Immagino che chi coltiva “la solita retorica sul cloro” (sue parole) non sarà contento né d’accordo per una analisi tanto chiara, al più sussurrata negli ambienti che si trovano alle prese con una crisi non solo veneta. Qui in Sardegna, dove la crisi è, se possibile, ancora più grave, si è portati a confondere l’imperativo categorico della difesa ad oltranza dell’occupazione con l’illusione che basti la politica ad aggirare le leggi del mercato.
Al di là della propaganda e dalla demagogia, si può davvero pensare che un governo, per quanto amico sia della Sardegna e dei suoi lavoratori, possa imporre per un lungo periodo all’Eni di far finta che il mercato non conti? La straordinaria unità d’intenti mostrata a Porto Torres da cittadini, istituzioni e forze sociali ha segnalato che non è accettabile lo smantellamento di migliaia di posti di lavoro e l’impoverimento di una intera regione della Sardegna.
Una classe dirigente coraggiosa (politica, imprenditoriale, sindacale, culturale) non può perpetuare nei lavoratori e nelle loro famiglie il convincimento che la Sardegna sia un’isola felice, dove le crisi che si aprono nel mondo non abbiano riflessi. È un’isola felice, ma per altre ragioni. Sta ad essa mostrare quali sono queste ragioni e creare fin da oggi le alternative ad un modello di sviluppo economico arrivato al capolinea.
Nessuno, io non di certo, ha una bacchetta magica capace di trasformare in politiche concrete una necessità avvertita. Ma non credo si possa sfuggire ancora a lungo all’impegno comune di disegnare un futuro per la nostra terra e per la sua economia. Anche nel tavolo di concertazione fra forze sociali e Regione, io credo, le prospettive di un modello di sviluppo alternativo dovranno essere al centro degli sforzi di tutti.
Nella foto: il petrolchimico di Gela
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