giovedì 28 maggio 2009

Caro Massidda, sbaglia. Caro Addis, è lei in errore

di Daniele Addis

Guardi, l'articolo [dell’Atto unico di Helsinki citato nel suo post] recita così:
"IV. Integrità territoriale degli Stati
Gli Stati partecipanti rispettano l'integrità territoriale di ciascuno degli Stati partecipanti. Di conseguenza, si astengono da qualsiasi azione incompatibile con i fini e i principi dello Statuto delle Nazioni Unite contro l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o l'unità di qualsiasi Stato partecipante, e in particolare da qualsiasi azione del genere che costituisca minaccia o uso della forza.
Gli Stati partecipanti si astengono parimenti dal rendere il territorio di ciascuno di essi oggetto di occupazione militare o di altre misure di forza dirette o indirette in violazione del diritto internazionale, o oggetto di acquisizione mediante tali misure o la minaccia di esse. Nessuna occupazione o acquisizione del genere sarà riconosciuta come legittima."
I casi di Kosovo, Abkazia e Ossezia sono tutti caratterizzati dall'uso della violenza, lotta armata e/o terrorismo, oltre all'intervento di eserciti stranieri, come ad esempio quello russo.
Vogliamo quindi estendere l'integrità ai rapporti intranazionali che implicano terrorismo o lotta armata? Stando a quello che sta scritto nel trattato di Helsinki mi pare una forzatura (a meno che non siano stati stranieri a finanziare i terroristi o gli eserciti che si combattono), ma per me va bene. Però continua a non riguardare popoli che chiedono pacificamente l'indipendenza, a meno che non si voglia paragonare la Sardegna al Tibet e l'Italia alla Cina, ossia un regime che soffoca con la forza le velleità indipendentiste dei tibetani. Anche nel caso di Ossezia e Abkazia ricordo che l'integrità è stata tirata in ballo per intimare alla Russia di non intervenire, non per dire a quegli stati che non avevano alcun diritto di chiedere l'indipendenza.
Io sono sicuro che, in questo momento, un referendum per l'autodeterminazione della Sardegna vedrebbe la netta sconfitta di chi aspira all'indipendenza, infatti non si sta chiedendo nessun referendum. I sardisti vogliono aprire un dibattito in regione per parlare di quei temi, mentre altri movimenti come IRS agiscono sul territorio cercando il confronto aperto con i sardi, vittime di decenni di pregiudizio contro l'indipendentismo.
Non è meglio prendere atto che l'autonomia, in 70 anni di esistenza della nazione italiana, non ha funzionato? Non è meglio prendere atto del fatto che i discorsi dei politici sono sempre gli stessi laddove continuano ad auspicare un'autonomia che non arriva mai?
Quelle nazioni senza stato cui lei fa riferimento godono della sovranità necessaria al proprio sviluppo culturale, linguistico, sociale ed economico PROPRIO PERCHÉ al loro interno ci sono delle FORTI minoranze indipendentiste.
L'autonomia è di solito un qualcosa che viene "concesso" dallo stato centrale ed è tanto più forte quanto più insistenti sono le spinte indipendentiste delle varie regioni. Se in Spagna la Catalogna o i Paesi baschi non fossero regioni fortemente autonome non ci sarebbe modo di tenere unita la nazione, se non la repressione armata. Questo è possibile perché la minaccia di indipendenza di quelle regioni pende sempre sulla corona spagnola. Altri casi di regioni fortemente autonome in cui gli indipendentisti sono numerosi sono la Scozia (lo Scottish National Party è a capo del governo scozzese) e il Galles.
Non conosco casi di buone autonomie non accompagnate da un forte indipendentismo, e queste tra l'altro riguardano territori il cui confine è evidente sulla carta, quando si tratta di isole è tutto un altro paio di maniche. Là bisogna considerare esempi come Irlanda e Islanda, oppure Malta... per tenersele avrebbero dovuto concedere un'autonomia di gran lunga superiore a quella concessa a regioni come Scozia o Galles.

