giovedì 21 maggio 2009

Scuola: l'apocalisse non ci sarà. Ora si pensi alla lingua sarda

L’ecatombe di classi e insegnanti, dunque non ci sarà. Secondo quanto riferisce il direttore regionale scolastico, Armando Petrella, in una intervista con La Nuova, il disarmo della scuola pubblica in Sardegna non avverrà. Non patiranno i piccoli centri, in cui ci saranno classi con 15 e anche 10 alunni. Nessuno sarà licenziato e la moria di maestri e professori resterà negli allarmati (e allarmistici) comunicati sindacali e nei titoli dei giornali.
Insomma, tutto sarà come aveva annunciato il ministro della Pubblica istruzione, Gelmini: nessuno resterà senza lavoro, pur nella razionalizzazione del sistema scolastico, imbalsamato dal fatto che il 97 per cento delle risorse va in stipendi. Le cifre della strage in Sardegna erano impressionanti: 1500, 1800, 2000 o addirittura 2200 padri di famiglia destinati alla disoccupazione. Secondo quanto dice il prof. Pietrella, nei suoi ultimi conti, la Cgil ha affermato che in Sardegna gli esuberi sarebbero 57.
Intendiamoci, i sindacati hanno fatto il loro mestiere, mettendo in allerta i sardi sul rischio che si potessero perdere, con la riforma scolastica, posti di lavoro e, di conseguenza, numerosissime classi alle elementari e alle medie. E non escludo a priori che il risultato annunciato dal direttore regionale possa anche essere frutto della protesta sindacale. Ciò che, invece, trovo personalmente sbagliato è l’intolleranza barricadiera di quanti hanno pensato bene si alzare il tono di voce, condendolo con insulti. È come se si temesse che la realtà dei fatti dovesse smentire l’allarmismo e, dunque, fosse necessario provocare reazioni forti.
A settembre, all’inizio dell’anno scolastico, si vedrà se la protesta sindacale aveva fondamento o se si è trattato di un pregiudizio antigovernativo, molto politico e poco sindacale. Si vedrà quale sarà la condizione della scuola sarda, frutto di una oculata e responsabile gestione del denaro pubblico, statale e regionale. Allora, una accorta classe dirigente sindacale in Sardegna avrà la possibilità di dimostrare quale interesse abbia nello sviluppo della scuola in una terra che ha una specificità culturale ed etnica tutta sua.
Se gli insegnanti, quelli sindacalizzati in primo luogo, vorranno accorgersi che la lingua sarda, e insieme ad essa il gallurese, il sassarese, il tabarchino e l’algherese, è un patrimonio da coltivare e sviluppare, la scuola del futuro sarà migliore di quella che ci siamo lasciati alle spalle. Sta soprattutto a loro, insieme a genitori che da parte loro sono pronti, insistere su questa prospettiva futura.

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