono stati mandati sardi queruli, muti di Gallura e inutili tromboni e vecchi arnesi.
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