Mi sono permesso di trasformare in articolo il commento scritto da Daniele Addis, per la cui assiduità di interlocutore di questo blog lo ringrazio, perché egli pone problemi tutt’altro che banali. Forse lo stupirà, ma sono d’accordo con lui nel sostenere che la presenza di forti minoranze indipendentiste rappresentano un insostituibile stimolo ad una buona autonomia e più in generale ad un buon autogoverno. Come, del resto, in ogni campo forti minoranze svolgono la funzione di stimolo alle maggioranze. Di più, caro Addis, io sono in sintonia con una sentenza del Tribunale di Cagliari, pronunciata alla fine di un processo (l’unico che io ricordi) per “fatti di separatismo”. I giudici, che pure condannarono gli imputati per fatti commessi, sostennero che “l’ideale indipendentista è di per sé costituzionalmente lecito e può essere coltivato non solo come manifestazione di pensiero, ma anche a livello di azione politica… La Costituzione già prevede (all’art. 80) la possibilità di variazioni del territorio dello stato, e non si può certo sostenere che la norma riguardi solo modificazioni in aggiunta e non in perdita”. Detto questo, le ricordo che al momento di entrata in vigore della Costituzione italiana, il diritto internazionale era ben povero in materia di diritto dei popoli all’autodeterminazione e che solo dopo quasi trent’anni l’Osce (Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa) si occupò della armonizzazione del diritto dei popoli all’autodeterminazione con quello degli stati all’integrità territoriale. Caro Addis, lei cita correttamente l’articolo IV del trattato uscito da quella conferenza, ma vi trova elementi che, diciamo così, portano acqua al suo mulino. Certo, si tratta di un patto fra stati e di un impegno reciproco a non aggredirsi. Ma c’è qualcosa di più di un richiamo alla non aggressione, c’è il divieto di “qualsiasi azione incompatibile con i fini e i principi dello Statuto delle Nazioni Unite contro l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o l'unità di qualsiasi Stato partecipante”. Compresa, quindi, ogni azione contro l’unità degli stati. E che cosa sarebbe, se non una “azione incompatibile”, il riconoscimento di una entità che rompa integrità e unità? Come dire, sulla base del diritto all’autodeterminazione non è possibile evitare una dichiarazione unilaterale di indipendenza (come nel caso di Cipro Nord), ma gli stati dell’Osce si impegnano a non riconoscerla. Ha senso, ammesso che si voglia far parte dell’Europa, costituirsi in stato la cui esistenza non è riconosciuta? Che cosa comporterebbe, se non un destino di marginalità, di isolamento e di sottosviluppo? Lei potrebbe, con ragione, obiettare che non sempre gli stati dell’Osce sono stati fermi nei principi. Non lo sono stati quando la dissoluzione dell’Unione sovietica e la creazione delle repubbliche baltiche e caucasiche fu presa come ottima occasione per tentare di sconfiggere definitivamente il blocco sovietico. Né lo sono stati con il Kosovo, riconosciuto da molti (non tutti). La Russia non lo è stata con l’Abkazia e con l’Ossezia che pagheranno con l’isolamento e altro il fatto che solo i loro protettori li hanno riconosciute. Ma stiamo parlando nel primo caso di prevalenza della real-politik sui principi e, nel secondo caso, dell’epilogo di un lungo e sanguinoso conflitto, nel terzo di piccole pedine in uno scontro fra giganti. E allora mi chiedo e chiedo a lei, vale la pena di trascinare la Sardegna verso il baratro dell’isolamento internazionale o verso altri gravi rischi? O non è molto meglio lavorare con il massimo di unità possibile alla conquista degli stessi spazi di autogoverno della Catalogna, del Paese basco, del Galles, restando all’interno della Repubblica italiana e dell’Europa. Naturalmente, in questo processo di autogoverno, lo stimolo e l’azione dei movimenti indipendentisti (finalmente uniti?) è più che indispensabile, desiderata. Quanto a me, ma questo è un altro discorso, tengo all’idea di una Italia unita, erede istituzionale del Regno di Sardegna, e non solo perché i miei antenati contribuirono a renderla tale.
Nella foto: un'immagine della guerra in Ossezia

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Daniele, lei è un gran polemista. Le faccio i miei complimenti per la caparbietà non disgiunta da intelligenza, pertinenza e correttezza con la quale porta avanti le sue argomentazioni. Le confesso che spesso la seguo con piacere anche sul blog di Bruno Murgia. Non che condivida sempre la sua posizione, ma quasi sempre ne scaturiscono confronti stimolanti e comunque utili alla comprensione e al perfezionamento della propria opinione.
La ringrazio /o ti ringrazio..
Marco

Anonimo ha detto...

Ci vuole coraggio Onorevole Massidda a vedere una ipotetica Repubblica Sarda isolata sul profilo internazionale: Sia per posizione geografica, sia per ordinamente sociale, che risulta perfettamente in linea con quello Europeo. E neppure ritengo che Parigi, Londra, Madrid e la stessa Roma vogliano rinunciare ad intrattenere rapporti con la più grande isola del Mediterraneo occidentale, sia sotto il profilo commerciale, energetico oltre che sul piano della Difesa. Inoltre non ce li vedo molti operatori internazionali rinunciare ad una azienda come la SARAS (situata in una locazione geostrategica) e nè a ridisegnare il gasdotto Algerino per bypassare l'isola. Le agenzie del rating declasserebbero immediatamente certe scelte. Quì non siamo a Cipro, se il Popolo Sardo un giorno arriverà a fare scelte precise in merito di autodeterminazione, il riconoscimento internazionale non tarderebbe ad arrivare: Il mercato e la politica internazionale ed Europea non possono permettersi crisi regionalistiche in un'area fondamentale. Mi chiedo inoltre che cosa succederà in Europa quando paesi come la Scozia non si limiteranno a stare nel quadro degli stati nazionali ma diventeranno essi stessi stati-nazione senza alcun spargimento di sangue (come nelle dinamiche balcaniche). Ma queste sono solo ipotesi, oggi dobbiamo semplicemente lavorare alla riscrittura dello statuto ed a creare quelle condizioni socio-economiche che in futuro porteranno a galla quel sentimento nazionalista che il centralismo italiano e l'ignavia sardista del passato non hanno mai consentito di avviare: in oltre 60 anni di Repubblica Italiana, la Sardegna non ha mai colpevolmente spostato di un millimetro il suo assetto istituzionale per il conseguimento di maggiore sovranità. - Europeista - U.R.N. Sardinnya

Daniele Addis ha detto...

E io ringrazio Lei per questo spazio aperto al confronto.
Non mi stupisce che Lei sia d'accordo con me nel sostenere che un forte indipendentismo (non necessariamente minoranza, come nel caso della Scozia) sia fondamentale per una buona autonomia, mi stupisce che Lei metta in relazione l'indipendenza con un "destino di marginalità, di isolamento e di sottosviluppo" riprendendo il vecchio sistema di spaventare le persone attaverso la facile quanto falsa equazione di indipendenza= morte + fame + distruzione.

Magari Lei è veramente convinto che sia cosí, ma io vorrei fugare questi dubbi e timori.
Lei continua ad appellarsi all'integritá territoriale ed a tirare in ballo il ruolo di altre nazioni che, per non violarla, non riconoscerebbero l'esistenza del nuovo stato contro la volontá del governo italiano. Bene, Le comunico che nessuno, a parte Lei, ha tirato in ballo altre nazioni, né IRS, né PSd'Az né altri mi pare. La mozione del PSd'Az si conclude con l'invito ad avviare "con il governo italiano" una "procedura di disimpegno istituzionale", non con quello francese o tedesco o inglese o spagnolo ecc... IRS cerca il confronto aperto e sincero con i sardi per eliminare i pregiudizi connessi alla visione folkloristica e isolazionista che si ha dell'indipendentismo. Questo confronto aperto e sincero implica anche che un'apertura degli stessi indipendentisti alle ragioni dei sardi che si dicono contrari all'indipendenza, basta che siano frutto di ragionamenti non viziati da pregiudizi storici (la storia della Sardegna è inesistente o misera perché i sardi senza un padrone non sanno come sopravvivere) o ideologici (l'Italia è una e indivisibile perché lo dice Dio o chissá chi altro).
Il fatto è che Lei sembra concepire l'indipendentismo su base esclusivamente conflittuale quando invece è un processo dialettico di confronto per arrivare ad una soluzione in cui tutti siano soddisfatti.
Paventare "il baratro dell'isolamento internazionale" serve solo ad alimentare paure irrazionali perché gli indipendentisti che vogliono l'indipendenza a prescindere dal reale benessere dei sardi non ci sono in Sardegna o se ci sono si nascondono bene. Al contrario sembra invece che gli "autonomisti" escludano a prescindere la via indipendentista asserendo che porterebbe necessariamente all'autodistruzione dei sardi. Questa esclusione a prescindere della via indipendentista equivale a darsi la zappa sui piedi perché equivale a dire "Vogliamo maggiore autonomia! Se ce la date, bene; se non ce la date mettiamo il muso, ma non facciamo niente comunque." Nelle regioni citate invece (Catalogna, Scozia, Paesi baschi ecc...) le fila degli indipendentisti si ingrossano enormemente di fronte ad autonomie parziali o malfunzionanti.

Cosa costa avviare un confronto con il governo italiano sull'indipendenza? È reato di lesa maestá? Tanto piú che non vedo concretamente che tipo di perdita sarebbe per l'Italia. Al contrario di quanto espresso dalla mozione sardista io non credo che le recriminazioni debbano essere solo da parte della Sardegna, anche la nazione italiana non ha mai tratto grande vantaggio da questo possesso. Non perderebbe nessun porto fondamentale, nessuna infrastruttura indispensabile; non sarebbe costretta ad investire una parte non indifferente di risorse per una piccola percentuale di popolazione. Io vedo l'indipendenza come un processo di separazione consensuale, un po' come dire "Ci siamo amati, ma non ha funzionato", sono cose che capitano.

...continua

Daniele Addis ha detto...

...

Con tutto rispetto per i suoi antenati, ma il Regno di Sardegna è stato per i sardi una vera e propria disgrazia... ci sono capitati i sovrani piú incapaci che ci fossero allora sulla scena europea.

->Marco: "ti ringrazio" va benissimo. Io ringrazio te per i complimenti e ti prego di non esitare ad intervenire quando non sei d'accordo, è sempre posibile che sia io a sbagliarmi.

Daniele Addis

Anonimo ha detto...

Il punto che ponevo è che se in un ipotetico futuro la maggioranza del Popolo Sardo decidesse di istituzionalizzarsi rispetto a Roma, non sta scritto da nessuna parte che altri stati UE in solidarietà all'Italia non dovrebbero riconoscere la Sardegna. Partirebbe una stagione di malconenti che nel Mediterraneo nessuno ha interesse ad alimentare, anzi. E la posizione strategica dell'isola porterebbe molte potenze ad andarci caute su questioni così delicate. L'appoggio all'Italia quindi delle capitali europee non sarebbe scontato. Dei trattati francamente ci interessa fino a un certo punto, non c'è alcun nuovo stato che sia nato seguendo alla lettera tutti i buoni intenti redatti ad Helsinki e dintorni. Gli stati nascono sia per volontà popolare, sia per interessi che cavalcano quella volontà popolare. L'onorevole Massidda paga quella visione ottocentesca e post-marxista dell'indipendentismo che presumeva l'avvento di sedicenti rivoluzioni sociali, le quali storicamente hanno sempre avuto esiti drammatici. Invece oggi persino gli eschimesi stanno arrivando all'indipendenza in Groelandia a seguito di riforme autonomiste: Se in Sardegna continueremo a separare le carriere (tra autonomismo ed indipendentismo), da un lato avremo persone che non riescono a farsi capire dalla popolazione, dall'altra persone che vedono nell'indipendentismo l'anticamera del baratro. Ecco i danni delle divisioni, delle ideologie e dei protagonismi tra sigle in realtà affini. Per Daniele: Quì le fila dell'indipendentismo non si ingrossano come in altre realtà a causa di parziali autonomismi per il semplice fatto che in Sardegna l'autonomia esiste solo sulla carta e si è perfettamente integrati col centralismo italiano. Se ci fosse vero autonomismo le fila dell'indipendentismo si accrescerebbero sempre più nel tempo ma così non è: Perché nè IRS, nè SNI e nè il PSD'AZ fin'ora hanno mai conseguito riforme. Sviluppare autocoscienza in un territorio significa governare ed attivare riforme nella Pubblica Istruzione, nei Media, per la Lingua, per una maggiore sovranità fiscale, etc. Senza questi elementi rimarrà lo status quo non solo sociale ed istituzionale, ma persino lo status quo elettorale dell'indipendentismo, che in 10 anni più o meno perde o guadagna lo stesso numero di sostenitori. Basti comparare le elezioni 1999 alle ultime. - Europeista - U.R.N. Sardinnya